Il sapore piccante della Rabbia: “Liget”

Il sapore piccante della Rabbia stimola a trovare le direzioni di vita. Segui il suggerimento del popolo degli Ilongot e conosci il Liget, la Rabbia positiva.

La Rabbia ha un sapore? Per il popolo degli Ilongot, nelle Filippine, il sapore della Rabbia è piccante e si chiama Liget.

Liget: l’energia rabbiosa

Per Il popolo degi Ilingot, la parola Liget corrisponde a un energia rabbiosa che muove all’azione. Che si tratti di una discesa lungo le rapide, di bisogno di riscatto, della reazione a una perdita, gli abitanti della Nuova Vizcaya utilizzano la parola Liget. Anche il sapore piccante del peperoncino è chiamto Liget, forse per quell’effetto di calore che la capsaicina – sostanza responsabile dell’effetto piccante – produce in bocca.

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Il lato positivo della Rabbia

Flessibilità

Il merito di aver portato l’attenzione sulla parola Liget va all’antropologa Michelle Rosaldo che, negli anni ’80 del 1900 restò colpita dal significato potenziante di questa parola. Abituata a considerare la Rabbia come qualcosa di negativo, le parve importante sottolinearne le componenti di vitalità e di energia positiva.

Sebbene Liget e Rabbia possano portare a scatti d’ira e a reazioni aggressive o violente, esse hanno anche il ruolo di muovere all’azione per proteggere il proprio valore personale e le cose in cui si crede, possono dare la motivazione e lo stimolo per realizzare obiettivi e per trovare direzioni di vita e strade alternative.

Liget e Rabbia possono aiutare anche a migliorarsi e a investire le proprie energie per superare ostacoli e limiti.

“Se non fosse per il Liget, non Vivremmo mai.”

Da un’intervista al popolo degli Ilongot, M. Rosaldo.

#1 Fai attenzione ai segni rivelatori

Se vuoi usare Liget e Rabbia per Vivere, – V maiuscola – come il popolo degli Ilingot, è importante fare attenzione ai segni rivelatori, spesso rappresentati dai pensieri che accompagnano queste emozioni.

Il pensiero che accompagna l’emozione è un utile indicatore di cosa stia suscitando Rabbia. Può essere importante fermarsi a ascoltarlo per indirizzare la Rabbia nella direzione voluta e non usarla come sfogo incontrollato.

Quest’ultimo, infatti, può dare origine a emozioni secondarie di senso di colpa, tristezza, paura – di perdere la stima e l’affetto di chi ha vissuto la tua Rabbia, ad esempio -.

Ricorda che non sono gli eventi a farti arrabbiare, ma tu che provi Rabbia di fronte a certi eventi!

#2 Nota dove si localizza la Rabbia nel corpo

Senti la Rabbia a livello viscerale? Ti fa male la testa? Hai un nodo allo stomaco? Un formicolio alle braccia?

Concentrati sulla sensazione e prova a “respirarvi dentro”, falle spazio e dalle un nome e delle caratteristiche.

Qualche  esempio tratto da situazioni reali (ringrazio le persone che hanno condiviso le loro Rabbie) :

Melma paludosa, sporca, densa, subdola.

Rabbia rigida, grigia, fredda, amara.

Slavina, indifferente, prepotente, fischiante.

Schiaccia-sassi, forte, lenta, non lascia niente di intatto.

#3 Riconosci la Rabbia per tempo

Abituati a riconoscere i pensieri e le sensazioni associati alla Rabbia e fai in modo di notarli mentre arrivano. La Rabbia è un’emozione e, come tale, ha un decorso “a onda”. Se riesci a percepire i primi segnali della Rabbia, puoi indirizzarla meglio, evitando di agire al culmine dell’onda, quando l’emozione e talmente forte da farti comportare in modo precipitoso e, spesso, poco utile e costruttivo.

#4 Impara a usare la Rabbia

Questo passaggio è quello che può richiedere più allenamento e scivolini e scivoloni sono all’ordine del giorno.

Per cominciare, puoi tenere un diario in cui appuntare i pensieri e le sensazioni che accompagnano la Rabbia nelle diverse situazioni, il livello di intensità della Rabbia (da 0 a 10) e il modo in cui hai reagito. Ricorda di appuntare, anche, se ti sei piaciuto/a o no, come potresti migliorare e, se ti sei piaciuto/a, come hai fatto a usare bene la Rabbia.

#5 Osserva le reazioni che la Rabbia suscita negli altri

Fallo nelle prossime occasioni e nota cosa provoca la Rabbia negli altri, sia quando sono loro a provarla, sia quando tu la mostri loro.

Hai fatto i 5 step di questo articolo e ora vuoi saperne di più?

Scrivimi la tua esperienza a fontanella.francesca@gmail.com

 

Riferimenti Bibliografici:

La Storia del Liget è tratta da:

Watt Smith, T. Atlante delle Emozioni Umane. Ed Utet. 2017.

 

Il mal di testa passa se perdi le staffe!

Perdere le staffe può essere un utile rimedio al mal di testa! Scopri come puoi ridurre o eliminare il dolore da cefalea con la Visualizzazione della Rabbia.

Stai cercando un rimedio per il mal di testa? Forse, ora, provi una certa curiosità per il titolo di questo articolo. Vorresti scoprire un rimedio che non hai ancora provato oppure ti aspetti che questo articolo faccia dell’umorismo?

Io spero che tu qui possa trovare un’idea per te nuova – da declinare a modo tuo – e al contempo che tu possa divertirti un po’!

Tutto iniziò quando…

Lo scorso anno partecipai a un interessante corso di aggiornamento sulle emozioni. Per la prima volta – paradossalmente – mi si parlò dell’importanza di distinguere tra emozioni soppresse – annullate – e represse – controllate -.

Fu anche proposta una riflessione rispetto al tipo di somatizzazioni causate dalla soppressione e dalla repressione delle emozioni e, tra queste, si parlò di mal di testa.

Mal di testa da tensione (repressione)

Alcuni dei metodi (non farmacologici) che sono utilizzati per trattare le cefalee hanno a che vedere con il rilassamento muscolare. La tensione e l’irrigidimento dei muscoli del corpo sono una componente del mal di testa e sono connessi alla repressione delle emozioni.

Ossia…

Repressione delle emozioni >> tensione e irrigidimento muscolare >> mal di testa.

Non è tutto qui, ma facciamola facile per proseguire con l’articolo e andare al dunque.

Prima possibilità: il rilassamento e le visualizzazioni

Rilassamento e visualizzazioni

Puoi iniziare a ridurre il mal di testa imparando tecniche di rilassamento e utilizzando le visualizzazioni.

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Si tratta di strumenti che diverse professioni declinano in  modi differenti tra loro. Sto pensando all’utilizzo che se ne può fare nello yoga o in incontri di meditazione, ad esempio. Se chiedi a uno psicologo di accompagnarti in un percorso specifico di questo tipo, gli esercizi e le tecniche verrano declinati in chiave psicologica. In questo caso, l’aspetto differenziale che trovo più rilevante è la collaborazione tra psicologo e cliente/paziente che porta a una co-esplorazione di significati e a una co-creazione di “soluzioni”.

Qualche volta, il rilassamento non funziona…

Di fronte a uno scorato terapeuta, alcuni confessano di non trovarsi affatto bene con il rilassamento e di non riceverne alcun giovamento.

Il rilassamento ha favorito loro il sonno, ha permesso di vivere con più agilità il quotidiano, ma il mal di testa è rimasto e si ripresenta con la stessa frequenza – o quasi! – e la stessa intensità. Se non trovi giovamento dal rilassamento…

… allora è il caso di perdere le staffe!

«L’espressione ‘perdere le staffe’ viene dalla particolarità di alcuni pantaloni da uomo… perché, anticamente, erano allacciati con un tipo speciale di bretelle, le staffe, appunto… Che, una volta perse… Insomma: l’espressione vuol dire ‘trovarsi in balìa di tutto’… ‘essere indifesi’, capito?».

http://www.treccani.it

Detta così pare chiaro perché, nel quotidiano, se possibile, si preferisca non perdere le staffe.

Ebbene, chi non perde le staffe reprimendo la rabbia e, al contempo, non riesce e farsi rispettare, è a rischio mal di testa!

Usare le Visualizzazioni della Rabbia

Visualizzazione della Rabbia

Può essere utile immaginare di esprimere la rabbia e di perdere le staffe.

Immaginare, per l’appunto, di modo da non trovarsi indifesi e senza brache. 😉

Nella relazione con gli altri e con se stessi la rabbia merita di essere scaricata in un modo che non porti conseguenze negative.

Nell’immaginazione, tuttavia, si può osare qualche parolaccia e urlo di troppo, il lancio di oggetti, sfoghi fisici… ma anche ironia e sarcasmo laddove, nella “realtà” non puoi usarli, silenzi oppositivi, ripicche…

Tutte queste azioni aggressive che sei solito/a evitare per questioni etiche e di convivenza sociale, puoi agirle nell’immaginazione, permettendoti la liberazione della rabbia.

Questo potrà aiutarti in due modi, principalmente:

  1. La rabbia liberata (non più repressa) farà rilassare i muscoli che il solo rilassamento non risuciva a far rilassare;
  2. La rabbia, una volta scaricata la sua componente più impulsiva, potrà essere usata come motore all’azione e consentirti di ottenere ciò che è importante per te.

Nella pratica…

Lo sai già, per fare un lavoro accurato potrebbe essere necessario l’aiuto di uno psicologo che utilizzi le visualizzazioni  e le immaginazioni guidate.

Intanto, se vuoi provare a sperimentare da te, puoi fare così.

  • Scegli una canzone che, per te, rappresenti la rabbia;
  • Chiediti che tipo di rabbia rappresenti la canzone che hai scelto: aggressiva, oppositiva, difensiva…
  • Chiediti come si manifesterebbe quel tipo di rabbia in una questione della tua vita che ti fa provare rabbia: quali gesti, quali parole…
  • Fai suonare la canzone e visualizza te stesso/a mentre fai quei gesti e quelle parole.
  • Interrompi la canzone quando vuoi tu.
  • Ripeti, se necessario.

Allenati con questo esercizio una volta al giorno, pensando a qualcosa che ti ha fatto provare rabbia e utilizzalo dopo aver vissuto episodi in cui hai represso la rabbia.

In questo modo dovresti prevenire i mal di testa.

Qualcuno si trova bene a svolgere l’esercizio mentre ha mal di testa. Può essere più difficile e richiedere la capacità di fare spazio al “dolore pulito”. Ma questa è un’altra storia.

Soffri di mal di testa? Prova la Visualizzazione della Rabbia e poi fammi sapere come ti trovi! Il tuo contributo è prezioso!

Scrivi a fontanella.francesca@gmail.com

 

Riferimento bibliografico essenziale:

Porges, S.W. The Polyvagal Theory: Neurophysiological Foundations of Emotions, Attachment, Communication, and Self-regulation. W W Norton & Co Inc, 2011.

 

 

 

 

 

Vivere con il dolore cronico: 4 (+1) strategie

Una recentissima ricerca offre 4 (+1) strategie per ridurre il dolore cronico e i suoi effetti collaterali emotivi e relazionali.

Il dolore cronico è frequente: in Europa si stima l’incidenza del dolore cronico non oncologico al 22% della popolazione.

Cosa si intende per dolore cronico?

La IASP (International Association for the Study of Pain – 1986) definisce il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno.

E’ un esperienza individuale e soggettiva, a cui convergono sensoriali, esperenziali e affettive.

Il dolore cronico è duraturo, spesso determinato dal persistere dello stimolo dannoso e/o da fenomeni di automantenimento, che mantengono la stimolazione nocicettiva anche quanto la causa iniziale si è limitata. Si accompagna ad una importante componente emozionale e psicorelazionale e limita la performance fisica e sociale del paziente. E’ rappresentato soprattutto dal dolore che accompagna malattie ad andamento cronico (reumatiche, ossee, oncologiche, metaboliche..). E’ un dolore difficile da curare: richiede un approccio globale e frequentemente interventi terapeutici multidisciplinari, gestiti con elevato livello di competenza e specializzazione.

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=3769&area=curePalliativeTerapiaDolore&menu=terapia

Gli effetti psicologici del dolore cronico

Il dolore cronico può generare ansia, tristezza e depressione, diminuzione della fiducia in se stessi e calo dell’interesse nelle relazioni interpersonali.

Questo può avere ripercussioni in ambito familiare e lavorativo amplificando il disagio emotivo e, ahimè, anche il livello di dolore cronico!

Infatti, avendo il dolore una componente affettiva, una situazione di disagio emotivo può accentuare la percezione del dolore, aumentandone, di fatto, il livello.

Le strategie per vivere con il dolore cronico

Una recentissima ricerca – dettagli in bibliografia – di L. Phillips, ha esplorato le strategie di resistenza al dolore cronico, identificandone 4 tipi principali:

  1. Strategie di distrazione: svolgere attività di interesse che, distraendo, alleviano il dolore;
  2. Strategie di spostamento del focus: simili alle precedenti, con la differenza che la persona sposta volutamente l’attenzione su altro rispetto al dolore. Tra queste strategie potremmo annoverare la mindfulness e altre tecniche di rilassamento e immaginative;
  3. Strategie di indagine: esplorazioni delle cause del dolore e approfondimento delle soluzioni per ridurre il dolore;
  4. Ri-negoziazione relazionale: azioni volte a restituire equilibrio alle relazioni interpersonali, messe in discussione dal terzo incomodo del dolore cronico.

Ce n’è una quinta…

Phillips propone, anche, un’altra stategia. Ella ritiene utile porre, a chi soffre di dolore cronico e le chiede un aiuto terapeutico, la  questa domanda:

“Vuoi parlare del dolore o c’è qualcos’altro che ti preme di più?”

Phillips ha osservato che, quando le persone preferiscono parlare di altri temi (di altre difficoltà)  connessi e non al dolore cronico, si crea uno spazio terapeutico in cui sperimentano la possibilità di essere attive nella risoluzione delle difficoltà – con conseguente aumento dell’autostima positiva e del senso di autoefficacacia —

Inoltre, il tema di cui preme loro parlare, si rivela  premere – metaforicamente – anche sul dolore, accentuandolo. Talora, se ne rivela una delle cause. Parlare di altre questioni e difficoltà e trovare soluzioni, influenza positivamente anche la percezione del dolore, il cui livello diminuisce.

Cosa suggerisce questo studio?

Lo studio di Phillips offre due spunti di riflessione:

  1. L’importanza di trovare strategie personali in almeno una della categorie proposte;
  2. L’utilità di indirizzare le proprie energie a parlare di temi e questioni alternativi al dolore cronico.

Lo studio ci dice che, attraverso queste due modalità, è possibile ridurre il dolore, ridurne gli effetti collaterali psicologici e scoprirne cause inesplorate.

Soffri di dolore cronico e vuoi allenarti a ridurre il dolore?

Parliamone e cerchiamo le domande e le risposte più utili a te!

Fonti:

Phillips, L. (2017). A Narrative Therapy Approach to Dealing with Chronic Pain. The International Journal of Narrative Therapy and Community Work, 1, 21-30.

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=3769&area=curePalliativeTerapiaDolore&menu=terapia

Storie di lacrime: il racconto sorprendente di una bambina

Una bambina racconta cosa ne pensa delle lacrime: ne esce una storia sorprendente!

Le lacrime hanno una storia!

Così esordisce una bambina e inizia a raccontare quello che ora intitolo:

“Storie di Lacrime”

Le lacrime sono una cosa intima e ci si vergogna a mostrarle alla gente. Ma non è stato sempre così!

Nella storia dell’evoluzione abbiamo perso la possibilità di leccare le lacrime. Gli animali, quando esce una lacrima, la leccano. Tutti dicono che lo fanno per il sale, ma lo fanno per assaggiare la lacrima e capire di quale emozione è!

Così si comunica come ci si sente e le cose si fanno più facili.

Gli uomini invece nascondono le emozioni e se piangono sono casi rari!

Mio fratello è piccolo e quando piange non si capisce perché: basterebbe assaggiare la lacrima!

La tristezza non ha lo stesso sapore di quando si è arrabbiati! E esistono le lacrime di gioia…

Non dico che io ora assaggerei le lacrime degli altri però abbiamo un altro modo: ci sono delle persone speciali, nel mondo, che sanno assaggiare le lacrime degli altri senza assaggiarle davvero.

Sono quelli che ti lasciano piangere senza dire: “Non piangere!” Sono davvero interessati alle lacrime e, magari, ti chiedono perché piangi. Quello è assaggiare le lacrime.

Quando una lacrima esce è come se fosse una parola trasparente.

Ti faccio un esempio: se qualcuno mi tratta male e piango, quelle lacrime dicono parole. “Triste”, “Dispiacere”, “Non è giusto!”, “Pace”… però queste parole non si sentono e non si leggono e per questo non si capiscono subito. Però puoi chiedere a chi piange quali parole gli stanno uscendo dagli occhi e cambia tutto.

Ho scoperto questa cosa qui da te e la ho provata fuori. Fa smettere di litigare e fa voler bene. Funziona con tutti eccetto con mio fratello che non parla ancora. Ma parlerà.

I miei occhi nel frattempo si fanno lucidi e penso a queste lacrime trattenute, divenute intime per l’evoluzione – come suggerisce questa bambina sensibile e brillante – e che portano parole trasparenti…

Credo dicano “Grazie…”.

 

 

Il labirinto emotivo del lutto: trovare nuove direzioni dopo la perdita di una persona cara

Dopo un lutto, recente o passato, ci si può trovare in un labirinto emotivo. Un delicato sostegno psicologico e attività mirate per trovare la propria direzione.

Vivere l’esperienza di perdita di una persona cara è uno degli eventi di vita che più coinvolge la salute psico-fisica di chi si trova a convivere con l’accaduto, a prenderne atto e a cercare di darsi opportunità per continuare la propria vita.

Non è facile per gli adulti, non è facile per i bambini.

Un labirinto emotivo

Il labirinto emotivo del lutto

Dopo la perdita, le persone riferiscono di non riuscire a capire bene cosa provino: talora rabbia, talora tristezza, talora dolore e disperazione.

Qualcuno riferisce sensi di colpa – per cose non fatte e parole non dette – , sconcerto per la perdita, senso di ingiustizia.

Oppure ansia e paura che possa capitare un altro lutto, rassegnazione e perdita della voglia di vivere.

Frequente è anche la sensazione di non provare alcuna emozione.

Queste emozioni e sensazioni si intrecciano tra loro, vanno e vengono creando confusione e disorientamento, come in un labirinto.

Percorsi e direzioni diversi

Per trovare l’uscita dal labirinto e, quindi, mettere ordine tra pensieri e emozioni e riuscire a riprendere a vivere nonostante la perdita, non c’è un percorso unico, ma incroci e biforcazioni in cui ognuno può scegliere la direzione da prendere e il percorso più in linea con i suoi valori e le sue caratteristiche.

Un passaggio utile è restituire – a chi resta – il legame con la persona cara affinché possa essere una guida nelle scelte di vita e un punto di riferimento, sebbene su un piano diverso da quello fisico. Questo passaggio può richiedere il sostegno di uno psicologo, in particolare per i familiari stretti e per i bambini.

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Fotografie, Storie, Canzoni, Ricordi e un Gioco Psicologico

Ho imparato ad accogliere professionalmente il lutto attraverso attività che permettono di ricordare e restituire consistenza alla relazione e al legame con la persona cara.

Guardando qua e là in questo blog, potete trovare articoli e appunti che descrivono gli strumenti che utilizzo di più:

Recentemente, nella cornice teorica della Terapia Narrativa, ho scelto di utilizzare un Gioco Psicologico che, attraverso un’attività strutturata – sebbene flessibile -, integra tutto quanto sopra in modo creativo e delicato.

Per i bambini

Il labirinto emotivo del lutto 2

I bambini possono reagire al lutto in molti modi: possono mostrare tranquillità e indifferenza, possono mostrare il dolore con comportamenti di chiusura e/o aggressività, possono avere un calo del rendimento scolastico, un calo dell’appetito, faticare a dormire o riprendere abitudini di quando erano più piccoli.

Tutti questi comportamenti nascondono una sofferenza intensa che merita attenzione.

Non lasciare che i bimbi elaborino il lutto senza un sostegno professionale!

La morte, per chi sta iniziando a vivere  – come un bambino – , appare come qualcosa che non ha senso.

Se ti va, accompagnalo in questo percorso: sarà utile anche a te.

Per gli adulti

L’adulto, dopo un lutto, a volte riprende in fretta le sue attività, in particolare se ha un lavoro, una famiglia …

In altre occasioni capita che la persona resti aggrappata al dolore per tenere vicina la persona cara:  il dolore diventa un mezzo per non perderla del tutto.

Il labirinto emotivo si fa così più intricato con ripercussioni sullo stato di salute psicologico e fisico. Qualche volta evidenti nel lungo termine.

Si può alleggerire il dolore per dare spazio a ciò che, della persona cara, resta in chi le è sopravvissuto, valorizzare il legame, celebrarlo nelle proprie giornate e andare avanti tutelando il proprio stato di salute.

Quando cercare la direzione nel labirinto emotivo

Elenco, qui, alcune situazioni di lutto in cui puoi considerare di cercare la direzione per uscire dal labirinto emotivo:

  • Perdita recente di una persona cara
  • Perdita di una persona cara, tempo fa, che ha lasciato una ferita che non rimargina
  • Interruzione di gravidanza spontanea e/o indotta
  • Situazione di malattia terminale in famiglia
  • Perdita di un animale domestico

Puoi venire da solo/a o con chi vuoi tu

Parlo per me anche se penso che diversi colleghi appoggino questa riflessione.

Puoi venire da sola/o per aiutarti in questa situazione di lutto. Puoi, anche, venire con chi vuoi tu: sei e siete benvenuti!

Ti ringrazio per la condivisione!

Se sei arrivato/a a leggere fino a qui, forse hai trovato questo articolo utile: fallo leggere a chi sta vivendo un lutto e aiutalo a cercare la direzione per uscire dal labirinto emotivo.

Dal canto mio, ti ringrazio, sin d’ora.

Riferimenti Bibliografici:

Giusti E., Milone A. Terapia del Lutto. La cura delle perdite significative 2015, Sovera.

Hogan N.S., DeSantis L. (1992). Adolescent sibling bereavement: An ongoing attachment Qualitative Health Research 2(2):159-177.

Pesci, S. (2017). The Grief Maze Game. Edizioni Scientifiche Isfar.

Schützenberg A.A., Jeufroy E.B. Uscire dal lutto. Superare la propria tristezza e imparare di nuovo a vivere 2014, Di Renzo Editore.

Silverman P.R., Nickman S.L. & Worden J.W. (1992). Detachment revisited: The child’s reconstruction of a dead parent American Journal of Orthopsychiatry 62(4):494-503.

 

Valuti e, dunque, ti emozioni

La valutazione degli eventi è parte delle emozioni che provi. Scopri come farne un’alleata e emozionarti meglio.

Le emozioni sono episodi complessi – laddove, per complessità, intendo qualcosa di ricco e articolato, che offre più sfaccettature -. In questo articolo accenno al legame tra la valutazione degli eventi e le emozioni che si provano negli stessi eventi.

Non è una storia nuova

Anche altri animali filtrano gli eventi attraverso la valutazione. Mentre scrivo, mi viene in mente una lezione accademica in cui si parlava di galline – sì di galline! -. Tra le altre cose, venne specificato che la gallina adulta – accademicamente chiamata “pollo domestico” – sa ben distinguere un pericolo proveniente dall’alto e un pericolo proveniente dal basso e  sa inviare alle altre galline del pollaio segnali distinti in base alla provenienza del pericolo.

Serpente non è falco, insomma. E il tipo di protezione da cercare in un caso di pericolo non è lo stesso tipo dell’altro caso.

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Stesso evento emozioni diverse

appuntamento

Hai un appuntamento con una persona cara e stai aspettando da più di mezz’ora.

Che emozione provi?

Potresti provare ansia o preoccupazione nei confronti della persona cara, rabbia perché pensi che non ti stia rispettando, tristezza perché hai bisogno del suo interessamento, sollievo perché sei stanca/o e una pausa di mezz’ora ti sta facendo bene …

Il comportamento della persona cara non è causa di un’emozione specifica. L’evento accade – lei/lui è in ritardo – e tu provi un’emozione a riguardo.

Hai fatto una valutazione

Potresti aver valutato la situazione facendo questo tipo di pensieri:

  • Non è mai in ritardo! Cosa sarà successo?
  • Non sopporto che le persone non rispettino il tempo degli altri! Ho anche io le mie cose da fare e sono qui da più di mezz’ora!
  • Valgo poco per gli altri… non arrivano neanche puntuali agli appuntamenti…
  • Questa pausa mi fa bene. Quando arriverà avrò recuperato energie e l’incontro sarà più piacevole.

Bada bene, non c’è una valutazione giusta o sbagliata: c’è la valutazione che tu stai facendo in quel preciso momento e che appartiene al tuo modo di considerare la situazione e, forse, le relazioni in genere.

Se cambi valutazione cambi emozione

Avrai già intuito dove sto andando a parare: cambiando la valutazione – il pensiero – rispetto all’evento, puoi sperimentare anche un cambiamento emotivo.

Qualche volta cambiare valutazione può essere utile e può permettere di notare che il pensiero è, giust’appunto, un pensiero, pertanto può essere modificato.

Se dai valore alla valutazione, l’emozione ha intensità minore

Altre volte, cambiare valutazione non è utile e l’emozione che si sta provando è legittima e pertinente.

In questi casi, può servirti ridurne l’intensità. Tre passaggi sono importanti:

  • Riconoscerla e darle un nome
  • Localizzarla nella sua manifestazione fisica
  • Fare un’integrazione tra l’attivazione fisiologica e la valutazione

Tenendo a mente questi passaggi, anche il tuo comportamento cambia

Cambiando valutazione e sperimentando una nuova emozione, il comportamento conseguente sarà diverso: hai prodotto un cambiamento!

Riconoscendo alla valutazione il suo valore e dando all’organismo il tempo di fare l’integrazione, agirai un comportamento consapevole: hai prodotto un cambiamento!

Due possibili strumenti per gestire Rabbia, Ansia, Paura, Senso di colpa, Gelosia …

  • Il linguaggio: il linguaggio può modellare le valutazioni, trasformandole in alleate per la gestione emotiva;

Vuoi scoprirne di più?

Scrivimi a: fontanella.francesca@gmal.com

 

 

Le Juicy Words contro lo stress

Hai sentito parlare delle Juicy Words? Sono le parole succose, quelle dolci, quelle che lasciano un buon sapore in bocca. Le Juicy Words sono un ottimo alleato contro lo stress!

Parole secche e parole succose (juicy)

Quando si provano irritazione, rabbia, ansia, paura o qualche forma di nervosismo, capita di usare parole e risposte secche: il tono è alterato, le parole non sono scelte con cura e possono scappare offese e parolacce.

Il risultato, la maggiorparte delle volte, è che gli altri si innervosiscono e chi ha pronunciato la parola secca, senza forse rendersene conto, ha aumentato le sue sensazioni negative.

Un vecchio esperimento scientifico con le parole

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Immagine di incidente d’auto non legata all’esperimento descritto nell’articolo.

Nel 1974, Loftus e Palmer cominciarono a dedicare la loro attenzione all’affidabilità della memoria. Uno degli esperimenti più conosciuti ha a che vedere con un incidente automobilistico.

I ricercatori fecero assistere alcune persone alla ripresa di un incidente automobilistico simulato. Dopo la visione, ad ogni partecipante fu consegnato un questionario che conteneva domande relative al video e alle emozioni suscitate.

Schianto o Tamponamento?

Alcune domande del questionario erano volte a valutare il ricordo della gravità dell’incidente, ma sotto c’era un trucchetto!

Alcuni partecipanti ricevettero una scheda in cui era chiesta la “gravità dello schianto” e come si fossero sentiti nel vedere lo schianto.

Altri partecipanti, ricevettero una scheda in cui era chiesta la “gravità del tamponamento” e come si fossero sentiti nel vedere il tamponamento.

Le persone che lessero nel questionario la parola ‘schianto’ valutarono l’incidente più grave e più intense le loro emozioni di coloro che lessero la parola ‘tamponamento’.

Giornata pesante, parole leggere

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L’esperimento dimostra che l’utilizzo delle parole influenza la percezione della realtà. Questo fenomeno suggerisce di dare importanza alle parole che si scelgono per comunicare.

Un esempio: stai rientrando a casa dopo una giornataccia e, al tuo ingresso, i familiari ti chiedono come sia andata la giornata.

Puoi scegliere di rispondere, con tono seccato:

“Di schifo, è stata una giornata di XXX e una gran rottura di XXX”

Queste parole hanno l’effetto di modellare la realtà rendendola più spiacevole a te – che le pronunci – e a chi ascolta.

Il rischio è lo sviluppo di malumore nell’ ambiente familiare e malessere generale.

Puoi anche scegliere di rispondere:

“È stata una giornata davvero lunga e spiacevole.”

Alleggerire le parole per sentirsi meglio

Usando parole più leggere, l’impatto della frase è totalmente diverso. Chi le riceve mantiene un umore positivo e potrà essere più predisposto a portare sollievo e conforto, chi le pronuncia non aumenta il proprio malumore e ritrae una realtà più agevole da sopportare, aiutando a gestire lo stress.

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Quando ce vò ce vò!

Quando parlo delle Juicy Words nel mio lavoro clinico, le persone spesso sono in disaccordo:

“Quando ce vò ce vò!”

Sono d’accordo! Inoltre, qualche volta, può essere necessario usare parole che veicolano significati più pesanti, per rispettare la portata di ciò che si sta vivendo.

Nel quotidiano, tuttavia, per comunicare meglio e gestire lo stress, le  Juicy Words sono un modo semplice e accessibile che puoi usare in modo creativo, al bisogno.

Vuoi conoscere altri modi per gestire lo stress?

Scrivimi la tua storia: fontanella.francesca@gmail.com

Emozioni: roba antica o 3.0?

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Il cervello elabora la risposta emotiva in due modi: uno rapido, uno più lento.

Quello rapido è quello automatico ed è mediato da zone del cervello arcaiche, ossia che appartengono anche ad altri animali e si sono sviluppate durante l’evoluzione molto prima che l’essere umano fosse un essere umano. Rientrano in queste zone, ad esempio amigdala, ippocampo ed ipotalamo (il sistema limbico).

Il modo di elaborazione più lento, a dirla tutta, ha un po’ meno a che fare con le emozioni vere e proprie (immediate, arcaiche) perché coinvolge aree della corteccia cerebrale (la corteccia è la struttura più evoluta del cervello). Questa modalità serve a modulare la prima risposta, rapida ma non accurata e a produrre comportamenti adeguati allo stimolo. Trovate qui un esempio classico e, a mio avviso, molto chiaro.

L’emozione coinvolge il corpo…ve l’ho già detto?

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Sì, lo so, ve lo ho già scritto tante volte! È che ci tengo passi questo messaggio! 😉

Le emozioni che provate attivano il vostro corpo e lo sollecitano. Se sollecitato a lungo e frequentemente, l’organismo consuma molte energie e il rischio è che vada in ‘esaurimento’, ossia sviluppi distress – lo stress cattivo –.

Ecco la ragione della mia insistenza: fare attenzione alle reazioni fisiche può essere un barometro, una misura, della vostra condizione emotiva e, in definitiva, del vostro benessere psicofisico.

Non ci credete? Guardate quà!

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Da diverso tempo è rintracciabile online questa immagine che fa fede ad uno studio condotto in Finlandia dallo psicologo Lauri Nummenmaa della Aalto University (pubblicato dalla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences).

I partecipanti sono stati esposti a stimoli come espressioni facciali, storie, spezzoni di film e, in seguito, è stato chiesto loro di colorare su sagome corporee le regioni del corpo che sentivano più attivate o meno attivate durante l’esposizione.

L’immagine evidenzia le aree del corpo attive e coinvolte quando si provano alcune emozioni. I colori caldi indicano le aree fisiche che si percepiscono come ‘attive’, mentre i colori freddi indicano quelle percepite come ‘disattive’.

Ottimo feedback!

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Al di là dell’accuratezza di queste registrazioni (ad esempio, la misura strumentale dell’afflusso sanguigno in persone che provano paura mostra uno spostamento del sangue verso gli arti inferiori per facilitare la fuga, aspetto che, in questa immagine, non è rilevato), possiamo coglierne alcuni aspetti e messaggi generali.

Ad esempio, osservate la somiglianza tra ansia e paura: le persone registrano più o meno similmente l’attivazione correlata all’ansia e quella correlata alla paura.

Osservate la differenza tra tristezza e depressione: la prima offre la percezione di disattivazione degli arti e attivazione del petto e del volto; la seconda registra la sola disattivazione degli arti.

Il confronto tra tristezza e gioia è significativo: la gioia è percepita come un’attivazione globale dell’organismo, in contrasto con la tristezza in cui prevale la disattivazione.

Strumenti di sopravvivenza

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Le emozioni primarie sono biologicamente primitive e si  sono evolute in modo da consentire alle specie di sopravvivere (Plutchik, 1980).

Le emozioni primarie -gioia, paura, tristezza, rabbia, disgusto e sorpresa- sono strumenti di sopravvivenza: quando le provi, dai loro retta e non metterle da parte.

Ricorda che la prima risposta emotiva sarà rapida e poco accurata, pertanto automatica: potrebbe non essere del tutto adeguata al contesto.

Lascia il tempo alla corteccia di subentrare nel programma emotivo automatico e di dare una valutazione dell’utilità di quell’emozione in quella circostanza specifica.

Poi agisci o fermati, di conseguenza.evoluzione

Dott.ssa Francesca Fontanella

 

 

Una canzone… “d’Oro!”

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Ogni anno, da tradizione, in questo mese va in onda Lo Zecchino d’Oro e bambini con senso del ritmo e dolci voci cantano i brani prodotti da autori eccellenti.

La musiche, vivaci o malinconiche, ninnananne o scatenate, sono accompagnate da testi che meritano di essere ascoltati.

I pipistrelli con il punto di vista strambo che invitano a cambiare punto di vista, il principe fannullone che ciondola qua e là e non vuole responsabilità, la ranocchia coraggiosa che parte all’avventura senza essersi preparata abbastanza…

Ascoltando brani più indietro nel tempo, ascoltiamo la storia di matite colorate che sono fatine pronte a colorare il tuo mondo, di una polenta per recuperare le tradizioni antiche e il piacere della compagnia delle persone care…

Tra queste canzoni, oggi vi propongo “Prendi un’emozione“di L.Saccol: ascoltiamola insieme per poi darle un’occhiata attraverso la psicologia e la Terapia Narrativa.

Attraverso le lenti della psicologia e della Terapia Narrativa

Passo 1: riconoscere che l’emozione si sente nel corpo.

Certe volte il viso cambia colore ed il cuore prende velocità,
Nella pancia c’è qualcosa di strano, non è fame, ma chissà che sarà.

Le emozioni hanno manifestazioni a livello fisico: alterazioni fisiologiche (battito cardiaco, pressione sanguigna, ritmo respiratorio, sudorazione, bocca secca…) e qualche volta possono dare origine a somatizzazioni (colon irritabile, cefalea, disturbi dermatologici, dolori muscolari e articolari…).

Può essere utile impararea a riconoscere e distinguere le proprie emozioni attraverso le loro manifestazioni corporee. Le tecniche di rilassamento e di focalizzazione hanno la funzione di avvicinarci alla risposta corporea che accompagna le emozioni e ad aiutarci a gestirla nel suo picco e nei suoi strascichi.

Passo 2: riconoscere che  l’emozione non sei tu e tu non sei l’emozione

Prendi un’emozione, chiamala per nome, trova il suo colore e che suono fa.

Questo processo, in Terapia Narrativa, si chiama ‘esternalizzazione‘. Esso consiste nel dare una aspetto e un’identità concrete all’emozione considerandole qualcosa di distinto da se stessi. L’esternalizzazione serve a ricordare alla persona di avere un’identità a se stante, non dipendente dall’emozione: l’emozione è solo uno degli eventi che le stanno capitando e può scegliere se e come utilizzarla per vivere meglio.

Passo 2: accogliere l’emozione

Prendila per mano, seguila pian piano, senti come nasce, guarda dove va. Prendi un’emozione e non mandarla via.

Una delle più frequenti difficoltà nella gestione delle emozioni è determinata dall’abitudine a sedare, scacciare, mettere da parte ciò che si sta provando. Apparentemente utile, questa abitudine ha una serie di effetti collaterali: ad esempio può comprimere l’emozione – con il rischio che si manifesti in seguito di intensità maggiore -; può convincerci che non siamo autorizzati a provare certe emozioni; può produrre somatizzazioni, stanchezza, spreco di energie; può lentamente annullare la capacità di sentire le emozioni.

Passo 3: condividi le esperienze emotive e raccontane la storia

Puoi spiegarla a chi non la sa e tutta la tua vita vedrai un’emozione sarà.

Alcune emozioni sono considerate tabù. Possiamo, ad esempio, aver incontrato già nell’infanzia suggerimenti del tipo: “Non ti arrabiare!”, “Non prendertela!”, “Non serve essere tristi per queste cose!”, “Non mostrarti troppo compiaciuto!”…

Tutti questi non mostrare le emozioni possono creare alcuni fraintendimenti:

  • Convinzione che le emozioni siano una cosa del tutto intima e che non vadano condivise. Tuttavia, le emozioni sono uno strumento sociale importante: le relazioni, ad esempio, ne sono intrise.
  • Convinzione di essere gli unici a provare alcuni tipi di emozione, con conseguente ulteriore riserbo rispetto a ciò che si prova e, talora, senso di inadeguatezza. Tuttavia, le emozioni sono un patrimonio biologico comune a tutti gli esseri umani e la differenza tra una persona e l’altra risiede nell’intensità emotiva e nel modo di manifestare l’emozione -dipendenti, anche, da fenomeni culturali-
  • Convinzione che sarebbe bello se alcune emozioni non ci fossero. Tuttavia, sarebbe un bel guaio! Proprio in virtù del loro retaggio biologico, esse hanno sempre un ruolo e un significato (se ti interessa saperne di più, puoi leggere i 5 articoli L’ABC delle Emozioni. Qui il primo della serie.).
Come puoi iniziare a conoscere le emozioni che provi
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  1. Per prima cosa, la prossima volta che provi un’emozione, dalle un nome! Se riesci a identificare il nome di un’emozione, tanto meglio; se, invece, ti viene un nome di fantasia – che so, Buio profondo, Fifa blu, Elettricità… – va bene lo stesso.
  2. In secondo luogo, chiediti cosa vorrebbe tu facessi, cosa ti sta comunicando: accogli il messaggio e concedi all’emozione di esistere.
  3. In terzo luogo, parlane e racconta di questa emozione a chi ti è caro oppure scrivine o rappresentala con un disegno o una canzone: condividila e falle onore!

 

Per conoscere meglio il tuo mondo emotivo, hai tante possibilità: io te ne offro una! Dai mela-doroun’occhiata alla sezione Pacchetti del menù, curiosa nella sezione Curiosità e, se ti va contattami all’indirizzo fontanella.francesca@gmail.com.

Dott.ssa Francesca Fontanella

 

Che c’è da vedere?

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Vi racconto una storia di Gianni Rodari:

Le scimmie in viaggio

“Un giorno le scimmie dello zoo decisero di fare un viaggio di istruzione. Cammina, cammina, si fermarono e una domandò:

– Cosa si vede?

-La gabbia del leone, la vasca delle foche e la casa della giraffa.

-Come è grande il mondo e come è istruttivo viaggiare.

Ripresero il cammino e si fermarono soltanto a mezzogiorno.

-Cosa si vede adesso?

-La casa della giraffa, la vasca delle foche e la gabbia del leone.

-Come è strano il mondo e come è istruttivo viaggiare.

Si rimisero in marcia e si fermarono solo al tramonto del sole.

-Che c’è da vedere?

-La gabbia del leone, la casa della giraffa e la vasca delle foche.

-Come è noioso il mondo: si vedono sempre le stesse cose. E viaggiare non serve proprio a niente.

Per forza: viaggiavano, viaggiavano, ma non erano uscite dalla gabbia e non facevano che girare in tondo come i cavalli di una giostra.”

Viaggiavano, viaggiavano, ma non erano uscite dalla gabbia e non facevano che girare in tondo.

Come una giostra

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Qualche volta le nostre riflessioni non riescono ad uscire dalla gabbia e girano in tondo, come i cavalli di una giostra. Questo girotondo blocca la possibilità di soluzioni inedite e può portare a sensazioni di impotenza, rinuncia, rassegnazione, sfiducia nel futuro e nelle proprie possibilità.

Possiamo uscire dalla gabbia attraverso nuovi punti di vista

mongolfiera

Spesso ciò di cui si ha bisogno è conoscere punti di vista nuovi. A differenza delle scimmie del racconto, la gabbia in cui le persone vivono può essere auto-imposta, illusoria e la persona stessa ne ha le chiavi: si può uscire!

Come trovare le tue chiavi?chiavi

Un modo giusto per cercare le chiavi non c’è ed è bene tu possa cercare e trovare il tuo. Puoi partire da questa domanda: cosa ti farebbe sentire un po’meno in gabbia rispetto ad ora?

Potresti risponderti con il nome di una persona, di attività professionali, hobbies, sports… Se possibile, dedica loro più spazio nella tua vita e monitora come va: sei nella direzione del cambiamento e del benessere.

Non basta?

Se non basta, hai mai pensato alla consulenza con uno psicologo? Può essere una buona idea!

Dal canto mio, in tema con il viaggio e l’esplorazione, ti posso offrire due opportunità: il pacchetto Curiosità e il pacchetto Esplorazione. Sono i due pacchetti che, in questa mia fase professionale, sono piaciuti di più!

Dott.ssa Francesca Fontanellascimmie

Riferimento bibliografico

Rodari, G. Favole al telefono. Einaudi Ragazzi, 1993.