Come dare conforto e supporto a una persona cara

Quando una persona cara soffre, si desidera darle conforto e supporto. Come fare affinché il supporto sia utile e efficace per chi lo riceve? Un suggerimento da Tristezza.

Quando una persona cara soffre, si desidera darle conforto e supporto. Come fare affinché il supporto sia utile e efficace per chi lo riceve?

Usato a casaccio, serve a zero!

Date un’occhiata a questo pezzo del film Disney Inside-Out. Gioia tenta in diversi modi di rassicurare il suo amico Bing Bong, ma non ci riesce. A riuscire è Tristezza che, a contrario di Gioia, si sofferma sul dispiacere e sulla sofferenza.

 

La conseguenza dell’aiuto offerto da Tristezza è che l’amico si sente capito e ascoltato, piange e accoglie la sua sofferenza, condividendola con Tristezza e, a un tratto, sentendosi meglio.

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Il comportamento di Tristezza può dare tre informazioni pratiche utili:

  1. Restare con l’emozione dell’altro
  2. Valorizzare l’emozione dell’altro
  3. Arricchire la storia dell’emozione dell’altro

Restare con l’emozione dell’altro

Bing Bong è triste, pertanto, l’emozione che meglio si addice  a fargli compagnia è Tristezza. Si può dare conforto a una persona triste, accettando la tristezza che prova e riflettendola, mostrando di capirla. Fare come Gioia, qui, non dà i risultati sperati.

Valorizzare l’emozione dell’altro

Tristezza non si limita a stare accanto a Bing Bong facendogli da specchio: riconosce il suo dolore, lo convalida, lo autorizza. L’autorizzazione a provare emozioni è importante: ognuno può imparare a concedersela, riconoscendo la legittimità delle proprie risposte emotive; talora è utile riceverla dagli altri. Tristezza legittima la tristezza di Bing Bong, che ha la libertà di esprimerla.

Arricchire la storia dell’emozione dell’altro

Tristezza fa qualcosa di speciale: chiede a Bing Bong di ricordare un momento bello passato con il suo carro. Il ricordo si fa struggente e nostalgico e arricchisce la storia dell’emozione che sta provando Bing Bong.

Ora egli prova tristezza, nostalgia, struggimento, commozione e ricorda le emozioni piacevoli dei momenti passati insieme al suo carro. Sente di aver contribuito alla vita del carro come il carro ha contribuito alla vita di Bing Bong e questo funge da spinta vitale per sfogarsi e poi alzarsi e ricominciare.

In situazioni di difficoltà e, in particolare, in caso di lutto, questi 3 passaggi rappresentati da Tristezza danno una mappa per orientarsi e per offrire conforto e supporto in modo utile.

Ti è capitato di dare o ricevere un tipo di supporto che è servito poco e non capire perché? Tristezza, in questa scena, potrebbe averti dato un perché!

 

 

 

 

Psico-Recensione: Famiglia all’improvviso

Una breve recensione di un film al cinema in queste settimane: Famiglia all’improvviso.

Sabato sera ho visto un film, al cinema: Famiglia all’improvviso, del regista parigino Hugo Gélin. Ho pensato di farne una psico-recensione, sperando di stare alla larga da antipatici effetti spoiler!

Recensisco perché…

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Ho scelto di fare una psico-recensione a questo film per 3 motivi:

  1. Offre una rappresentazione della vita come spazio-tempo ricco di emozioni
  2. Descrive un modo bello – per me – di fare il genitore
  3. Ammette la possibilità che i lieti fine non siano lieti fine e che un finale non lieto possa portare con sé anche una parte lieta (un discorso così bello intrecciato non ve lo ho mai fatto vero?)

Probabilmente finirò con l’intingere questo articolo in una colata di melassa. Non è il mio stile, ma ogni tanto ci sta che ci si lasci andare ai sentimentalismi! 😉

Spazio-tempo emotivo (come se non ci fosse un domani)

Sin dall’inizio del film ci si trova in un tourbillon emotivo: stupore, sdegno, gioia, euforia, paura, rabbia, tristezza, dolore, senso di ingiustizia, senso di impotenza, gratitudine…

I personaggi della storia e gli spettatori vivono la legittimità di provare emozioni diverse, anche “contrastanti” e di farne buon uso per concedersi una vita piena.

Rapidamente le scene passano da un’emozione all’altra e raccontano, ad esempio, l’esperienza di usare la rabbia per reagire al dolore e di usare la tenerezza per affrontare la paura.

Si narra anche di rese e di riscatti, di amore e di coraggio, di sacrificio e sensi di colpa. Un mix di tutto rispetto che fa onore a ciò che accade nella vita.

Un genitore che dona vita

Il genitore che si incontra con questo film è un genitore vivace, disponibile, creativo, generoso, apparentemente poco apprensivo, eppure attento – attentissimo -.

Sa prendersi cura, sa essere disimpegnato; sa essere ardentemente impegnato; sa mentire per amore; sa usare la sincerità per amore.

Mi piace vedere questo modello di genitorialità perché porta con sé vitalità che, a ben vedere, è un altro modo di donare la vita.

Lieto fine, finale non lieto, chissà!

Qui sono in allarme spoiler quindi dico solo che, quando è finito il film non mi era chiaro quante emozioni stessi provando e così è capitato a chi era con me.

Non so quale parola userete voi per riassumere la trama del film: io scelgo Vita.

Istruzioni non incluse.

[Per chi ha già visto il film, penso potrebbe essere utile collegare la conclusione  a questo articolo oppure a questo.]

 

Storie di lacrime: il racconto sorprendente di una bambina

Una bambina racconta cosa ne pensa delle lacrime: ne esce una storia sorprendente!

Le lacrime hanno una storia!

Così esordisce una bambina e inizia a raccontare quello che ora intitolo:

“Storie di Lacrime”

Le lacrime sono una cosa intima e ci si vergogna a mostrarle alla gente. Ma non è stato sempre così!

Nella storia dell’evoluzione abbiamo perso la possibilità di leccare le lacrime. Gli animali, quando esce una lacrima, la leccano. Tutti dicono che lo fanno per il sale, ma lo fanno per assaggiare la lacrima e capire di quale emozione è!

Così si comunica come ci si sente e le cose si fanno più facili.

Gli uomini invece nascondono le emozioni e se piangono sono casi rari!

Mio fratello è piccolo e quando piange non si capisce perché: basterebbe assaggiare la lacrima!

La tristezza non ha lo stesso sapore di quando si è arrabbiati! E esistono le lacrime di gioia…

Non dico che io ora assaggerei le lacrime degli altri però abbiamo un altro modo: ci sono delle persone speciali, nel mondo, che sanno assaggiare le lacrime degli altri senza assaggiarle davvero.

Sono quelli che ti lasciano piangere senza dire: “Non piangere!” Sono davvero interessati alle lacrime e, magari, ti chiedono perché piangi. Quello è assaggiare le lacrime.

Quando una lacrima esce è come se fosse una parola trasparente.

Ti faccio un esempio: se qualcuno mi tratta male e piango, quelle lacrime dicono parole. “Triste”, “Dispiacere”, “Non è giusto!”, “Pace”… però queste parole non si sentono e non si leggono e per questo non si capiscono subito. Però puoi chiedere a chi piange quali parole gli stanno uscendo dagli occhi e cambia tutto.

Ho scoperto questa cosa qui da te e la ho provata fuori. Fa smettere di litigare e fa voler bene. Funziona con tutti eccetto con mio fratello che non parla ancora. Ma parlerà.

I miei occhi nel frattempo si fanno lucidi e penso a queste lacrime trattenute, divenute intime per l’evoluzione – come suggerisce questa bambina sensibile e brillante – e che portano parole trasparenti…

Credo dicano “Grazie…”.

 

 

Il labirinto emotivo del lutto: trovare nuove direzioni dopo la perdita di una persona cara

Dopo un lutto, recente o passato, ci si può trovare in un labirinto emotivo. Un delicato sostegno psicologico e attività mirate per trovare la propria direzione.

Vivere l’esperienza di perdita di una persona cara è uno degli eventi di vita che più coinvolge la salute psico-fisica di chi si trova a convivere con l’accaduto, a prenderne atto e a cercare di darsi opportunità per continuare la propria vita.

Non è facile per gli adulti, non è facile per i bambini.

Un labirinto emotivo

Il labirinto emotivo del lutto

Dopo la perdita, le persone riferiscono di non riuscire a capire bene cosa provino: talora rabbia, talora tristezza, talora dolore e disperazione.

Qualcuno riferisce sensi di colpa – per cose non fatte e parole non dette – , sconcerto per la perdita, senso di ingiustizia.

Oppure ansia e paura che possa capitare un altro lutto, rassegnazione e perdita della voglia di vivere.

Frequente è anche la sensazione di non provare alcuna emozione.

Queste emozioni e sensazioni si intrecciano tra loro, vanno e vengono creando confusione e disorientamento, come in un labirinto.

Percorsi e direzioni diversi

Per trovare l’uscita dal labirinto e, quindi, mettere ordine tra pensieri e emozioni e riuscire a riprendere a vivere nonostante la perdita, non c’è un percorso unico, ma incroci e biforcazioni in cui ognuno può scegliere la direzione da prendere e il percorso più in linea con i suoi valori e le sue caratteristiche.

Un passaggio utile è restituire – a chi resta – il legame con la persona cara affinché possa essere una guida nelle scelte di vita e un punto di riferimento, sebbene su un piano diverso da quello fisico. Questo passaggio può richiedere il sostegno di uno psicologo, in particolare per i familiari stretti e per i bambini.

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Fotografie, Storie, Canzoni, Ricordi e un Gioco Psicologico

Ho imparato ad accogliere professionalmente il lutto attraverso attività che permettono di ricordare e restituire consistenza alla relazione e al legame con la persona cara.

Guardando qua e là in questo blog, potete trovare articoli e appunti che descrivono gli strumenti che utilizzo di più:

Recentemente, nella cornice teorica della Terapia Narrativa, ho scelto di utilizzare un Gioco Psicologico che, attraverso un’attività strutturata – sebbene flessibile -, integra tutto quanto sopra in modo creativo e delicato.

Per i bambini

Il labirinto emotivo del lutto 2

I bambini possono reagire al lutto in molti modi: possono mostrare tranquillità e indifferenza, possono mostrare il dolore con comportamenti di chiusura e/o aggressività, possono avere un calo del rendimento scolastico, un calo dell’appetito, faticare a dormire o riprendere abitudini di quando erano più piccoli.

Tutti questi comportamenti nascondono una sofferenza intensa che merita attenzione.

Non lasciare che i bimbi elaborino il lutto senza un sostegno professionale!

La morte, per chi sta iniziando a vivere  – come un bambino – , appare come qualcosa che non ha senso.

Se ti va, accompagnalo in questo percorso: sarà utile anche a te.

Per gli adulti

L’adulto, dopo un lutto, a volte riprende in fretta le sue attività, in particolare se ha un lavoro, una famiglia …

In altre occasioni capita che la persona resti aggrappata al dolore per tenere vicina la persona cara:  il dolore diventa un mezzo per non perderla del tutto.

Il labirinto emotivo si fa così più intricato con ripercussioni sullo stato di salute psicologico e fisico. Qualche volta evidenti nel lungo termine.

Si può alleggerire il dolore per dare spazio a ciò che, della persona cara, resta in chi le è sopravvissuto, valorizzare il legame, celebrarlo nelle proprie giornate e andare avanti tutelando il proprio stato di salute.

Quando cercare la direzione nel labirinto emotivo

Elenco, qui, alcune situazioni di lutto in cui puoi considerare di cercare la direzione per uscire dal labirinto emotivo:

  • Perdita recente di una persona cara
  • Perdita di una persona cara, tempo fa, che ha lasciato una ferita che non rimargina
  • Interruzione di gravidanza spontanea e/o indotta
  • Situazione di malattia terminale in famiglia
  • Perdita di un animale domestico

Puoi venire da solo/a o con chi vuoi tu

Parlo per me anche se penso che diversi colleghi appoggino questa riflessione.

Puoi venire da sola/o per aiutarti in questa situazione di lutto. Puoi, anche, venire con chi vuoi tu: sei e siete benvenuti!

Ti ringrazio per la condivisione!

Se sei arrivato/a a leggere fino a qui, forse hai trovato questo articolo utile: fallo leggere a chi sta vivendo un lutto e aiutalo a cercare la direzione per uscire dal labirinto emotivo.

Dal canto mio, ti ringrazio, sin d’ora.

Riferimenti Bibliografici:

Giusti E., Milone A. Terapia del Lutto. La cura delle perdite significative 2015, Sovera.

Hogan N.S., DeSantis L. (1992). Adolescent sibling bereavement: An ongoing attachment Qualitative Health Research 2(2):159-177.

Pesci, S. (2017). The Grief Maze Game. Edizioni Scientifiche Isfar.

Schützenberg A.A., Jeufroy E.B. Uscire dal lutto. Superare la propria tristezza e imparare di nuovo a vivere 2014, Di Renzo Editore.

Silverman P.R., Nickman S.L. & Worden J.W. (1992). Detachment revisited: The child’s reconstruction of a dead parent American Journal of Orthopsychiatry 62(4):494-503.

 

L’Angoscia è un’emozione che fa sentire in trappola: come liberarsi?

L’angoscia è un’emozione che fa sentire in trappola. Puoi imparare a distinguerla da altre emozioni e iniziare a ridurla con un esercizio che ti richiede circa 15 secondi.

C’è un’emozione che fa sentire in trappola: l’angoscia. Merita di essere conosciuta perché spesso confusa con altre emozioni e, di conseguenza, gestita e trattata in modo inefficace.

L’angoscia non è ansia

L’angoscia non è ansia. L’ansia fa aumentare la vigilanza e la prontezza ad agire: hai presente quando ti prende il senso di urgenza di sistemare quella data cosa, di fare quella telefonata, di chiarire con una persona cara…? Ecco, lì stai provando ansia. Magari lieve, magari intensa. In ogni caso l’ansia guida al controllo dell’ambiente, alla riduzione dell’incertezza.

L’angoscia non è paura

L’angoscia non è paura. La paura, come l’ansia, fa aumentare la vigilanza di fronte a un pericolo concreto, per mettersi in salvo.

La paura guida a mettersi al sicuro e ad allontanarsi dal pericolo. Qualche volta la paura stimola alla fuga, qualche volta all’attacco, qualche volta blocca. Ma questa è un’altra storia.

L’angoscia non è tristezza

L’angoscia non è tristezza. La tristezza tende a rallentare l’organismo e a metterlo in pausa.

La tristezza guida a non sprecare altre energie, a fare tesoro dell’esperienza, a prendere atto dell’accaduto.

L’angoscia è l’angoscia è l’angoscia

Per citare Gertrude Stein:

Una rosa è una rosa è una rosa.

Anche l’angoscia è l’angoscia è l’angoscia.

Ossia, è un’emozione a sé stante, di tipo composto. Principalmente, l’angoscia è costituita da un’emozione di resa e un’emozione di ritiro. I messaggi dell’angoscia contengono paura, contengono – anche – il desiderio di trovare una soluzione e la sensazione di non poterlo fare, di non esserne capaci, di esserne in qualche modo impediti. Di essere in trappola, per la precisione.

Un metodo semplice per ridurre il picco dell’angoscia

Concentrati per qualche secondo sulla parola “angoscia“.

Non so a te, ma a me, pensare all’angoscia fa provare angoscia! Non solo a me, in realtà. A gran parte delle persone. La ragione è semplice: ogni parola ha significati che sono ben registrati dal cervello e questo fa sì che la parola “angoscia” evochi sensazioni e pensieri che hanno a che fare con l’angoscia.

Pensando alla parola “angoscia”, quindi, ci si procura un’esperienza più o meno intensa dell’emozione di angoscia.

Ora…prova a ripetere velocemente, per una decina di secondi la parola “angoscia”.

Prendi fiato e inizia: angosciaangosciaangosciaangosciaangosciaangoscia…

Ascoltati… come si trasforma la parola, dopo un po’?

A me in qualcosa tipo “sciango“.

Sciango non è una parola italiana e non mi evoca nulla. Al più mi sembra il nome di un personaggio dei cartoni animati oppure uno shampoo a base di fango  – come disse una volta una bimba -.

Cambia la parola, riduci l’angoscia

Con questo semplice esercizio – pure un po’ buffo, lo ammetto! – puoi aiutarti nel momento di picco emotivo che, ti ricordo, dura al massimo 180 secondi.

[Può interessarti anche: L’ABC delle Emozioni (Prima Puntata)]

Attraverso il linguaggio e il significato delle parole che cambia, puoi ridurre l’intensità dell’angoscia e la sensazione di trovarti in trappola.

Non basta?

Se non basta oppure se gli episodi di angoscia si fanno frequenti, potrebbe essere utile appoggiarsi a uno psicologo. Le conversazioni terapeutiche, in questo caso, vanno in due direzioni:

  • Conoscere altri strumenti per ridurre i picchi emotivi e ridurne la frequenza
  • Costruire insieme al terapeuta la soluzione o le soluzioni per uscire dalla trappola

Le proposte in tal senso variano da professionista a professionista e vanno, inoltre, del tutto personalizzate sulla situazione singola. Per iniziare, io ti propongo questo!

Un lutto in famiglia:il ruolo positivo della musica

Un nuovo articolo pubblicato ne Lo Psicologo del Rock

Un lutto in famiglia: il ruolo positivo della musica

La storia di una famiglia in lutto che utilizza la musica per raccontare le sue emozioni e ricominciare a vivere.

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Re-Membering e Club di Vita: ruoli, connessioni, relazioni

Ricordi da narrare, storie da ricordare

Ricordi da narrare, storie da ricordare

storytime

Oggi vorrei accompagnarti nel mondo dei ricordi e delle storie di vita. Scelgo di farlo attraverso uno strumento professionale che mi piace molto e che appartiene all’approccio della Terapia Narrativa: le Conversazioni del ricordo.

In alcuni articoli precedenti (Il Lutto: legami continui e relazioni che restano, Re-Membering e Club di Vita: ruoli, connessioni, relazioni, Il tuo mondo in fotografia) ho già avuto modo di parlarne: ora lo farò in modo pratico.

Identifica una figura significativa della tua vita

Può trattarsi di una persona, di un animale, di qualcuno che c’è ancora o che fa parte di un altro periodo della tua vita; può trattarsi di una persona deceduta.

Descrivi un episodio della vostra storia comune

history

Ricorda un momento positivo che tu e la figura significativa avete vissuto e che ritieni importante. Prendi carta e penna, oppure registra la tua voce e racconta la storia di quel momento. Racconta ciò che ricordi, che ti ha colpito, che ha avuto valore – Ne ha avuto! al punto che, oggi, ricordi quel momento -.

Scopri i doni

valori

Rileggi o riascolta la storia che hai ricordato, il ricordo che hai narrato. In questa storia c’è un pezzetto della tua vita e puoi scoprire tante cose di te e delle tue possibilità presenti e future.

Ad esempio, puoi chiederti cosa ti abbia lasciato in eredità quel momento: hai imparato qualcosa? Ha contribuito allo sviluppo dei valori che segui nella vita? Ha influenzato positivamente le scelte successive o le scelte della figura significativa? Che cosa vi siete ‘donati’?

Un passaggio in più per impreziosire questo ricordo

Puoi fare un passaggio in più! Ciò che hai imparato in quell’evento ricordato, i doni scambiati con la figura significativa e i valori che hai sviluppato, possono esserti utili e, talora, determinanti nella tua vita attuale. Ci hai mai pensato? Fallo ora!

Identifica quali aspetti della tua vita attuale possano essere considerati un’eredità di quel momento e di quella figura significativa: come potresti onorare questa eredità? Quali azioni celebrerebbero il significato che questi aspetti hanno per te? Come potresti usare questa eredità per vivere meglio?

Rinsalda il legame con il ricordo positivo

nodo

Il ricordo positivo e la storia che ne hai tratto, meritano ora di avere un legame e una connessione stretta con la tua vita attuale. Per farlo, ti bastano due passaggi, importanti:

  1. Dai un titolo alla storia-ricordo
  2. Dai una colonna sonora alla storia-ricordo (scegliendo un brano che ritieni adatto)
Legami continui e lutto

In questo modo, hai cominciato a costruire un legame continuo con il ricordo, con la sua storia e con la figura significativa che ne è parte.

Nel caso in cui il ricordo coinvolgesse una persona o un animale deceduti, attraverso questo esercizio hai potuto iniziare a notare la loro presenza: fanno ancora parte della tua vita e possono contribuirvi positivamente.

Per informazioni sulle Conversazioni del Ricordo, puoi contattarmi all’indirizzo storytimefontanella.francesca@gmail.com

Dott.ssa Francesca Fontanella

 

 

Una canzone… “d’Oro!”

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Ogni anno, da tradizione, in questo mese va in onda Lo Zecchino d’Oro e bambini con senso del ritmo e dolci voci cantano i brani prodotti da autori eccellenti.

La musiche, vivaci o malinconiche, ninnananne o scatenate, sono accompagnate da testi che meritano di essere ascoltati.

I pipistrelli con il punto di vista strambo che invitano a cambiare punto di vista, il principe fannullone che ciondola qua e là e non vuole responsabilità, la ranocchia coraggiosa che parte all’avventura senza essersi preparata abbastanza…

Ascoltando brani più indietro nel tempo, ascoltiamo la storia di matite colorate che sono fatine pronte a colorare il tuo mondo, di una polenta per recuperare le tradizioni antiche e il piacere della compagnia delle persone care…

Tra queste canzoni, oggi vi propongo “Prendi un’emozione“di L.Saccol: ascoltiamola insieme per poi darle un’occhiata attraverso la psicologia e la Terapia Narrativa.

Attraverso le lenti della psicologia e della Terapia Narrativa

Passo 1: riconoscere che l’emozione si sente nel corpo.

Certe volte il viso cambia colore ed il cuore prende velocità,
Nella pancia c’è qualcosa di strano, non è fame, ma chissà che sarà.

Le emozioni hanno manifestazioni a livello fisico: alterazioni fisiologiche (battito cardiaco, pressione sanguigna, ritmo respiratorio, sudorazione, bocca secca…) e qualche volta possono dare origine a somatizzazioni (colon irritabile, cefalea, disturbi dermatologici, dolori muscolari e articolari…).

Può essere utile impararea a riconoscere e distinguere le proprie emozioni attraverso le loro manifestazioni corporee. Le tecniche di rilassamento e di focalizzazione hanno la funzione di avvicinarci alla risposta corporea che accompagna le emozioni e ad aiutarci a gestirla nel suo picco e nei suoi strascichi.

Passo 2: riconoscere che  l’emozione non sei tu e tu non sei l’emozione

Prendi un’emozione, chiamala per nome, trova il suo colore e che suono fa.

Questo processo, in Terapia Narrativa, si chiama ‘esternalizzazione‘. Esso consiste nel dare una aspetto e un’identità concrete all’emozione considerandole qualcosa di distinto da se stessi. L’esternalizzazione serve a ricordare alla persona di avere un’identità a se stante, non dipendente dall’emozione: l’emozione è solo uno degli eventi che le stanno capitando e può scegliere se e come utilizzarla per vivere meglio.

Passo 2: accogliere l’emozione

Prendila per mano, seguila pian piano, senti come nasce, guarda dove va. Prendi un’emozione e non mandarla via.

Una delle più frequenti difficoltà nella gestione delle emozioni è determinata dall’abitudine a sedare, scacciare, mettere da parte ciò che si sta provando. Apparentemente utile, questa abitudine ha una serie di effetti collaterali: ad esempio può comprimere l’emozione – con il rischio che si manifesti in seguito di intensità maggiore -; può convincerci che non siamo autorizzati a provare certe emozioni; può produrre somatizzazioni, stanchezza, spreco di energie; può lentamente annullare la capacità di sentire le emozioni.

Passo 3: condividi le esperienze emotive e raccontane la storia

Puoi spiegarla a chi non la sa e tutta la tua vita vedrai un’emozione sarà.

Alcune emozioni sono considerate tabù. Possiamo, ad esempio, aver incontrato già nell’infanzia suggerimenti del tipo: “Non ti arrabiare!”, “Non prendertela!”, “Non serve essere tristi per queste cose!”, “Non mostrarti troppo compiaciuto!”…

Tutti questi non mostrare le emozioni possono creare alcuni fraintendimenti:

  • Convinzione che le emozioni siano una cosa del tutto intima e che non vadano condivise. Tuttavia, le emozioni sono uno strumento sociale importante: le relazioni, ad esempio, ne sono intrise.
  • Convinzione di essere gli unici a provare alcuni tipi di emozione, con conseguente ulteriore riserbo rispetto a ciò che si prova e, talora, senso di inadeguatezza. Tuttavia, le emozioni sono un patrimonio biologico comune a tutti gli esseri umani e la differenza tra una persona e l’altra risiede nell’intensità emotiva e nel modo di manifestare l’emozione -dipendenti, anche, da fenomeni culturali-
  • Convinzione che sarebbe bello se alcune emozioni non ci fossero. Tuttavia, sarebbe un bel guaio! Proprio in virtù del loro retaggio biologico, esse hanno sempre un ruolo e un significato (se ti interessa saperne di più, puoi leggere i 5 articoli L’ABC delle Emozioni. Qui il primo della serie.).
Come puoi iniziare a conoscere le emozioni che provi
orientarsi
  1. Per prima cosa, la prossima volta che provi un’emozione, dalle un nome! Se riesci a identificare il nome di un’emozione, tanto meglio; se, invece, ti viene un nome di fantasia – che so, Buio profondo, Fifa blu, Elettricità… – va bene lo stesso.
  2. In secondo luogo, chiediti cosa vorrebbe tu facessi, cosa ti sta comunicando: accogli il messaggio e concedi all’emozione di esistere.
  3. In terzo luogo, parlane e racconta di questa emozione a chi ti è caro oppure scrivine o rappresentala con un disegno o una canzone: condividila e falle onore!

 

Per conoscere meglio il tuo mondo emotivo, hai tante possibilità: io te ne offro una! Dai mela-doroun’occhiata alla sezione Pacchetti del menù, curiosa nella sezione Curiosità e, se ti va contattami all’indirizzo fontanella.francesca@gmail.com.

Dott.ssa Francesca Fontanella

 

Pronti, attenti, stop!

run-pixabay. wokandapix

Vi è mai capitato di osservare un insetto che resta immobile a terra e sembra morto, fino a quando, tutto ad un tratto, si allontana velocemente?

Il fenomeno ha a che vedere con la sopravvivenza: se un animale è morto e non se ne conosce la causa, gli altri animali preferiranno non mangiarlo per il rischio di malattie e si allontaneranno, lasciandolo libero di fuggire.

Di fatto, fingendosi morto, l’animale può salvarsi la vita. Il fenomeno è detto freezing, congelamento, ed ha a che fare, principalmente, con la paura. La paura è un’emozione molto funzionale perché informa della possibile presenza di un pericolo e sollecita  l’organismo ad allontanarsi dalla fonte di pericolo e/o difendersi.

Anche l’uomo può reagire con il congelamento
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Di fronte ad uno stimolo che suscita paura e, talora, anche di fronte a eventi che provocano sgomento, sconcerto, incredulità, l’essere umano può bloccarsi – congelarsi – e non riuscire a reagire. Si allerta, pronti, attenti e poi… stop!

Se ciò accade, mentre la persona si trova nel ‘congelamento’ non compie alcuna azione, non ipotizza soluzioni, non chiede aiuto.

L’organismo è biologicamente predisposto a modificare questo comportamento di blocco che si evolve, ad esempio, in fuga, attacco, resa, nella ripresa delle proprie attività, nella ricerca attiva di souzioni, nella richiesta di sostegno e conforto da parte degli altri…

Lepre o Tartaruga? È un processo veloce o lento?

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Il processo che trasforma il blocco in qualcos’altro può essere molto rapido (dell’ordine di qualche millesimo di secondo) laddove prevale un comportamento automatico, guidato da meccanismi biologici di adattamento all’ambiente. Altre volte, il processo è lento e guidato dal pensiero che, in certi casi, può addirittura rallentarlo.

Sebbene si possa ipotizzare in via teorica che, prima o poi, il blocco si sblocca, potrebbe non essere molto utile restare in attesa, congelati, senza sapere quando arriverà lo sblocco.

Lo sblocco si può facilitare, ecco la buona notizia!

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Numerose sono le tecniche che aiutano a identificare il blocco, a coglierne il senso e a trasformarlo in azione. Tra quelle che conosco c’è un elemento in comune che consiste, più o meno, nel cominciare ponendosi questa domanda:

Il blocco, da cosa vuole proteggermi?

Se stai vivendo un momento di blocco, parti da questa domanda e lascia arrivare la risposta o le risposte. Appuntale, rileggile, scegli quelle che senti più ‘giuste’. A quel punto hai già un bel pezzo di soluzione in mano.

Se ti fa piacere, puoi condividere le tue riflessioni nei commenti qui sotto oppure scrivendomi all’indirizzo fontanella.francesca@gmail.com

Dott.ssa Francesca Fontanellarun-pixabay. wokandapix

 

Vivere in armonia con il tuo ritmo emotivo

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Non leggere subito l’articolo, aspetta. Come ti senti ora? Proprio ora? Se potessi dedicarti una canzone, quale canzone ti dedicheresti?

Pensaci su un poco. Qualche volta la canzone ci mette un po’ ad arrivare. Io scelgo Alice di Francesco De Gregori (https://www.youtube.com/watch?v=6WdopDCbr3Q).

icona-playNon leggere subito l’articolo. Se puoi, fai suonare la tua canzone al cellulare, al pc, con il lettore mp3 o lo stereo oppure cantala tu…

Cosa ti ha fatto scegliere questa canzone? La musica? Le parole? La voce di chi canta?

Probabilmente stai cominciando a notare che la canzone è proprio adatta al momento che stai vivendo, che ‘hai scelto bene’.

Forse la canzone che hai scelto è allegra, forse ha un ritmo veloce oppure lento, è malinconica, rock, pop, lirica…potrebbe anche essere una traccia solo musicale.

Quale emozione ti suscita? Che messaggio ti sembra comunicare?

Non serve che ci pensi! Ascoltala, per ora; e ‘sentila’, con il corpo intero.

Hai appena svolto un esercizio di SongTherapy.

Come puoi usare questo esercizio?

La musica e le canzoni sanno condensare i momenti nella loro essenza. La canzone ‘giusta’ è quella che, in quel momento, va a ritmo con le tue emozioni e ne fa da colonna sonora.

Puoi usare lo stesso esercizio anche per questioni di vita che stanno occupando il tuo tempo e il tuo spazio in queste giornate o mesi.

Quale canzone useresti per rappresentare il tuo problema? Qual è quella ‘giusta’? Che va a ritmo con quello che provi e pensi? Quella che ne fa da colonna sonora?

Concediti di vivere il problema sotto questa nuova forma: lascia che descriva la tristezza che provi anche tu, la rabbia, la delusione, la confusione, il senso di colpa, l’indecisione che provi tu; lasciala parlare del problema.

La Canzone Alleata

Fai di questa canzone un’alleata per riflettere sul problema, onorarlo e concedergli l’attenzione che merita. Non di più, non di meno. Il tempo di una canzone. Puoi ascoltarla una, due, dieci volte, fino a che ti va e ti sembra importante che ti accompagni all’esplorazione del problema.

È possibile che, dopo qualche tempo, ti venga in mente un’altra canzone. Le tue emozioni potrebbero aver preso un nuovo ritmo, il problema essere cambiato – anche solo di poco – in una direzione o in un’altra e il nuovo brano andrà in questa direzione. Ossia, a ritmo con le tue emozioni.

Vuoi sapere quale canzone ha sostituito Alice di De Gregori in questa mia esplorazione? Supreme di Robbie Williams (https://www.youtube.com/watch?v=ULTtWUZhD9c).

Dott.ssa Francesca Fontanellaritmo_core