Il sapore piccante della Rabbia: “Liget”

Il sapore piccante della Rabbia stimola a trovare le direzioni di vita. Segui il suggerimento del popolo degli Ilongot e conosci il Liget, la Rabbia positiva.

La Rabbia ha un sapore? Per il popolo degli Ilongot, nelle Filippine, il sapore della Rabbia è piccante e si chiama Liget.

Liget: l’energia rabbiosa

Per Il popolo degi Ilingot, la parola Liget corrisponde a un energia rabbiosa che muove all’azione. Che si tratti di una discesa lungo le rapide, di bisogno di riscatto, della reazione a una perdita, gli abitanti della Nuova Vizcaya utilizzano la parola Liget. Anche il sapore piccante del peperoncino è chiamto Liget, forse per quell’effetto di calore che la capsaicina – sostanza responsabile dell’effetto piccante – produce in bocca.

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Il lato positivo della Rabbia

Flessibilità

Il merito di aver portato l’attenzione sulla parola Liget va all’antropologa Michelle Rosaldo che, negli anni ’80 del 1900 restò colpita dal significato potenziante di questa parola. Abituata a considerare la Rabbia come qualcosa di negativo, le parve importante sottolinearne le componenti di vitalità e di energia positiva.

Sebbene Liget e Rabbia possano portare a scatti d’ira e a reazioni aggressive o violente, esse hanno anche il ruolo di muovere all’azione per proteggere il proprio valore personale e le cose in cui si crede, possono dare la motivazione e lo stimolo per realizzare obiettivi e per trovare direzioni di vita e strade alternative.

Liget e Rabbia possono aiutare anche a migliorarsi e a investire le proprie energie per superare ostacoli e limiti.

“Se non fosse per il Liget, non Vivremmo mai.”

Da un’intervista al popolo degli Ilongot, M. Rosaldo.

#1 Fai attenzione ai segni rivelatori

Se vuoi usare Liget e Rabbia per Vivere, – V maiuscola – come il popolo degli Ilingot, è importante fare attenzione ai segni rivelatori, spesso rappresentati dai pensieri che accompagnano queste emozioni.

Il pensiero che accompagna l’emozione è un utile indicatore di cosa stia suscitando Rabbia. Può essere importante fermarsi a ascoltarlo per indirizzare la Rabbia nella direzione voluta e non usarla come sfogo incontrollato.

Quest’ultimo, infatti, può dare origine a emozioni secondarie di senso di colpa, tristezza, paura – di perdere la stima e l’affetto di chi ha vissuto la tua Rabbia, ad esempio -.

Ricorda che non sono gli eventi a farti arrabbiare, ma tu che provi Rabbia di fronte a certi eventi!

#2 Nota dove si localizza la Rabbia nel corpo

Senti la Rabbia a livello viscerale? Ti fa male la testa? Hai un nodo allo stomaco? Un formicolio alle braccia?

Concentrati sulla sensazione e prova a “respirarvi dentro”, falle spazio e dalle un nome e delle caratteristiche.

Qualche  esempio tratto da situazioni reali (ringrazio le persone che hanno condiviso le loro Rabbie) :

Melma paludosa, sporca, densa, subdola.

Rabbia rigida, grigia, fredda, amara.

Slavina, indifferente, prepotente, fischiante.

Schiaccia-sassi, forte, lenta, non lascia niente di intatto.

#3 Riconosci la Rabbia per tempo

Abituati a riconoscere i pensieri e le sensazioni associati alla Rabbia e fai in modo di notarli mentre arrivano. La Rabbia è un’emozione e, come tale, ha un decorso “a onda”. Se riesci a percepire i primi segnali della Rabbia, puoi indirizzarla meglio, evitando di agire al culmine dell’onda, quando l’emozione e talmente forte da farti comportare in modo precipitoso e, spesso, poco utile e costruttivo.

#4 Impara a usare la Rabbia

Questo passaggio è quello che può richiedere più allenamento e scivolini e scivoloni sono all’ordine del giorno.

Per cominciare, puoi tenere un diario in cui appuntare i pensieri e le sensazioni che accompagnano la Rabbia nelle diverse situazioni, il livello di intensità della Rabbia (da 0 a 10) e il modo in cui hai reagito. Ricorda di appuntare, anche, se ti sei piaciuto/a o no, come potresti migliorare e, se ti sei piaciuto/a, come hai fatto a usare bene la Rabbia.

#5 Osserva le reazioni che la Rabbia suscita negli altri

Fallo nelle prossime occasioni e nota cosa provoca la Rabbia negli altri, sia quando sono loro a provarla, sia quando tu la mostri loro.

Hai fatto i 5 step di questo articolo e ora vuoi saperne di più?

Scrivimi la tua esperienza a fontanella.francesca@gmail.com

 

Riferimenti Bibliografici:

La Storia del Liget è tratta da:

Watt Smith, T. Atlante delle Emozioni Umane. Ed Utet. 2017.

 

Psicologia quotidiana: come fare bene la pausa caffè

Una psico-idea per fare bene le tue pause e riprendere le attività con energia e entusiasmo.

Molti lettori mi hanno chiesto di dedicare spazio alla quotidianità. Ho pensato alla pausa caffè: che tu beva il caffè, un tè o mangi uno yogurt, con questo articolo desidero aiutarti a fare bene le tue pause.

Cosa non ti dirò

Non ti dirò di allontanarti da pc e cellulare, di impegnarti in una conversazione distraente, di fare due passi.

La ragione per cui non dirò queste cose è che: un supporto informatico potrebbe esserti utile; le conversazioni non possono essere distraenti a comando; è possibile che tu non possa assentarti dal lavoro qualche minuto per sgranchire le gambe.

Qui ci tengo a darti un’idea per una pausa caffè accessibile e diversa, che ti faccia stare bene e recuperare energie, davvero.

Materiale occorrente

  • Smartphone o altro supporto portatile (+ cuffie)
  • Caffè, tè o altra bevanda/cibo
  • Un bicchiere d’acqua
  • Te stesso/a

Ora facciamo le prove generali, quindi procurati il necessario: hai tutto?

Pausa caffè: ciak, si prova

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#Scena 1: Ora della pausa. Come ti ha trattato questa parte della giornata? Hai bisogno di rilassarti, di ridere, di muoverti?

Concentrati bene, la prima risposta che ti viene è quella giusta.

Mentre ci pensi, prendi il caffè, il tè o quello che sei solito prendere e non consumarlo, aspetta. Ti sei risposta/o?

#Scena 2: Mettiamo che tu ti sia detto/a che hai bisogno di muoverti. Prendi lo Smartphone e scegli una canzone che ti faccia pensare al movimento. Io, oggi, ti propongo questa, di Sam Cooke:

#Scena 3: Mentre ascolti questo brano, sorseggia il tuò caffè (o quant’altro tu abbia scelto per la tua pausa) e concentrati sulle belle sensazioni che ti offrono, insieme, la musica e il sapore, l’aroma, il calore… respira lentamente e goditi l’atmosfera di positività.

#Scena 4: Quandò sarà finita la canzone, consolida queste sensazioni con un rituale utile: bevi un bicchiere d’acqua e immagina di bere, insieme all’acqua, tutta la positività appena evocata, in un gesto di idratazione del tono dell’umore, dell’entusiamo e della motivazione a fare.

Hai appena goduto di 5 minuti di positività!

Stai pensando che ti sembrano pochi?

Pensa che di solito ti dici che non hai tempo per la pausa caffè! Che 5 minuti sono molti da ritagliare!

Ebbene, se sei riuscito/a a trovare questi 5 minuti tutti per te, ti sei appena fatto un dono prezioso. Il tuo organismo ringrazia.

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Fai diventare virale la tua pausa caffè

Condividi la tua esperienza con i colleghi e i familiari, fai provare anche a loro questo tipo di pausa caffè!

E, se ti va, fammi sapere quali canzoni preferisci per la tua pausa!

Scrivimi a: fontanella.francesca@gmail.com

Piccolo Eserciziario di Felicità

4 esercizi per trovare la Felicità e viverla, a modo tuo.

Se hai cliccato questo link, ti interessa la Felicità. Meglio ancora, ti interessa conoscere esercizi da svolgere in autonomia per ottenere Felicità. Eccone alcuni, apparentemente distinti ma integrati.

#Esercizio 1: Com’è fatta la Felicità?

Come rappresenteresti la Felicità?

Somiglia a una canzone? Oppure a una fotografia? O a una parola, un colore? Forse somiglia a un odore o a un sapore?

Concediti di dare un’aspetto concreto alla Felicità.

Ora che conosci la tua rappresentazione di Felicità puoi:

  1. Portarla con te e incontrarla più spesso;
  2. Ricordare che la Felicità è altro da te, così come l’Infelicità. Puoi provare Felicità e essere in relazione con la Felicità, puoi collaborare con la Felicità, sfidarla, amarla, volerla vicina…

Questo esercizio ha come riferimento teorico il concetto di “Esternalizzazionne del problema” di Micahel White.

#Esercizio 2: Dove senti, nel corpo, la Felicità?

Se ascolti la canzone che rappresenta, per te, la Felicità oppure ne guardi la fotografia, ne ripeti a voce alta – o tra te e te – la parola associata, ne annusi l’odore o ne gusti il sapore…

Dove senti la Felicità? Forse al petto? Sulle braccia o sulle gambe? Sulle labbra?

Ora che sai dove sei solito sentire la Felicità puoi:

  1. Rievocare questa sensazione durante la giornata;
  2. Rievocare questa sensazione quando ti trovi in momenti difficili.

Questo esercizio ha come riferimento teorico scientifico il Focusing di Eugene Gendlin e le metafore terapeutiche di David Gordon.

#Esercizio 3: Quali comportamenti ti fa fare la Felicità?

Azioni: Quando provi Felicità che cosa fai? Leggi? Chiacchieri? Fai sport? Cucini?

Pensieri: Quali pensieri fai quando provi Felicità?

Ora che hai notato quali comportamenti ti fa fare la Felicità puoi:

  1. Ripeterli per vivere la Felicità;
  2. Condividerli.

#Esercizio 4: Che faccia ti fa fare la Felicità?

Che espressione assume il tuo volto quando provi Felicità? Puoi farmi una cortesia? Vai allo specchio e prova la tua “Espressione da Felicità”… un po’ di più… ancora un po’… non esagerare, ora! 😉

Ora che hai notato qual è la tua espressione di Felicità puoi:

  1. Rifarla allo specchio tutte le volte che vuoi:
  2. Mostrarla agli altri.

Questo esercizio ha come riferimento teorico scientifico gli studi di Paul Ekman sulle espressioni facciali riferite alle emozioni primarie.

Facendo questi 4 esercizi, hai inizato a entrare in contatto con la Felicità.

Puoi conoscere altri esercizi o approfondire questi…

Puoi vivere la Felicità con più frequenza,

Puoi assaporarla senza temerla e,

aspetto importante,

godere la Felicità senza scivolare nell’Euforia.

Ti propongo …

La soluzione che ho messo a punto per te: Esercizi di Felicità.

Comprende 3 incontri, alcuni esercizi da fare a casa, in autonomia – che puoi condividere con chi vuoi tu – e la copia cartacea di Kαιρός ( Kairós ).

Ti piace l’idea? Puoi chiedermi maggiori informazioni scrivendo a fontanella.francesca@gmail.com

Ricevere e Esprimere Apprezzamenti è terapeutico

Un atto è terapeutico nel momento in cui permette di raggiungere una situazione emotiva, cognitiva, fisica, migliore di quella attuale. In questo senso, ricevere e esprimere apprezzamenti è terapeutico per sé e per le proprie relazioni.

Ricevere un apprezzamento

Alcune persone (molte, nella mia esperienza!), quando ricevono complimenti, mostrano disagio. Appaiono come se provassero imbarazzo, come se non fossero d’accordo con il complimento, come se dubitassero della sua sincerità.

Vi è capitato di vivere questa esperienza?

Accettare di meritare un complimento può essere un indice di rispetto verso se stessi. Accogliere un complimento con gioia è assimilabile ad accogliere un dono con gioia.

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Esprimere un apprezzamento

Qualche volta, sebbene si sia formulato un pensiero di apprezzamento, non lo si esprime a parole. Perché?

Alcuni ritengono che l’altro non ami ricevere apprezzamenti, altri riferiscono di non trovare le parole adatte, qualcun’altro non considera importante manifestare la sua opinione considerando l’ apprezzamento alla stregua di un giudizio, sebbene positivo.

L’apprezzamento è un giudizio (positivo)?

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Questa è una faccenda, che, secondo me, merita attenzione. Prendo in prestito le osservazioni di M.B.Rosenberg (quello del Linguaggio Giraffa).

Seguite il suo ragionamento – senza giudizio 😉 –  potrebbe rivelarsi interessante.

Rosenberg dice che l’apprezzamento è un’opinione. In quanto tale, chi lo formula, si pone nella posizione di giudice e trasmette all’altra persona il messaggio di aver valutato positivamente un suo comportamento.

Secondo Rosenberg, alcuni tipi di apprezzamento possono

alienare dalla vita.

Ossia, possono allontanare dal contatto con le esperienze di vita e rivelare poco di ciò che sta vivendo, pensando, provando la persona che li esprime.

Si possono fare complimenti e apprezzamenti, ad esempio, per manipolare, lusingare, sedurre. Questi apprezzamenti sono volti a ottenere qualcosa in cambio e non veicolano le esperienze percettive di chi li esprime.

L’apprezzamento che funziona è quello che si usa per festeggiare l’altro e per celebrare il modo in cui, ciò che ha detto o fatto, ha arricchito la propria vita.

Come esprimere un apprezzamento che funziona

Ancora seguendo Rosenberg, ecco come esprimere un apprezzamento che funziona: utile e chiaro per chi lo riceve.

  1. Contesto
  2. Emozioni e sensazioni
  3. Desideri soddisfatti

Esempi:

Quando ho letto il tuo ultimo messaggio, ho provato sollievo, speranza. Quelle parole mi hanno dato uno spunto per risolvere la situazione che sto vivendo.

Il lancio che hai fatto mi ha galvanizzata! Grande, avevo bisogno di vedere una bella azione!

Che cena squisita! Questo piatto, così saporito, mi fa sentire rilassata. Desideravo un momento di piacere, grazie!

Bravo! Il bel voto di oggi mi riempie di gioia! Volevo proprio festeggiare i tuoi sforzi!

Chi riceve questo tipo di apprezzamenti, ha chiaro cosa l’altra persona abbia notato di positivo e come questo abbia arricchito la sua esperienza di vita.

Questo è l’aspetto dell’apprezzamento che fa presa: l’aver contribuito ad arricchire l’esperienza di vita altrui.

Di questo tipo di apprezzamenti, secondo Rosenberg, l’essere umano e la società hanno sete.

Ebbene… tocca a te! Quale apprezzamento ti farebbe piacere ricevere oggi? Da chi?

Puoi scriverlo qui sotto nei commenti oppure condividere e commentare dove vuoi tu o, se preferisci più riserbo, puoi scriverlo a fontanella.francesca@gmail.com.

 

Riferimenti Bibliografici:

Rosenberg, M.B. Le parole sono finestre [oppure muri]. 2003, Esserci Edizioni.

 

 

Ieri sera: Maschere e Risate al Club dello Storytelling

Ogni serata è diversa al Club dello Storytelling! Ieri sera si è parlato di maschere e non sono mancate le risate grazie alla verve delle partecipanti: ebbene sì, serata al femminile!

Eccovi il racconto dell’incontro.

Dare vita alla maschera

Continua a leggere “Ieri sera: Maschere e Risate al Club dello Storytelling”

La Paura di sbagliare: un modo per trasformarla in Coraggio di scegliere

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Immagine pixabay.com/johnhain

Ci sono situazioni in cui non si sa cosa fare, cosa scegliere, che direzione prendere. Da un punto di vista biologico ed evolutivo questo fenomeno ha un significato preciso: mancano informazioni per poter prendere con sicurezza una direzione e, nella realtà primitiva, sbagliare direzione poteva essere deleterio per la sopravvivenza dell’individuo.

Alla ricerca di indizi
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Immagine pixabay.com/geralt

L’uomo primitivo, prima di scegliere una direzione, valutava le condizioni ambientali, fisiche, cercava indizi utili per la sua scelta. Lo faceva per sopravvivere e noi siamo i diretti discendenti di quei nostri antenati che hanno – per mutazione genetica o per qualche apprendimento sociale – avuto più cura e prudenza nella ricerca di indizi.

Questo spiega, almeno in parte, la tendenza comune a molti di provare indecisione di fronte alle scelte e di avere Paura di sbagliare.

Si può cambiare direzione

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La strada scelta non è quella definitiva o l’unica disponibile. In ogni momento è possibile cambiare direzione e aprire nuovi sentieri.

Questo aspetto ha particolare importanza quando si è costretti a scegliere – magari anche rapidamente – e non si è trovata, in nessuna delle opzioni di scelta, quella convincente. La sensazione di trovarsi in trappola, in questi casi, è frequente: ricorda a te stesso che dopo una scelta, è possibile farne un’altra.

Non è un esame!

La Paura di sbagliare presuppone che ci siano risposte giuste e sbagliate, come ad un esame. In realtà, in gran parte delle situazioni quotidiane e nelle proprie scelte di vita, la risposta giusta non esiste. La scelta apre uno scenario, un percorso tra altri e il raggiungimento dell’obiettivo dipende da come sarà vissuto il percorso che ci si apre davanti.

Il risultato si raggiunge muovendosi, in quasiasi percorso, in linea con i propri valori e le proprie risorse e competenze.

La storia dei 5 uomini che si perdono nella foresta

Cinque esploratori si persero nella foresta e cercarono di trovare una via d’uscita.

Il primo disse: “Seguirò l’intuizione, come sono solito fare: andrò a sinistra!”. Così fece, usando una caratteristica nel tempo valutata utile: l’intuizione.

Il secondo disse: “Io andrò a destra; ho una sensazione fisica forte che sia questa la direzione giusta e io ascolto sempre il mio corpo!”. Così fece, usando la sua abitudine a fare attenzione ai segnali del corpo.

Il terzo disse: “Penso che tornerò indietro lungo il sentiero da cui siamo arrivati. Mi sembra la soluzione più sicura.”. Così fece il terzo, seguendo il valore della sicurezza.

Il quarto disse: “Secondo me invece è bene andare avanti dritti in questa direzione: ho fiducia che la foresta finirà e troverò un villaggio o una fattoria in cui avere ospitalità e chiedere informazioni.”. Così fece il quarto, scegliendo di agire in linea con il valore della fiducia.

Il quinto disse: “Non so cosa fare. Credo che mi arrampicherò in cima a quell’albero e guarderò intorno per avere più indizi, prima di scegliere.”. Così fece il quinto, desideroso di avere informazioni concrete per operare la sua scelta.

Mentre si arrampicava, il quinto esploratore vide gli altri quattro impegnati a percorrere le direzioni scelte e seppe in quale direzione si trovasse il villaggio più vicino. Scendendo dall’albero, pensò che gli altri non avrebbero dovuto scegliere sentieri diversi e che le loro scelte fossero sbagliate.

Invece…

Ciascun uomo, scegliendo il suo percorso, aveva ottenuto esperienze diverse.

Il primo uomo, andando a sinistra, trovò un sentiero molto lungo, ma, alla fine, capitò in una meravigliosa città.

Il secondo uomo, andando a destra, si trovò a combattere con i lupi e così imparò a sopravvivere nella foresta.

Il terzo uomo, tornando indietro, incontrò un altro gruppo di esploratori, con i quali fece amicizia.

Il quarto uomo, andando avanti dritto, trovò davvero una fattoria in cui fu accolto e gli venne offerto un lavoro.

Il Coraggio di scegliere

Puoi trasformare la Paura di sbagliare nel Coraggio di scegliere usando questi due utili strumenti:

  1. La consapevolezza che, in qualunque momento, puoi usare le tue risorse e i tuoi valori per prendere e cambiare direzione: dopo una scelta, è possibile farne un’altra;
  2. La consapevolezza  che, qualunque sentiero prenderai, arriverai da qualche parte e farai esperienze utili: ogni scelta porta esperienza.

Per ri-scoprire le tue risorse e i tuoi valori, riprendere a operare scelte consapevoli e serene e aumentare le tue possibilità di scelta, puoi appoggiarti alla psicologia.

Dott.ssa Francesca Fontanella

Un’invenzione involontaria

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Tratta da ‘Topolino sull’isola inaccessibile’ – Topolino come me – Disney, Virtù e Difetti a Fumetti- Giunti

Pippo è meraviglioso e, nel suo mondo surreale, magico e semplice, riesce a trovare soluzioni inedite e idee innovative.

Nella storia da cui ho tratto questa vignetta, Pippo costruisce un’ invenzione involontaria.

A partire da un asciugapigiami a molla…

Cercando di costruire un asciugapigiami a molla, Pippo inventa uno strano mezzo per poter raggiungere e salvare Topolino, relegato nell’isola inaccessibile: il sopramarino.

L’invenzione del sopramarino è involontaria perché Pippo, nel costruirlo, aveva in mente di costruire tutt’altro, ossia un asciugapigiami a molla.

Serendipità

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Lo scrittore Horace Walpole, nel 1754, scrisse una lettera ad un amico in cui coniò il termine ‘serendipità‘. Walpole prese spunto per il suo neologismo da una fiaba persiana: “Tre prìncipi di Serendippo” (Serendip è l’antico nome persiano dello Sri Lanka).

È stato una volta che lessi una favoletta dal titolo I tre prìncipi di Serendippo. Quando le loro altezze viaggiavano, continuavano a fare scoperte, per accidente e per sagacia, di cose di cui non erano in cerca: per esempio, uno di loro scoprì che un cammello cieco dall’occhio destro era passato da poco per la stessa strada, dato che l’erba era stata mangiata solo sul lato sinistro, dove appariva ridotta peggio che sul destro – ora capisce la serendipità? (Horace Walpole’s Correspondence, Yale edition)

La serendipità indica la casualità di fare scoperte interessanti, utili, importanti

mentre non si stavano cercando o si stava cercando altro.

Maionese, panettone, America e scoperte scientifiche

Si raccontano molte storie di serendipità, talora impreziosite dalla fantasia e disconfermate da studi più accurati. Mi vengono in mente, ad esempio, le narrazioni rispetto all’invenzione della salsa maionese e del panettone. Anche Cristoforo Colombo raggiunse l’America casualmente, mentre era diretto alle Indie e persino alcune scoperte scientifiche sembrano essere avvenute casualmente: la colla dei post-it, la penicillina, la possibilità di cuocere a microonde, i neuroni specchio…

Questa non me l’aspettavo!

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Anche nell’esplorazione di sé, capita di incontrare scoperte casuali. Ti è mai capitato?

A me è capitato come donna e lo osservo ogni giorno nel mio lavoro, mentre ascolto le vostre narrazioni. Capita così, per caso… la riflessione sta andando in una direzione di benessere e ad un tratto, proprio così, proprio per caso, le parole assumono un significato nuovo e appaiono soluzioni di agile portata, fino a poco prima inimmaginabili.

Questo tipo di svelamento, talora, è detto insight, ossia un fenomeno intuitivo che, ad un tratto, fa mettere in ordine i pezzi e permette di comporre il puzzle in un’immagine inaspettata.

Si tratta di due fenomeni leggermente diversi, anche se intersecantisi: l’insight è più spesso riferito alla scoperta di qualcosa che si sta cercando (un’invenzione volontaria), la serendipità è, invece, riferita alla scoperta casuale di qualcosa che non si stava cercando (un’invenzione involontaria, alla Pippo).

L’effetto finale di entrambi è una scoperta che, se ben usata, può cambiare la vita.

Dott.ssa Francesca Fontanellapippo

 

 

 

Ot-ta-ti-vo: le parole per esprimere desideri

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In questo articolo prendo in prestito conoscenze acquisite durante la scuola superiore che ho avuto la fortuna di re-incontrare, in modo divertente e accattivante, durante la lettura di un libro di Andrea Marcolongo (La lingua Geniale. 9 ragioni per amare il greco. Ed. Laterza).

Vado ad attingere al bacino della grammatica greca e, nello specifico, ad un modo verbale (i modi verbali sono, ad esempio, l’indicativo, il congiuntivo, il condizionale…). Il modo verbale del greco antico che ci serve per questo articolo è l’Ottativo.

Promesso, non si parla di grammatica,

ma di desideri da realizzare e obiettivi da raggiungere!

Il Grado di Realizzabilità di un desiderio

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In greco antico si usavano i verbi per indicare quanto fosse realistico un progetto o realizzabile un obiettivo. Meglio, non quanto fosse realistico il progetto a priori, ma quanto lo fosse per la persona che ne parlava.

Il Grado di Realizzabilità era definito dal modo verbale che la persona sceglieva per descrivere un desiderio, un obiettivo, un progetto.

Questo significa che la persona, mentre parlava del desiderio, usava il modo verbale che indicasse quanto la persona stessa lo ritenesse realizzabile.

Ecco gli esempi! 😉

Vediamo i Gradi di Realizzabilità, così come li propone Mastrolongo, usando la frase:

“Vorrei andare per mare!”

Grado di Realtà: la barca è attraccata al molo e sono pronto a salpare. (Modo indicativo in greco antico). La persona che esprime questo desiderio, ne sta mostrando l’attuabilità e la sua volontà di realizzarlo.

Grado di Eventualità: la barca è attraccata al molo e sono pronto a salpare, se il vento fosse favorevole. Aspetto domani. (Modo congiuntivo in greco antico.). La persona che esprime questo desiderio è pronta anche se le condizioni non sono favorevoli. Sceglie di aspettare. Forse partirà, forse rimanderà ancora, per motivi diversi.

Grado di Possibilità: la barca è attraccata al molo, ma non so navigare. Devo imparare, avere coraggio, rischiare. Il vento non è buono, ma lo sarà a breve. La barca è bella sul molo, ma è fatta per navigare. (Modo ottativo in greco antico.). La persona che esprime questo desiderio sa di aver bisogno di preparazione e coraggio per salpare. Sa anche aspettare il momento propizio; non rimanda.

Grado di Irrealtà: non ho una barca, soffro il mal di mare e vivo in  montagna. Non ho alcuna volontà di cambiare le cose, non c’è nulla che io possa fare. (Modo indicativo in greco antico.). La persona che esprime questo desiderio potrebbe aver constatato un’impossibilità assoluta di realizzare l’obiettivo; potrebbe, anche, considerare impossibile il suo obiettivo perché non è disposta ad investirvi tempo e energie.

Esercizio

1) Pensa ad una cosa che desideri ottenere, un obiettivo che vorresti raggiungere, un progetto da realizzare;

2) Pronuncia a voce alta o scrivi una frase che inizi con “Vorrei”;

Ad esempio: vorrei cambiare città, vorrei ricominciare a studiare, vorrei un altro lavoro, vorrei migliorare le mie relazioni…

3) Concentrati sulle sensazioni, i pensieri e le emozioni che ti attraversano mentre pronunci o scrivi la frase: a quale grado di Realizzabilità appartengono, secondo te? Ti stanno comunicando che ritieni il tuo desiderio (obiettivo o progetto) qualcosa di reale, eventuale, possibile, irreale?

Ot-ta-ti-vo: rendi il tuo desiderio possibile
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Se ci tieni, se vuoi che il tuo desiderio sia possibile, puoi “esprimerlo in ottativo”.

Esprimere il tuo desiderio in ottativo significa che puoi allenarti, imparare, avere coraggio, rischiare; significa che sai attendere il momento propizio, ma non rimandi perché sai che la barca è bella, sul molo, ma è fatta per navigare. 

Dott.ssa Francesca Fontanelladesiderio

Come un uomo ha ricominciato a credere in se stesso: un albero, una storia-canzone e una sbirciatina al cielo azzurro

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Neil (nome di fantasia), è un uomo di 40 anni che non trova più stimoli nella sua vita: le vecchie passioni lo annoiano, le amicizie si sono allontanate e, mi dice: “Non ho uno straccio di relazione damore!”. Trascorre gran parte del suo tempo libero in casa, giocando con il computer e guardando la televisione.

“È una vita ridicola per un uomo giovane! Capisco che va fatto qualcosa, ma non so cosa! Non mi piace niente!”

Proprio niente?

Neil sta bene con se stesso durante le sue lunghe passeggiate nei boschi, l’unica attività che lo ha accompagnato in tutta la vita, sin da bambino, senza stancarlo. Osserva la natura e apprezza la serenità che gli trasmettono gli alberi:

“che stanno fermi e nessuno chiede loro niente! Vorrei essere un albero!”

Siamo partiti da qui. Abbiamo dedicato tre incontri alla creazione del suo “Albero della Vita” usando pennarelli colorati e pezzi di stoffa: l’albero diveniva via via più rigoglioso e Neil cominciò ad aggiungervi dettagli – fiori, frutti, un uccellino, farfalle …-. Secondo il modello della pratica narrativa, l’albero è stato impreziosita da contenuti importanti nella vita di Neil: le  origini, le attività preferite, le persone significative, i valori, i desideri…

“È un albero vitale!”

Neil trova la canzone giusta

Neil associa all’albero una canzone che gli ricorda la sua situazione di vita e sceglie Favola, di Eros Ramazzotti.

 

Neil riflette su queste parole del testo:

“[…] fu per scelta sua che si fermò, e stava lì a guardare la terra partorire fiori nuovi.”

“[…] Ho tutto il tempo per me, non ho più bisogno di nessuno”

Neil non vuole fermarsi a guardare il mondo e gli altri ‘partorire fiori nuovi’, vuole concedersi di agire e ricominciare a vivere. Ritiene, inoltre, di avere bisogno della compagnia di altri e di desiderare uscite con gli amici e la possibilità di conoscere persone nuove.

Neil coglie un suggerimento, anzi, due!

L’ascolto della canzone, offre  a Neil un duplice suggerimento, più o meno a questo punto:

“[…] ma un giorno passarono di lì due occhi di fanciulla, due occhi che avevano rubato al cielo un po’ della sua vernice. E sentì tremar la sua radice.”

Suggerimento 1 :L’azzurro

Suggerimento 2: L’amore

Neil comincia a lanciare più spesso sguardi verso l’azzurro del cielo -il suo colore preferito da sempre- acquista una maglietta turchese, organizza una gita al lago con vecchi amici, vuole conoscere nuove persone e trovare l’amore.

Il giro di boa

A metà estate, Neil si iscrive ad un corso di vela:

“Desidero l’aria sul viso, essere circondato dall’azzurro, sentire il sole sulla pelle.”

Neil ha ricominciato a vivere e a frequentare persone, tra cui diverse nuove conoscenze. Da qualche settimana, frequenta una ragazza, dagli occhi azzurri.

“Mi sento bene ed ora voglio vivere. Avevo paura: sono passato dalla paura di vivere alla gioia di vivere!”

Puoi fare anche tu un percorso simile! Hai mai pensato di concedertelo?

Dott.ssa Francesca Fontanellauomo_felice

 

Un bar, un latte macchiato e Morricone

latte-e-musica

Ieri. Temperatura che si abbassa, scarpe troppo leggere per la stagione e i piedi freddi. In un momento di pausa, raggiungo il bar del palazzo in cui lavoro e, nel comfort di poltroncine e tavolini, ordino un latte macchiato.

Con la tazza grande in mano, mi riscaldo così!

SongTherapy e rilassamento. SongTherapy e potenziamento. SongTherapy e tono dell’umore. SongTherapy motivazionale. SongTherapy e emozioni.

Ne parliamo prossimamente, se vi va! 🙂latte-e-musica

Dott.ssa Francesca Fontanella