Le Paure: Perché e Soluzioni in una canzone di Jovanotti

Le Paure hanno un lato noto e uno – spesso – sconosciuto.
Il lato noto delle Paure è la Paura stessa, quello sconosciuto rovescia il punto di vista e fa scoprire qualcosa di tutt’altro che banale: il desiderio dietro la paura.

Le Paure sono diverse dalla Paura. La Paura è un’emozione e ha l’ obiettivo di tenerti lontano dai pericoli. Le Paure possono essere convinzioni maturate con l’esperienza o tramandate da persone care che invitano a evitare determinate situazioni perché potrebbero essere pericolose.

Qualche volta le Paure sono alimentate dall’Ansia, un emozione che aiuta a prevedere le conseguenze e a pianificare, ma che, talora, pretende di prevedere conseguenze imprevedibili.

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Il lato noto delle Paure

Le Paure hanno un lato noto e uno – spesso – sconosciuto.

Il lato noto delle Paure è la Paura stessa, nella formula in cui ti si presenta:

  • La paura del buio
  • La paura di volare
  • La paura delle malattie
  • La paura dei ragni
  • La paura dei cani
  • La paura di fallire in un compito

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Il lato noto delle Paure è, quindi, il lato che conosci già, che ti frena nel provare delle esperienze o, magari, ti fa scappare a gambe levate.

Quello che forse non hai mai conosciuto è…

Il lato nascosto delle Paure

Personalmente immagino questo lato nascosto come se fosse il riflesso allo specchio delle Paure perché ne è l’immagine rovesciata. Il lato nascosto delle Paure offre

un punto di vista strambo. 

Te la ricordi la canzone Mi fido di te di Lorenzo Cherubini?

La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare.

Sì, va bè: il solito lato positivo delle cose!

Mmm, no! Il lato nascosto delle Paure non è necessariamente un lato positivo.

Il lato nascosto delle Paure descrive ciò che si vorrebbe accadesse al posto della cosa di cui si ha paura.

Ad esempio:

Quando si prova paura del buio, si desidera che vi sia luce.

>> Desiderio di luce anziché paura del buio.

Cambia qualcosa nelle tua percezione della paura del buio se noti che si tratta di desiderio di luce?

La soluzione all’interno del lato nascosto delle Paure

Come per la paura del buio la soluzione – top – è la luce, per ogni paura si può scovare la soluzione ottimale all’interno del suo lato nascosto.

Tuttavia, non è solo questo che mi interessa raccontare nell’articolo. Vorrei aiutarti a osservare un paio di dettagli che derivano dalla precedente – apparentemente – semplice riflessione.

  1. Se la soluzione ottimale è la luce, di volta in volta, sarà importante chiedersi come ottenere la luce più che allarmarsi per il buio. Si può premere l’interruttore, accendere una candela, aprire una finestra, raggiungere un lampione…
  2. Puoi provare a chiederti di più e a esplorare il significato del desiderio di luce.

Alcune domande utili a tal fine

  1. Come mai è importante la luce?
  2. Chi conosci che, come te, trova importante la luce?
  3. Quali parole associ a “luce”?
  4. Una volta che hai ottenuto la luce, cosa ottieni, oltre a non provare più paura?

Puoi usare, anche, la “Catena dei Perché” 

Un esempio tratto da un esperienza in famiglia:

Perché è importante la luce?

Per vedere la cose!

Perché è importante vedere le cose?

Per controllare dove sono e non inciampare.

Perché è importante controllare e non inciampare?

Per sentirsi sicuri!

La sicurezza è importante per te?

Sì!

In questo caso, il desiderio di luce aiuta a ottenere sicurezza: ora che la persona lo sa, potrebbe interessarle scovare altri modi per ottenere sicurezza. Se ben usati, essi possono piano piano aiutarla a non provare più Paura del buio.

Più specifica è la Catena dei Perché, più può aiutare a scoprire, all’interno del lato nascosto delle Paure, il significato personale delle singole Paure e  a creare la possibilità di superarle, lasciarle andare o provarle con meno intensità.

Ricapitolando: Rovescia la Paura e fatti delle Domande! 🙂

Hai appena provato a rovesciare una tua Paura? Cosa ne è saltato fuori?

Se ti va, puoi scriverlo nei commenti oppure all’indirizzo fontanella.francesca@gmail.com

 

Una decisione da prendere…

Ho una decisione da prendere e, mentre utilizzo questo strumento creativo che conosco, lo condivido con te…

La questione mi pare stia in quella parola: “prendere“. Una volta che si è presa la decisione, la si è presa. La si può anche mollare?

In molte situazioni sì. Sto pensando alle piccole e grandi decisioni quotidiane che possono essere modificate o, addirittura, reversibili.

Per questo tipo di decisioni potrebbe interessarti Decidere di decidere: il dilemma della scelta.

Tuttavia, mi trovo in un situazione personale in cui debbo scegliere per la mia salute. Ohibò… qui la faccenda si fa multi-sfaccettata e prendere la decisione implica prenderla e tenermela.

Premetto che non ho ancora deciso anche se…

Volendo metterci tutta la sincerità, mi ci sto dedicando poco e sto rimandando la decisione con quel fare un poco buffo che ha l’essere umano in alcune occasioni: evita, procrastina, aspetta… Strategia poco utile, come immaginerai!

Nonostante questo, è arrivato il momento di mettermici con impegno.

Porsi domande che possano aiutare

Per prendere una decisione, ci sono alcune domande che può valere la pena porsi e che, qualche volta, sono la chiave per decidere. Ad esempio puoi chiederti:

  1. Qual è la storia della situazione?
  2. Quali obiettivi ho?
  3. Quali valori ho?
  4. Chi è importante per me? Cosa direbbe?
  5. Per ogni opzione di scelta:

    1. Cosa mi trattiene?
    2. Cosa mi attrae?

Se non basta o se questo ti sembra un esercizio che ti porta a rimuginare senza arrivare alla decisione, puoi provare…

Il Dialogo tra le Parti (a modo mio)

Una decisione da prendere_

Questo strumento nasce dalla descrizione di R. Dilts e lo ho incontrato per la prima volta grazie al collega Antonio Amatulli. Ho scelto, nella pratica clinica, di integrarlo alle tecniche immaginative e alla narrazione pertanto, dell’esercizio originale resta solo la scocca.

L’esercizio può essere usato nel caso in cui la decisione dipenda dalla sensazione di sentirsi in conflitto con se stessi. Mi spiego meglio.

Mettiamo che una persona debba decidere se andare a un appuntamento a piedi oppure in auto. Questa decisione potrebbe dipendere dal meteo, dal tempo a disposizione, dalle distanze, dalla disponibilità dell’auto… Queste variabili non implicano un conflitto con se stessi.

Se, invece, andare a a piedi implica la libertà perché, andando in auto, la persona sarebbe costretta a dare un passaggio a una persona che non apprezza… bè, potrebbero entrare in gioco alcuni valori che sembrano contrastarsi: libertà e rispetto di sé; disponibilità e rispetto per l’altro.

Quando entrano in gioco valori di questo tipo, la decisione può essere percepita come un conflitto.

Il Dialogo tra le Parti arriva in soccorso e aiuta a dipanare i nodi del conflitto dando spazio all’esplorazione dei valori e trasformandoli in personaggi che possono dialogare tra loro e confrontarsi rispetto alle loro risorse e alle loro aspettative.

Questo gioco comunicativo e narrativo aiuta la persona a comprendere le ragioni di entrambe le parti, trovare eventuali punti d’accordo oppure simpatizzare per una delle due.

Trasformando il conflitto da “interiore” a “esteriore”, si facilita la decisione.

Questo esercizio richiede un’ora di tempo e un po’ di pratica per essere utilizzato in modo efficace e non risultare solo un virtuosismo fine a se stesso. Una volta acquisito, potrai usarlo in autonomia in altre situazioni di conflitto decisionale.

Hai una decisione da prendere? Quale? Che ne pensi de Il Dialogo tra le Parti?

Puoi scrivermi le tue riflessioni a fontanella.francesca@gmail.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vivere con il dolore cronico: 4 (+1) strategie

Una recentissima ricerca offre 4 (+1) strategie per ridurre il dolore cronico e i suoi effetti collaterali emotivi e relazionali.

Il dolore cronico è frequente: in Europa si stima l’incidenza del dolore cronico non oncologico al 22% della popolazione.

Cosa si intende per dolore cronico?

La IASP (International Association for the Study of Pain – 1986) definisce il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno.

E’ un esperienza individuale e soggettiva, a cui convergono sensoriali, esperenziali e affettive.

Il dolore cronico è duraturo, spesso determinato dal persistere dello stimolo dannoso e/o da fenomeni di automantenimento, che mantengono la stimolazione nocicettiva anche quanto la causa iniziale si è limitata. Si accompagna ad una importante componente emozionale e psicorelazionale e limita la performance fisica e sociale del paziente. E’ rappresentato soprattutto dal dolore che accompagna malattie ad andamento cronico (reumatiche, ossee, oncologiche, metaboliche..). E’ un dolore difficile da curare: richiede un approccio globale e frequentemente interventi terapeutici multidisciplinari, gestiti con elevato livello di competenza e specializzazione.

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=3769&area=curePalliativeTerapiaDolore&menu=terapia

Gli effetti psicologici del dolore cronico

Il dolore cronico può generare ansia, tristezza e depressione, diminuzione della fiducia in se stessi e calo dell’interesse nelle relazioni interpersonali.

Questo può avere ripercussioni in ambito familiare e lavorativo amplificando il disagio emotivo e, ahimè, anche il livello di dolore cronico!

Infatti, avendo il dolore una componente affettiva, una situazione di disagio emotivo può accentuare la percezione del dolore, aumentandone, di fatto, il livello.

Le strategie per vivere con il dolore cronico

Una recentissima ricerca – dettagli in bibliografia – di L. Phillips, ha esplorato le strategie di resistenza al dolore cronico, identificandone 4 tipi principali:

  1. Strategie di distrazione: svolgere attività di interesse che, distraendo, alleviano il dolore;
  2. Strategie di spostamento del focus: simili alle precedenti, con la differenza che la persona sposta volutamente l’attenzione su altro rispetto al dolore. Tra queste strategie potremmo annoverare la mindfulness e altre tecniche di rilassamento e immaginative;
  3. Strategie di indagine: esplorazioni delle cause del dolore e approfondimento delle soluzioni per ridurre il dolore;
  4. Ri-negoziazione relazionale: azioni volte a restituire equilibrio alle relazioni interpersonali, messe in discussione dal terzo incomodo del dolore cronico.

Ce n’è una quinta…

Phillips propone, anche, un’altra stategia. Ella ritiene utile porre, a chi soffre di dolore cronico e le chiede un aiuto terapeutico, la  questa domanda:

“Vuoi parlare del dolore o c’è qualcos’altro che ti preme di più?”

Phillips ha osservato che, quando le persone preferiscono parlare di altri temi (di altre difficoltà)  connessi e non al dolore cronico, si crea uno spazio terapeutico in cui sperimentano la possibilità di essere attive nella risoluzione delle difficoltà – con conseguente aumento dell’autostima positiva e del senso di autoefficacacia —

Inoltre, il tema di cui preme loro parlare, si rivela  premere – metaforicamente – anche sul dolore, accentuandolo. Talora, se ne rivela una delle cause. Parlare di altre questioni e difficoltà e trovare soluzioni, influenza positivamente anche la percezione del dolore, il cui livello diminuisce.

Cosa suggerisce questo studio?

Lo studio di Phillips offre due spunti di riflessione:

  1. L’importanza di trovare strategie personali in almeno una della categorie proposte;
  2. L’utilità di indirizzare le proprie energie a parlare di temi e questioni alternativi al dolore cronico.

Lo studio ci dice che, attraverso queste due modalità, è possibile ridurre il dolore, ridurne gli effetti collaterali psicologici e scoprirne cause inesplorate.

Soffri di dolore cronico e vuoi allenarti a ridurre il dolore?

Parliamone e cerchiamo le domande e le risposte più utili a te!

Fonti:

Phillips, L. (2017). A Narrative Therapy Approach to Dealing with Chronic Pain. The International Journal of Narrative Therapy and Community Work, 1, 21-30.

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=3769&area=curePalliativeTerapiaDolore&menu=terapia

Emma e la Paura dei ragni

Come Emma ha cambiato la sua relazione con i ragni e con la Paura dei ragni grazie alle tecniche immaginative, al suo nipotino e a un giornale per ragazzi…

Ogni tanto ho l’onore di raccontare le storie di persone che arrivano da me, costruiscono soluzioni utili e desiderano condividere i loro risultati. Oggi vi racconto di Emma (nome di fantasia) e della Paura dei ragni.

Aracnofobia e Paura dei ragni

Tecnicamente, l’Aracnofobia e la Paura dei ragni sono diverse. Secondo i manuali diagnostici, la fobia è pervasiva e più intensa della Paura. Dato che, tuttavia, qualche volta è difficile distinguerle e dato che, tutto sommato, questa distinzione non ha poi così importanza, parlerò di Paura dei ragni.

Emma non li sopporta!

Io i ragni non li sopporto! Schifosi e inutili, li trovi dappertutto!

La Paura dei ragni di Emma è di lunga data: non le sono mai piaciuti, ma ora, da un po’, le capita di sognarli. Nei sogni si fanno grandi e la sovrastano, impedendole di respirare.

Capita così che, durante il giorno, quando ne vede uno – e Emma scova i ragni con molta precisione! – comincia a mancarle il respiro, perché ricorda i suoi sogni.

Mi prende l’ansia perché immagino che, da un momento all’altro, il ragno diventi grande e mi sovrasti. Anticipo quello che di solito accade nel sogno accade e mi trovo senza respiro, in affanno!

Le proviamo tutte (o quasi!)

Vorrei svelare un segreto: qualche volta, per co-costruire le soluzioni, ci vuole tempo, pazienza e la disponibilità a provare, sperimentare, capire cosa funzioni e cosa no. È il caso di Emma: arriva da altre terapie e ha provato molte strategie di auto-aiuto, ma non è riuscita a risolvere il problema.

In prima battuta, anche io e lei non riusciamo a creare il cambiamento desiderato, anche se arrivano piccoli miglioramenti.

Ad esempio, ci concentriamo sul sogno e ne emergono interessanti riflessioni di tipo simbolico che le permettono, a un certo punto, di non fare più questi incubi. Ma la Paura dei ragni persiste.

Lavoriamo con tecniche di risoluzione emotiva rapida e queste aiutano Emma a concentrarsi meno sui ragni. Non passa più il suo tempo a fare una scansione degli angoli delle stanze e anche in studio non guarda più con sospetto la pianta – finta! -alla ricerca di un ragno. Però, se vede un ragno, di nuovo quella sensazione di soffocamento.

Un aiuto inaspettato

Emma ha un nipotino che adora leggere i giornali di scienze per bambini. Un pomeriggio, Emma si trova con il suo nipotino e vede un ragno. Preoccupata per le sue reazioni, inizia subito a concentrarsi sulla respirazione.

Che fai zia?

Ho visto un ragno!

Quello?

— [Emma continua a respirare]

Perché stai così concentrata?

Respiro perché sennò mi prende la Paura dei ragni.

Il nipotino prende, da un mucchio, una rivista e lo sfoglia in cerca di qualcosa…

Quando la trova si ferma e mostra alla zia l’immagine di un ragno con gli stivali di gomma!

Sai zia, i ragni, con tutti questi stivali, si inciampano!

Zia e nipote ridono insieme, ma Emma non sa che…

Ragno_stivali
Immagine tratta da Gli Speciali di Focus Junior n.134/2015

Quell’immagine è la svolta!

All’incontro successivo Emma mi racconta questo episodio e mi chiede di riprovare con le tecniche immaginative usando l’immagine del ragno con gli stivali di gomma.

In un paio di incontri e con l’esercizio costante tra un incontro e l’altro, Emma supera la Paura dei ragni che diventano animaletti con gli stivali che inciampano a ogni passo. Quando li vede, non le si blocca più il respiro.

Emma ci scherza su:

Poveracci, non è neanche questione di scarpe! Qualsiasi scarpa non sarebbe comoda per loro!

Quando il nipotino e Focus Junior sono terapeutici! 😉

Hai superato una paura?

Raccontaci come hai fatto a cambiare il tuo rapporto con lei! fontanella.francesca@gmail.com

Alleggerire i pensieri stirando (i punti di domanda)

Una favola illuminante racconta come alleggerire i pensieri stirando … i punti di domanda! Avvertenza: Non leggere se non piace stirare! 😉

Questo articolo vuole giocare un po’, anche se non troppo! Vi capita di avere pensieri “pesanti”, “confusi”, “ricorrenti”? Oggi proviamo ad alleggerirli stirandoli.

Domande e risposte

Diversi anni fa lessi un libro di favole che si intitola “Fiabe di Cioccolato“. L’autrice è Laura Perassi, per i lettori Lauretta. Tra i racconti ve n’è uno che narra la storia di un punto di domanda che parte per un lungo viaggio, desideroso di trovare risposte alle sue domande. Dopo una lunga serie di avventure e un’ancor più lunga serie di domande aggiuntive raccolte durante il viaggio, il punto di domanda incontra chi trova una soluzione: viene poggiato su un asse da stiro, stirato e trasformato in un diritto punto esclamativo!

Una buona soluzione?

Questa soluzione è buona a metà: qualche volta, farsi troppe domande, può bloccare le capacità decisionali. In questo senso, meno domande è meglio.

Tuttavia, porsi delle domande è, altre volte, essenziale per trovare soluzioni a faccende quotidiane, fatti di vita, questioni relazionali; per scegliere e decidere; per cambiare qualcosa che si desidera cambiare di se stessi e della propria vita.

In questo articolo diamo spazio alle occasioni in cui può essere utile stirare i punti di domanda.

Quando può essere utile stirare punti di domanda

Come alleggerire i pensieri stirando i punti di domanda

Un’occasione in cui trovo utile stirare punti di domanda è quando ci si ritrova ricorsivamente a pensare alla stessa cosa, rischiando di rimanerne intrappolati. Di solito questo produce sofferenza. Ci sono modi diversi, riferiti a diversi approcci psicologici, che possono aiutare a lasciar andare i pensieri ricorsivi. Eccone uno.

Si può accogliere il pensiero come uno dei tanti fatti che stanno accadendo in quel preciso istante e immaginarlo come una nuvola che, per sua natura, si sposta e/o si dissolve.

Il passaggio da ? a ! sarebbe il seguente:

Perché penso a questa cosa?

Oh, penso a questa cosa! [e la lascio andare]

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Dalla ricerca di spiegazione all’accettazione

In questo caso, modificare la prima frase con il punto esclamativo sposta l’attenzione dall’ansia di trovare una spiegazione allo stupore di poter accogliere il pensiero per quello che è.

Prima, l’attenzione è sul “perché”: se la risposta al “perché” non arriva subito, l’organismo manda un segnale di allarme. La ragione è che tutto ciò che è incerto – ambiguo – in natura può essere un potenziale pericolo. Il segnale d’allarme stimola a cercare la risposta, continuamente, non lasciando riposo alla persona e privandola della possibilità di occuparsi di altro.

Dopo, l’attenzione è sull’arrivo del pensiero che, com’è arrivato, può anche andare. E magari ritornare.

A cosa serve questo esercizio?

  1. A uscire dal circuito vizioso del “perché” che può suscitare ansia, angoscia, senso d’urgenza, senso di impotenza…;
  2. A concedersi di osservare il pensiero per ciò che è: un evento tra altri;
  3. A notare il va e vieni del pensiero.

Quando il pensiero ritorna: l’altra faccia del “perché”

Più la questione è per te importante, più il pensiero ritorna, bussa, batte, interferisce. Quindi puoi pensare che, se torna, hai bisogno di conoscerne i significati e gli scopi.

Hai bisogno, più che di un “perché-causa”, di un “perché-scopo” ossia: a cosa mi serve questo pensiero? Cosa vuole dirmi? Cosa vuole ottenere? Quale conseguenza positiva ne deriva?

Mentre l’esercizio descritto sopra puoi farlo in autonomia questa parte, che coinvolge l’altro “perché”, può richiedere un aiuto, un sostegno. Qualche volta ne serve uno breve, qualche volta uno meno breve. Chiedilo e goditelo senza confronti: ogni storia è unica!

Vuoi scoprire il “perché-scopo” di un tuo pensiero?

Scrivimi a fontanella.francesca@gmail.com

 

Il labirinto emotivo del lutto: trovare nuove direzioni dopo la perdita di una persona cara

Dopo un lutto, recente o passato, ci si può trovare in un labirinto emotivo. Un delicato sostegno psicologico e attività mirate per trovare la propria direzione.

Vivere l’esperienza di perdita di una persona cara è uno degli eventi di vita che più coinvolge la salute psico-fisica di chi si trova a convivere con l’accaduto, a prenderne atto e a cercare di darsi opportunità per continuare la propria vita.

Non è facile per gli adulti, non è facile per i bambini.

Un labirinto emotivo

Il labirinto emotivo del lutto

Dopo la perdita, le persone riferiscono di non riuscire a capire bene cosa provino: talora rabbia, talora tristezza, talora dolore e disperazione.

Qualcuno riferisce sensi di colpa – per cose non fatte e parole non dette – , sconcerto per la perdita, senso di ingiustizia.

Oppure ansia e paura che possa capitare un altro lutto, rassegnazione e perdita della voglia di vivere.

Frequente è anche la sensazione di non provare alcuna emozione.

Queste emozioni e sensazioni si intrecciano tra loro, vanno e vengono creando confusione e disorientamento, come in un labirinto.

Percorsi e direzioni diversi

Per trovare l’uscita dal labirinto e, quindi, mettere ordine tra pensieri e emozioni e riuscire a riprendere a vivere nonostante la perdita, non c’è un percorso unico, ma incroci e biforcazioni in cui ognuno può scegliere la direzione da prendere e il percorso più in linea con i suoi valori e le sue caratteristiche.

Un passaggio utile è restituire – a chi resta – il legame con la persona cara affinché possa essere una guida nelle scelte di vita e un punto di riferimento, sebbene su un piano diverso da quello fisico. Questo passaggio può richiedere il sostegno di uno psicologo, in particolare per i familiari stretti e per i bambini.

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Fotografie, Storie, Canzoni, Ricordi e un Gioco Psicologico

Ho imparato ad accogliere professionalmente il lutto attraverso attività che permettono di ricordare e restituire consistenza alla relazione e al legame con la persona cara.

Guardando qua e là in questo blog, potete trovare articoli e appunti che descrivono gli strumenti che utilizzo di più:

Recentemente, nella cornice teorica della Terapia Narrativa, ho scelto di utilizzare un Gioco Psicologico che, attraverso un’attività strutturata – sebbene flessibile -, integra tutto quanto sopra in modo creativo e delicato.

Per i bambini

Il labirinto emotivo del lutto 2

I bambini possono reagire al lutto in molti modi: possono mostrare tranquillità e indifferenza, possono mostrare il dolore con comportamenti di chiusura e/o aggressività, possono avere un calo del rendimento scolastico, un calo dell’appetito, faticare a dormire o riprendere abitudini di quando erano più piccoli.

Tutti questi comportamenti nascondono una sofferenza intensa che merita attenzione.

Non lasciare che i bimbi elaborino il lutto senza un sostegno professionale!

La morte, per chi sta iniziando a vivere  – come un bambino – , appare come qualcosa che non ha senso.

Se ti va, accompagnalo in questo percorso: sarà utile anche a te.

Per gli adulti

L’adulto, dopo un lutto, a volte riprende in fretta le sue attività, in particolare se ha un lavoro, una famiglia …

In altre occasioni capita che la persona resti aggrappata al dolore per tenere vicina la persona cara:  il dolore diventa un mezzo per non perderla del tutto.

Il labirinto emotivo si fa così più intricato con ripercussioni sullo stato di salute psicologico e fisico. Qualche volta evidenti nel lungo termine.

Si può alleggerire il dolore per dare spazio a ciò che, della persona cara, resta in chi le è sopravvissuto, valorizzare il legame, celebrarlo nelle proprie giornate e andare avanti tutelando il proprio stato di salute.

Quando cercare la direzione nel labirinto emotivo

Elenco, qui, alcune situazioni di lutto in cui puoi considerare di cercare la direzione per uscire dal labirinto emotivo:

  • Perdita recente di una persona cara
  • Perdita di una persona cara, tempo fa, che ha lasciato una ferita che non rimargina
  • Interruzione di gravidanza spontanea e/o indotta
  • Situazione di malattia terminale in famiglia
  • Perdita di un animale domestico

Puoi venire da solo/a o con chi vuoi tu

Parlo per me anche se penso che diversi colleghi appoggino questa riflessione.

Puoi venire da sola/o per aiutarti in questa situazione di lutto. Puoi, anche, venire con chi vuoi tu: sei e siete benvenuti!

Ti ringrazio per la condivisione!

Se sei arrivato/a a leggere fino a qui, forse hai trovato questo articolo utile: fallo leggere a chi sta vivendo un lutto e aiutalo a cercare la direzione per uscire dal labirinto emotivo.

Dal canto mio, ti ringrazio, sin d’ora.

Riferimenti Bibliografici:

Giusti E., Milone A. Terapia del Lutto. La cura delle perdite significative 2015, Sovera.

Hogan N.S., DeSantis L. (1992). Adolescent sibling bereavement: An ongoing attachment Qualitative Health Research 2(2):159-177.

Pesci, S. (2017). The Grief Maze Game. Edizioni Scientifiche Isfar.

Schützenberg A.A., Jeufroy E.B. Uscire dal lutto. Superare la propria tristezza e imparare di nuovo a vivere 2014, Di Renzo Editore.

Silverman P.R., Nickman S.L. & Worden J.W. (1992). Detachment revisited: The child’s reconstruction of a dead parent American Journal of Orthopsychiatry 62(4):494-503.

 

L’Angoscia è un’emozione che fa sentire in trappola: come liberarsi?

L’angoscia è un’emozione che fa sentire in trappola. Puoi imparare a distinguerla da altre emozioni e iniziare a ridurla con un esercizio che ti richiede circa 15 secondi.

C’è un’emozione che fa sentire in trappola: l’angoscia. Merita di essere conosciuta perché spesso confusa con altre emozioni e, di conseguenza, gestita e trattata in modo inefficace.

L’angoscia non è ansia

L’angoscia non è ansia. L’ansia fa aumentare la vigilanza e la prontezza ad agire: hai presente quando ti prende il senso di urgenza di sistemare quella data cosa, di fare quella telefonata, di chiarire con una persona cara…? Ecco, lì stai provando ansia. Magari lieve, magari intensa. In ogni caso l’ansia guida al controllo dell’ambiente, alla riduzione dell’incertezza.

L’angoscia non è paura

L’angoscia non è paura. La paura, come l’ansia, fa aumentare la vigilanza di fronte a un pericolo concreto, per mettersi in salvo.

La paura guida a mettersi al sicuro e ad allontanarsi dal pericolo. Qualche volta la paura stimola alla fuga, qualche volta all’attacco, qualche volta blocca. Ma questa è un’altra storia.

L’angoscia non è tristezza

L’angoscia non è tristezza. La tristezza tende a rallentare l’organismo e a metterlo in pausa.

La tristezza guida a non sprecare altre energie, a fare tesoro dell’esperienza, a prendere atto dell’accaduto.

L’angoscia è l’angoscia è l’angoscia

Per citare Gertrude Stein:

Una rosa è una rosa è una rosa.

Anche l’angoscia è l’angoscia è l’angoscia.

Ossia, è un’emozione a sé stante, di tipo composto. Principalmente, l’angoscia è costituita da un’emozione di resa e un’emozione di ritiro. I messaggi dell’angoscia contengono paura, contengono – anche – il desiderio di trovare una soluzione e la sensazione di non poterlo fare, di non esserne capaci, di esserne in qualche modo impediti. Di essere in trappola, per la precisione.

Un metodo semplice per ridurre il picco dell’angoscia

Concentrati per qualche secondo sulla parola “angoscia“.

Non so a te, ma a me, pensare all’angoscia fa provare angoscia! Non solo a me, in realtà. A gran parte delle persone. La ragione è semplice: ogni parola ha significati che sono ben registrati dal cervello e questo fa sì che la parola “angoscia” evochi sensazioni e pensieri che hanno a che fare con l’angoscia.

Pensando alla parola “angoscia”, quindi, ci si procura un’esperienza più o meno intensa dell’emozione di angoscia.

Ora…prova a ripetere velocemente, per una decina di secondi la parola “angoscia”.

Prendi fiato e inizia: angosciaangosciaangosciaangosciaangosciaangoscia…

Ascoltati… come si trasforma la parola, dopo un po’?

A me in qualcosa tipo “sciango“.

Sciango non è una parola italiana e non mi evoca nulla. Al più mi sembra il nome di un personaggio dei cartoni animati oppure uno shampoo a base di fango  – come disse una volta una bimba -.

Cambia la parola, riduci l’angoscia

Con questo semplice esercizio – pure un po’ buffo, lo ammetto! – puoi aiutarti nel momento di picco emotivo che, ti ricordo, dura al massimo 180 secondi.

[Può interessarti anche: L’ABC delle Emozioni (Prima Puntata)]

Attraverso il linguaggio e il significato delle parole che cambia, puoi ridurre l’intensità dell’angoscia e la sensazione di trovarti in trappola.

Non basta?

Se non basta oppure se gli episodi di angoscia si fanno frequenti, potrebbe essere utile appoggiarsi a uno psicologo. Le conversazioni terapeutiche, in questo caso, vanno in due direzioni:

  • Conoscere altri strumenti per ridurre i picchi emotivi e ridurne la frequenza
  • Costruire insieme al terapeuta la soluzione o le soluzioni per uscire dalla trappola

Le proposte in tal senso variano da professionista a professionista e vanno, inoltre, del tutto personalizzate sulla situazione singola. Per iniziare, io ti propongo questo!

Psicologia quotidiana: come fare bene la pausa caffè

Una psico-idea per fare bene le tue pause e riprendere le attività con energia e entusiasmo.

Molti lettori mi hanno chiesto di dedicare spazio alla quotidianità. Ho pensato alla pausa caffè: che tu beva il caffè, un tè o mangi uno yogurt, con questo articolo desidero aiutarti a fare bene le tue pause.

Cosa non ti dirò

Non ti dirò di allontanarti da pc e cellulare, di impegnarti in una conversazione distraente, di fare due passi.

La ragione per cui non dirò queste cose è che: un supporto informatico potrebbe esserti utile; le conversazioni non possono essere distraenti a comando; è possibile che tu non possa assentarti dal lavoro qualche minuto per sgranchire le gambe.

Qui ci tengo a darti un’idea per una pausa caffè accessibile e diversa, che ti faccia stare bene e recuperare energie, davvero.

Materiale occorrente

  • Smartphone o altro supporto portatile (+ cuffie)
  • Caffè, tè o altra bevanda/cibo
  • Un bicchiere d’acqua
  • Te stesso/a

Ora facciamo le prove generali, quindi procurati il necessario: hai tutto?

Pausa caffè: ciak, si prova

pausa-caffe

#Scena 1: Ora della pausa. Come ti ha trattato questa parte della giornata? Hai bisogno di rilassarti, di ridere, di muoverti?

Concentrati bene, la prima risposta che ti viene è quella giusta.

Mentre ci pensi, prendi il caffè, il tè o quello che sei solito prendere e non consumarlo, aspetta. Ti sei risposta/o?

#Scena 2: Mettiamo che tu ti sia detto/a che hai bisogno di muoverti. Prendi lo Smartphone e scegli una canzone che ti faccia pensare al movimento. Io, oggi, ti propongo questa, di Sam Cooke:

#Scena 3: Mentre ascolti questo brano, sorseggia il tuò caffè (o quant’altro tu abbia scelto per la tua pausa) e concentrati sulle belle sensazioni che ti offrono, insieme, la musica e il sapore, l’aroma, il calore… respira lentamente e goditi l’atmosfera di positività.

#Scena 4: Quandò sarà finita la canzone, consolida queste sensazioni con un rituale utile: bevi un bicchiere d’acqua e immagina di bere, insieme all’acqua, tutta la positività appena evocata, in un gesto di idratazione del tono dell’umore, dell’entusiamo e della motivazione a fare.

Hai appena goduto di 5 minuti di positività!

Stai pensando che ti sembrano pochi?

Pensa che di solito ti dici che non hai tempo per la pausa caffè! Che 5 minuti sono molti da ritagliare!

Ebbene, se sei riuscito/a a trovare questi 5 minuti tutti per te, ti sei appena fatto un dono prezioso. Il tuo organismo ringrazia.

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Fai diventare virale la tua pausa caffè

Condividi la tua esperienza con i colleghi e i familiari, fai provare anche a loro questo tipo di pausa caffè!

E, se ti va, fammi sapere quali canzoni preferisci per la tua pausa!

Scrivimi a: fontanella.francesca@gmail.com

Valuti e, dunque, ti emozioni

La valutazione degli eventi è parte delle emozioni che provi. Scopri come farne un’alleata e emozionarti meglio.

Le emozioni sono episodi complessi – laddove, per complessità, intendo qualcosa di ricco e articolato, che offre più sfaccettature -. In questo articolo accenno al legame tra la valutazione degli eventi e le emozioni che si provano negli stessi eventi.

Non è una storia nuova

Anche altri animali filtrano gli eventi attraverso la valutazione. Mentre scrivo, mi viene in mente una lezione accademica in cui si parlava di galline – sì di galline! -. Tra le altre cose, venne specificato che la gallina adulta – accademicamente chiamata “pollo domestico” – sa ben distinguere un pericolo proveniente dall’alto e un pericolo proveniente dal basso e  sa inviare alle altre galline del pollaio segnali distinti in base alla provenienza del pericolo.

Serpente non è falco, insomma. E il tipo di protezione da cercare in un caso di pericolo non è lo stesso tipo dell’altro caso.

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Stesso evento emozioni diverse

appuntamento

Hai un appuntamento con una persona cara e stai aspettando da più di mezz’ora.

Che emozione provi?

Potresti provare ansia o preoccupazione nei confronti della persona cara, rabbia perché pensi che non ti stia rispettando, tristezza perché hai bisogno del suo interessamento, sollievo perché sei stanca/o e una pausa di mezz’ora ti sta facendo bene …

Il comportamento della persona cara non è causa di un’emozione specifica. L’evento accade – lei/lui è in ritardo – e tu provi un’emozione a riguardo.

Hai fatto una valutazione

Potresti aver valutato la situazione facendo questo tipo di pensieri:

  • Non è mai in ritardo! Cosa sarà successo?
  • Non sopporto che le persone non rispettino il tempo degli altri! Ho anche io le mie cose da fare e sono qui da più di mezz’ora!
  • Valgo poco per gli altri… non arrivano neanche puntuali agli appuntamenti…
  • Questa pausa mi fa bene. Quando arriverà avrò recuperato energie e l’incontro sarà più piacevole.

Bada bene, non c’è una valutazione giusta o sbagliata: c’è la valutazione che tu stai facendo in quel preciso momento e che appartiene al tuo modo di considerare la situazione e, forse, le relazioni in genere.

Se cambi valutazione cambi emozione

Avrai già intuito dove sto andando a parare: cambiando la valutazione – il pensiero – rispetto all’evento, puoi sperimentare anche un cambiamento emotivo.

Qualche volta cambiare valutazione può essere utile e può permettere di notare che il pensiero è, giust’appunto, un pensiero, pertanto può essere modificato.

Se dai valore alla valutazione, l’emozione ha intensità minore

Altre volte, cambiare valutazione non è utile e l’emozione che si sta provando è legittima e pertinente.

In questi casi, può servirti ridurne l’intensità. Tre passaggi sono importanti:

  • Riconoscerla e darle un nome
  • Localizzarla nella sua manifestazione fisica
  • Fare un’integrazione tra l’attivazione fisiologica e la valutazione

Tenendo a mente questi passaggi, anche il tuo comportamento cambia

Cambiando valutazione e sperimentando una nuova emozione, il comportamento conseguente sarà diverso: hai prodotto un cambiamento!

Riconoscendo alla valutazione il suo valore e dando all’organismo il tempo di fare l’integrazione, agirai un comportamento consapevole: hai prodotto un cambiamento!

Due possibili strumenti per gestire Rabbia, Ansia, Paura, Senso di colpa, Gelosia …

  • Il linguaggio: il linguaggio può modellare le valutazioni, trasformandole in alleate per la gestione emotiva;

Vuoi scoprirne di più?

Scrivimi a: fontanella.francesca@gmal.com

 

 

Via la Stanchezza con un pezzetto di burro!

La tua giornata inizia con Stanchezza? Stai pensando che il burro non ti piace? Fà nulla, tanto non lo dovrai mangiare. E nemmeno toccare, a dire il vero. Insomma è una faccenda di visualizzazioni e rilassamento. Ma via, si parte, senz’altra prefazione! (cit.G.Rodari).

Stanchezza e Irrigidimento muscolare…

Prova a farci caso: l’Irrigidimento muscolare accompagna la Stanchezza. Potresti notare di avere un dolore alle spalle o una loro contrattura, mal di schiena, dolori cervicali o agli arti.

Può essere difficile dire se sia l’uno a causare l’altra o viceversa, sta di fatto che questi due si auto-alimentano.

L’Irrigidimento muscolare genera Stanchezza perché fa consumare molte energie extra all’organismo e la Stanchezza può generare Irrigidimento muscolare. La ragione è che l’organismo, per sopravvivenza, cerca di ‘tenersi su’ e, in alcuni casi, lo fa irrigidendo i muscoli.

… e Stress

La tensione causata dall’Irrigidimento muscolare e lo sforzo per svolgere le proprie attività nonostante la Stanchezza producono Stress. Questo terzo protagonista della triade interagisce con gli altri due amplificandoli.

Ti riconosci in questa triade? Stress, Stanchezza e Irrigidimento muscolare?

Se sì, potrebbe interessarti quanto segue.

Passo 1: Accertamenti organici

Il primo passo è consultare il medico di base. Sarà opportuno accertarsi che, ad esempio, i valori dell’analisi del sangue rientrino nei parametri e che non vi siano alterazioni della pressione sanguigna. Il medico saprà indicarti gli accertamenti utili.

Passo 2: Auto-aiuto per la Stanchezza

Idratarsi, mangiare sano e dare spazio al riposo sono metodi di auto-aiuto per alleviare la Stanchezza. La ragione è semplice: un corpo trattato bene è un corpo rilassato; un corpo rilassato è meno stanco.

Passo 3: Usare tecniche di rilassamento anti-Stanchezza

stile-di-vita

Qui siamo nel mio settore. Vi sono diversi tipi di attività utilizzabili per produrre rilassamento e aiutare l’organismo a ridurre via via tensioni e stanchezza. Si possono utilizzare tecniche corporee e immaginative e integrarle a conversazioni terapeutiche che consentano di conoscere meglio il significato della propria Stanchezza.

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Vorrei proporvi un esercizio che spero possa esservi utile per rilassarvi e, magari, addormentarvi meglio. Lo scopo di questo esercizio è aiutarvi ad allentare le tensioni e ridurre l’Irrigidimento muscolare.

È inteso che, da solo, non può essere risolutivo. Nonostante questo, è di facile attuazione e va bene anche per i bambini.

L’esercizio del pezzetto di burro

Mettiti in posizione comoda, meglio se in posizione sdraiata supina

Separa leggermente i piedi, di modo da non avere le gambe incrociate

Tieni le braccia lungo il corpo

Respira lentamente, se possibile gonfiando la pancia durante l’inspirazione e sgonfiandola durante l’espirazione

Concentrati sul tuo corpo e immagina di essere un pezzetto di burro, appoggiato su una fetta di pane calda

Nota che, lentamente, ogni parte del tuo corpo diventa morbida, come il burro a contatto con il pane caldo

Mentre cominci a rilassarti, osserva che le gambe, la pancia, le spalle, il collo, le braccia, la schiena sono più morbidi

Le tensioni si sciolgono

Ora provi un senso di calma e ti senti riposato/a

Cogli la positività del rilassamento muscolare e godi del momento di pace

Ora:

  • Se stai svolgendo l’esercizio durante la giornata, fai tre respiri profondi, muovi leggermente i piedi e le mani prima di aprire gli occhi e riprendere le attività della giornata.
  • Se stai svolgendo questo esercizio per addormentarti, tieni gi occhi chiusi e continua respirare seguendo i movimenti della tua pancia.

Ti è piaciuto l’esercizio è vuoi conoscerne altri? Puoi leggere il mio e-book Kairòs oppure puoi contattarmi…

… Ecco l’indirizzo! fontanella.francesca@gmail.com