TSS – Terapia a Seduta Singola: qualche volta, basta un incontro!

Eccomi qui! 🙂 Sono passati diversi giorni dall’ultimo articolo. Priorità lavorative e personali mi hanno distratta dallo scrivere e ora sono pronta per raccontare qualcosa di più rispetto alla Terapia a Seduta Singola, modello in cui mi sono formata recentemente, per proseguire il mio aggiornamento professionale.

[In questa pagina web trovi i nominativi di tutti gli psicologi che utilizzano la Terapia a Seduta Singola in Italia.]

In questi giorni ho ricevuto diverse domande sulla Terapia a Seduta Singola che sintetizzo in questo articolo stile FAQ.

Singola vuol dire proprio Singola?

TSS_Terapia a Seduta Singola_proprio singola

La parola Singola, in questo modello di lavoro, significa:

  • Ogni incontro merita di essere valorizzato e trattato come se fosse l’unico. In questo modo puoi aspettarti di usare bene il tuo tempo e i tuoi soldi, massimizzando l’efficacia della singola seduta;
  • In alcune situazioni, l’incontro singolo è sufficiente;
  • A ogni incontro singolo può seguirne un altro, quando e se lo desideri.

Si è liberi di scegliere se si vuole una seduta singola o no?

La Terapia a Seduta Singola vuole dare la possibilità di godere di percorsi brevi o brevissimi – una seduta! – qualora li si preferisca e, al contempo, di scegliere percorsi di accompagnamento più lunghi.

Quest’ultima scelta può dipendere dal tipo di situazione vissuta e dalle aspettative rispetto alla terapia. Per esempio, potresti desiderare un percorso psicologico di crescita personale oppure uno spazio di ascolto in particolari momenti di vita. In tali casi, forse, non è l’incontro singolo ciò che chiedi!

In queste occasioni la Terapia a Seduta Singola può essere declinata all’interno di ogni singolo incontro – per massimizzarlo, come si diceva – oppure non essere usata affatto.

La Terapia a Seduta Singola non è una regola!

Nel momento in cui chiedi una consulenza a uno psicologo che utilizza la Terapia a Seduta Singola, potrai valutare con lui se questa sia la modalità adatta a te o se, invece, desideri o hai bisogno di un percorso più lungo.

Questo dettaglio è importante perché non è detto che ti serva una Terapia a Seduta Singola, né che tu la voglia!

In  breve… Libertà di scelta: sì!

Quali strumenti usa il terapeuta a seduta singola?

Mmm… rispondo con la metafora della gruccia appendiabiti (che non è mia, me l’hanno insegnata i docenti della formazione! 😉 )

La gruccia appendiabiti, di per sé, è uno strumento che ha lo scopo di offrire un supporto per gli abiti. Ci puoi mettere la giacca elegante o il giubbino sportivo, un abito di pizzo o in jersey, una camicia country o di seta, una casacca, un giaccone invernale…

Così avviene anche per la Terapia a Seduta Singola: fa da gruccia appendiabiti, su cui ogni psicologo appende il suo modo di fare psicologia, secondo approcci e metodologie che ha studiato e integrato nella sua pratica professionale.

Questo significa che i terapeuti a seduta singola lavorano secondo una forma mentis simile, ma con approcci e metodi diversi.

Alla gruccia si appendono competenze tecniche professionali specifiche, competenze e conoscenze trasversali e extra professionali, caratteristiche e esperienze personali del terapeuta…

Io, ad esempio ci appendo…

Gruccia Terapia Seduta Singola

Sulla gruccia io appendo la Terapia Narrativa, come cornice teorica dominante. Appendo ciò che mi insegna la Terapia Centrata sulla Soluzione e ciò che sto approfondendo rispetto all’Acceptance and Commitment Therapy.

E poi… ci appendo il counseling espressivo e attività di arte-terapia. E le tecniche di rilassamento. E quelle immaginative, che mi piacciono molto. Ci appendo ciò che ho imparato della fisiologia del sistema nervoso e dei modi in cui cicatrizzano le ferite emotive.

Alla gruccia appendo anche gli interessi extra psicologici che, ogni tanto, mi tornano utili anche nel mio lavoro; le mie storie e esperienze personali affinché mi aiutino a ascoltare e sentire le storie che mi racconta chi mi chiede un aiuto; alcune caratteristiche personali che mi accorgo di portare nel lavoro: ora mi vengono in mente l’ospitalità, la disponibilità, la curiosità, l’autenticità.

Ogni terapeuta appende cose diverse alla gruccia della Terapia a Seduta Singola.

Cosa posso aspettarmi da una Terapia a Seduta Singola?

Il terapeuta che utilizza la Terapia a Seduta Singola è concentrato ad aiutarti a trovare soluzioni e vie d’uscita a partire dalle tue caratteristiche personali e dalle tue competenze.

In un momento di difficoltà, potrebbe non essere saggio aggiungere alla difficoltà vissuta una seconda difficoltà, ossia dover agire, ipso facto, in modo molto distante dal proprio usuale.

Puo essere più utile facilitare i primi cambiamenti  – o passi verso il cambiamento – a partire da cio che sai e fai già trovando modi alternativi per usare le cosiddette risorse personali.

In un incontro di Terapia a Seduta Singola, parlerai di ciò che ti crea disagio e di ciò che vorresti cambiasse. Imparerai qualche strumento pratico e scoprirai perché le soluzioni tentate finora non sono bastate. Co-esplorerai con il terapeuta le risorse utili e co-creerai un piano d’azione, sulla linea delle tue esperienze personali.

Parole chiave: persona (e personalizzazione), risorse, massimizzare il tempo dell’incontro.

Davvero è possibile risolvere un problema in un incontro?

È possibile. Dire a priori se ti basterà un incontro o se ne serviranno altri è un azzardo che, personalmente, non sento di fare. Le variabili in gioco quando si vive una situazione di disagio sono tante e non esiste una valutazione che abbia valore predittivo certo.

Tuttavia… ti è mai capitato di aver sentito qualcuno a cui è cambiata la vita dopo un’ esperienza oppure a seguito delle parole di una persona cara?

Ebbene, in quei casi, si è prodotto un cambiamento, una svolta o si è risolto un problema, addirittura senza l’aiuto professionale.

Molte persone risolvono i problemi psicologici senza un consulto professionale. Per altri, è sufficiente il “tocco leggero” di una singola visita.
Michael Hoyt

La riflessione che stimola questa constatazione è:

preso atto che possono avvenire cambiamenti grazie a “momenti terapeutici quotidiani”, si possono immaginare le ricche potenzialità di un cambiamento guidato dalle domande e dagli strumenti offerti dalla psicologia.

La Terapia a Seduta Singola insegna che questo è possibile  anche in un solo incontro.

E se un incontro non mi basta?

Se un incontro non basta, al primo incontro ne possono seguire quanti ne serviranno!

Ognuno di questi avrà l’obiettivo di aggiungere un tassello alla conoscenza di te, per permetterti – il prima possibile – di cominciare a vivere secondo i tuoi valori.

“Il prima possibile”… Questa terapia mette fretta?

TSS_Terapia a Seduta Singola_mette fretta

Mi hanno fatto la domanda in tanti! No, non mette fretta. Anzi, il modello stesso ripete l’importanza di non correre e di rallentare. Ti dirò di più, ho l’impressione che proprio il rallentamento sia ciò che permette di ridurre i tempi di terapia.

Quando ci si rivolge allo psicologo capita che i pensieri siano tanti e le parole… altrettante! Nel vortice rapido di pensieri e parole ci si può perdere. Le domande e il lavoro co-creativo aiutano a rallentare, a soffermarsi e, in definitiva, a conoscersi e a (ri)scoprire soluzioni e direzioni utili per la propria vita.

Vuoi saperne di più sulla Terapia a Seduta Singola?

Scrivimi le tue domande a fontanella.francesca@gmail.com: sarò lieta di rispondere e condividere con te questo tassello di psicologia.

Una proposta di Consulenza Singola.

Puoi saperne di più anche nel sito dell’Italian Center for Single Session Therapy, presso il quale mi sono formata.

Fai uso di Psicologia!

Un sondaggio che mi fa pensare a anatre e conigli, una marcia in più e, infine, il mio decalogo personale per fare uso di Psicologia.

Provocazione: di quanta roba fai uso? Farmaci (per il mal di testa, ad esempio), cosmetici, caffè, alcol, droga, cioccolato, televisione, internet, social, cellulare… Hai mai fatto uso di Psicologia?

Via al sondaggio!

Ho fatto la psicologa impicciona e mi sono informata presso conoscenti chiedendo se ritenessero utile fare uso di Psicologia. Sono arrivati un bel po’ di no e un bel po’ di sì.

I No sono stati di questo tipo:

  • No, perché costa!
  • No, perché mi porta via tempo!
  • No, perché non so se mi serve!
  • No, perché preferisco parlare delle mie cose in famiglia o con amici!

I Sì sono stati di questo tipo:

  • Sì perché mi costa meno che prendere farmaci a vita, sia economicamente sia in termini di salute!
  • Sì, perchè è uno spazio per me!
  • Sì, perché aiuta a stare bene con se stessi e con gli altri. Qualunque sia il problema, crea una possibilità!
  • Sì, perché una persona esterna, tra l’altro professionista, mi mostra le cose da un punto di vista diverso!

Curioso, vero?

I No e i Sì toccano gli stessi argomenti, da punti di vista diversi. Puoi vederla in un modo, oppure nell’altro.

Mi sono divertita perché mi ricorda una delle mie immagini preferite: l’anatra-coniglio, di cui ho scritto qualche tempo fa.

Duck-Rabbit_illusion

Datti la possibilità di avere una marcia in più!

Io la penso così: andare dallo psicologo può dare una marcia in più.

Il decalogo di effetti positivi della psicologia, secondo me:

  1. Ti conosci meglio e fai meno scivoloni nel quotidiano! 😉
  2. Dai più possibilità di riscatto a te stesso e agli altri nel caso, ‘sti scivoloni, capitino
  3. Impari a scegliere ciò che è bene per te
  4. Impari a guardare le cose sottosopra, di lato, dall’alto, dal basso, di sbieco, con la lente di ingrandimento…
  5. Sai vivere e gestire le emozioni al meglio. Qualche volta no, ma te ne accorgerai e saprai accettare, lasciar andare e riprovare senza sentirti fallito/a
  6. Sai gestire e curare – sì, una volta imparato, lo fai da te! Mica ci vai per sempre dallo psicologo! – disturbi psicosomatici (cefalee, disturbi gastrointestinali, dolori muscolari e articolari, disturbi dermatologici…) in modo alternativo
  7. Hai uno spazio in cui portare il tuo dolore, leccare le ferite e iniziare a guarirle bene, senza che si formino cheloidi emotivi
  8. Hai uno spazio tuo in cui parlare di quello che ti passa per la mente trovando ascolto, condivisione, interesse, assenza di giudizio e sincera curiosità e attenzione al tuo benessere
  9. Impari a rilassarti e a usare bene la mente e il corpo
  10. Ti diverti: dallo psicologo si può ridere, scherzare, giocare. Da me si può anche ascoltare musica, disegnare e leggere storie. Ma questo lo sapete già.

Quindi, per chiudere in bellezza, la mia proposta di oggi è…

Ti va di fare uso di Psicologia? 🙂

Fammi conoscere la tua idea di psicologia: fontanella.francesca@gmail.com

L’Angoscia è un’emozione che fa sentire in trappola: come liberarsi?

L’angoscia è un’emozione che fa sentire in trappola. Puoi imparare a distinguerla da altre emozioni e iniziare a ridurla con un esercizio che ti richiede circa 15 secondi.

C’è un’emozione che fa sentire in trappola: l’angoscia. Merita di essere conosciuta perché spesso confusa con altre emozioni e, di conseguenza, gestita e trattata in modo inefficace.

L’angoscia non è ansia

L’angoscia non è ansia. L’ansia fa aumentare la vigilanza e la prontezza ad agire: hai presente quando ti prende il senso di urgenza di sistemare quella data cosa, di fare quella telefonata, di chiarire con una persona cara…? Ecco, lì stai provando ansia. Magari lieve, magari intensa. In ogni caso l’ansia guida al controllo dell’ambiente, alla riduzione dell’incertezza.

L’angoscia non è paura

L’angoscia non è paura. La paura, come l’ansia, fa aumentare la vigilanza di fronte a un pericolo concreto, per mettersi in salvo.

La paura guida a mettersi al sicuro e ad allontanarsi dal pericolo. Qualche volta la paura stimola alla fuga, qualche volta all’attacco, qualche volta blocca. Ma questa è un’altra storia.

L’angoscia non è tristezza

L’angoscia non è tristezza. La tristezza tende a rallentare l’organismo e a metterlo in pausa.

La tristezza guida a non sprecare altre energie, a fare tesoro dell’esperienza, a prendere atto dell’accaduto.

L’angoscia è l’angoscia è l’angoscia

Per citare Gertrude Stein:

Una rosa è una rosa è una rosa.

Anche l’angoscia è l’angoscia è l’angoscia.

Ossia, è un’emozione a sé stante, di tipo composto. Principalmente, l’angoscia è costituita da un’emozione di resa e un’emozione di ritiro. I messaggi dell’angoscia contengono paura, contengono – anche – il desiderio di trovare una soluzione e la sensazione di non poterlo fare, di non esserne capaci, di esserne in qualche modo impediti. Di essere in trappola, per la precisione.

Un metodo semplice per ridurre il picco dell’angoscia

Concentrati per qualche secondo sulla parola “angoscia“.

Non so a te, ma a me, pensare all’angoscia fa provare angoscia! Non solo a me, in realtà. A gran parte delle persone. La ragione è semplice: ogni parola ha significati che sono ben registrati dal cervello e questo fa sì che la parola “angoscia” evochi sensazioni e pensieri che hanno a che fare con l’angoscia.

Pensando alla parola “angoscia”, quindi, ci si procura un’esperienza più o meno intensa dell’emozione di angoscia.

Ora…prova a ripetere velocemente, per una decina di secondi la parola “angoscia”.

Prendi fiato e inizia: angosciaangosciaangosciaangosciaangosciaangoscia…

Ascoltati… come si trasforma la parola, dopo un po’?

A me in qualcosa tipo “sciango“.

Sciango non è una parola italiana e non mi evoca nulla. Al più mi sembra il nome di un personaggio dei cartoni animati oppure uno shampoo a base di fango  – come disse una volta una bimba -.

Cambia la parola, riduci l’angoscia

Con questo semplice esercizio – pure un po’ buffo, lo ammetto! – puoi aiutarti nel momento di picco emotivo che, ti ricordo, dura al massimo 180 secondi.

[Può interessarti anche: L’ABC delle Emozioni (Prima Puntata)]

Attraverso il linguaggio e il significato delle parole che cambia, puoi ridurre l’intensità dell’angoscia e la sensazione di trovarti in trappola.

Non basta?

Se non basta oppure se gli episodi di angoscia si fanno frequenti, potrebbe essere utile appoggiarsi a uno psicologo. Le conversazioni terapeutiche, in questo caso, vanno in due direzioni:

  • Conoscere altri strumenti per ridurre i picchi emotivi e ridurne la frequenza
  • Costruire insieme al terapeuta la soluzione o le soluzioni per uscire dalla trappola

Le proposte in tal senso variano da professionista a professionista e vanno, inoltre, del tutto personalizzate sulla situazione singola. Per iniziare, io ti propongo questo!

Piccolo Eserciziario di Felicità

4 esercizi per trovare la Felicità e viverla, a modo tuo.

Se hai cliccato questo link, ti interessa la Felicità. Meglio ancora, ti interessa conoscere esercizi da svolgere in autonomia per ottenere Felicità. Eccone alcuni, apparentemente distinti ma integrati.

#Esercizio 1: Com’è fatta la Felicità?

Come rappresenteresti la Felicità?

Somiglia a una canzone? Oppure a una fotografia? O a una parola, un colore? Forse somiglia a un odore o a un sapore?

Concediti di dare un’aspetto concreto alla Felicità.

Ora che conosci la tua rappresentazione di Felicità puoi:

  1. Portarla con te e incontrarla più spesso;
  2. Ricordare che la Felicità è altro da te, così come l’Infelicità. Puoi provare Felicità e essere in relazione con la Felicità, puoi collaborare con la Felicità, sfidarla, amarla, volerla vicina…

Questo esercizio ha come riferimento teorico il concetto di “Esternalizzazionne del problema” di Micahel White.

#Esercizio 2: Dove senti, nel corpo, la Felicità?

Se ascolti la canzone che rappresenta, per te, la Felicità oppure ne guardi la fotografia, ne ripeti a voce alta – o tra te e te – la parola associata, ne annusi l’odore o ne gusti il sapore…

Dove senti la Felicità? Forse al petto? Sulle braccia o sulle gambe? Sulle labbra?

Ora che sai dove sei solito sentire la Felicità puoi:

  1. Rievocare questa sensazione durante la giornata;
  2. Rievocare questa sensazione quando ti trovi in momenti difficili.

Questo esercizio ha come riferimento teorico scientifico il Focusing di Eugene Gendlin e le metafore terapeutiche di David Gordon.

#Esercizio 3: Quali comportamenti ti fa fare la Felicità?

Azioni: Quando provi Felicità che cosa fai? Leggi? Chiacchieri? Fai sport? Cucini?

Pensieri: Quali pensieri fai quando provi Felicità?

Ora che hai notato quali comportamenti ti fa fare la Felicità puoi:

  1. Ripeterli per vivere la Felicità;
  2. Condividerli.

#Esercizio 4: Che faccia ti fa fare la Felicità?

Che espressione assume il tuo volto quando provi Felicità? Puoi farmi una cortesia? Vai allo specchio e prova la tua “Espressione da Felicità”… un po’ di più… ancora un po’… non esagerare, ora! 😉

Ora che hai notato qual è la tua espressione di Felicità puoi:

  1. Rifarla allo specchio tutte le volte che vuoi:
  2. Mostrarla agli altri.

Questo esercizio ha come riferimento teorico scientifico gli studi di Paul Ekman sulle espressioni facciali riferite alle emozioni primarie.

Facendo questi 4 esercizi, hai inizato a entrare in contatto con la Felicità.

Puoi conoscere altri esercizi o approfondire questi…

Puoi vivere la Felicità con più frequenza,

Puoi assaporarla senza temerla e,

aspetto importante,

godere la Felicità senza scivolare nell’Euforia.

Ti propongo …

La soluzione che ho messo a punto per te: Esercizi di Felicità.

Comprende 3 incontri, alcuni esercizi da fare a casa, in autonomia – che puoi condividere con chi vuoi tu – e la copia cartacea di Kαιρός ( Kairós ).

Ti piace l’idea? Puoi chiedermi maggiori informazioni scrivendo a fontanella.francesca@gmail.com

Psicologie Non-Strutturaliste: una poesia per conoscerle

Ho scovato una poesia che racconta le psicologie non-strutturaliste. Vi accompagno nella sua lettura.

Me ne avete già sentito parlare: il mio approccio professionale segue le psicologie non-strutturaliste. Ho Trovato una poesia, di Ruth Bebermeyer, che ne rappresenta alcuni elementi cardine.

[Ti può interessare anche: La pratica narrativa, Approccio Centrato sulla Soluzione, Il Paradigma della Cipolla]

Ve la presento, passo passo

Non ho mai visto un uomo pigro;

ho visto un uomo che non ha mai corso

mentre lo stavo guardando, e ho visto

un uomo che talvolta faceva un sonnellino

tra pranzo e cena e che rimaneva

a casa in un un giorno di pioggia,

ma non era un uomo pigro. Prima di chiamarmi pazza.

pensateci. lui era un “uomo pigro”

o faceva soltanto cose che definiamo “pigre”?

In Terapia Narrativa, si predilige parlare di caratteristiche che le persone utilizzano  nelle loro esperienze di vita, anziché attribuire queste caratteristiche alla struttura della persona, sotto forma di aggettivi.

Ad esempio, si preferisce parlare di una persona che vive una situazione d’ansia, prova una sensazione/emozione di ansia anziché di una persona ansiosa. Questa seconda modalità comunicativa, sebbene molto comune, rischia di intrappolare nel problema, limitando la scoperta delle soluzioni. Se una persona è ansiosa, non ha vie di fuga dalla sua ansia. Se, invece, la persona prova ansia… bè, può provare anche qualcos’altro!

In Terapia Narrativa, il processo che porta all’esterno della persona le caratteristiche, le emozioni e i pensieri è detto, per l’appunto, esternalizzazione.

Nell’Approccio Centrato sulla soluzione e nella Terapia Solution Building del collega Antonio Amatulli, si definiscono le caratteristiche come comportamenti agiti. Si agisce l’ansia e si potrebbe agire qualcos’altro.

L’uomo della poesia, quindi,  non è pigro: usa la pigrizia o agisce il comportamento di pigrizia in alcuni momenti della sua vita.

Andiamo avanti con la poesia considerando le riflessioni appena fatte

Non ho mai visto un bambino stupido:

ho visto un bambino che talvolta ha fatto

cose che non ho compreso

o cose che non avevo previsto;

ho visto un bambino che non aveva visto

quegli stessi luoghi dov’ero stata io,

ma non era un bambino stupido.

Prima di chiamarlo stupido,

pensateci, lui era un “bambino stupido”

o soltanto sapeva cose diverse da quelle che sapete voi?

In questo passaggio, si ribadisce il contenuto dei versi precedenti e si aggiungono altri elementi:

  • Talvolta, il bambino ha fatto cose che chi ha scritto la poesia non ha compreso. Talvolta, non sempre. Pertanto, ci saranno stati momenti, occasioni, episodi in cui il bambino ha usato una caratteristica diversa da quella quì definita come stupidità.
  • Stupidità è una parola che può avere tanti significati quanti le persone che la pronunciano. L’autrice della poesia, definisce la stupidità come “cose che non ha compreso o che non aveva previsto”.
  • Viene valorizzata l’unicità delle esperienze individuali: il bambino ha visto e sa cose diverse da chi ha scritto la poesia e da chi la legge. L’esperto, nelle psicologie non-strutturaliste, è il cliente che conosce la sua vita nei dettagli. Allo psicologo spetta utilizzare le sue competenze tecniche per aiutare il cliente a creare le sue (del cliente!)  soluzioni uniche. No risposte pre-confezionate, no tecniche valide per tutti.

I prossimi versi potrebbero sorprenderti!

Ho guardato il più intensamente possibile

ma non ho mai visto un cuoco;

ho visto una persona che mescolava

ingredienti che poi avremmo mangiato,

una persona che girava una manovella

e sorvegliava il fuoco che cuoceva la carne,

ho visto queste cose ma non ho visto un cuoco.

Ditemi, se guardate, vedete un cuoco

o qualcuno che fa delle cose che chiamiamo cucinare?

Stai pensando che qui si esagera? Che un cuoco è un cuoco? Ebbene, certo! Possiamo dire che chi sta cucinando è un cuoco e questo permette di esprimere con una parola sola tutti i compiti che ci si aspetta svolga un cuoco.

Tuttavia, proprio per questa ragione, l’etichetta “cuoco” limita la percezione della totalità di cose che la persona fa come cuoco e in tutti gli altri suoi ruoli di vita.

Inoltre, associare la propria identità – attraverso il verbo essere – a un compito/ ruolo specifico, può essere controproducente qualora si scelga di non agire più quel compito/ruolo.

Io, ad esempio, sono una psicologa o faccio la psicologa? Se sono una psicologa, sarei tenuta forse a esserlo sempre, anche nel mio privato. Se faccio la psicologa, ho la libertà di fare anche dell’altro e, qualora il mio lavoro subisse un periodo di difficoltà, la mia identità non ne sarebbe influenzata come se io fossi psicologa.

Questo vale proprio per tutto, anche per le caratteristiche positive. Dire di una persona che è solare, significa impedirle di poter, qualche volta, non usare la solarità. Badate bene, nel quotidiano capita di parlare in questi termini, ma è importante, secondo la concezione non-strutturalista, essere consapevoli delle implicazioni.

Come si conclude la poesia?

Quello che alcuni chiamano pigro

altri lo chiamano stanco o bonario,

quello che alcuni chiamano stupidità

altri la chiamano soltanto una diversa conoscenza.

Così sono giunta alla conclusione

che se non mescoliamo ciò che vediamo   

con quella che è la nostra opinione,

ci salveremo dalla confusione.

E questo, io lo so,

è ancora soltanto la mia opinione.

Se non si mescola ciò che si vede alla propria opinione, ossia se non si interpreta e valuta ciò che fanno gli altri secondo la propria mappa del mondoci si risparmia un bel po’ di confusione. E di incomprensioni. Nello studio dello psicologo e nella vita.

Infine… Che meraviglia poter concludere questo articolo così come Bebermeyer conclude la sua poesia!

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L’articolo e i suoi contenuti, sono un’opinione filtrata dalle psicologie non-strutturaliste. Un’opinione, una mappa, un modo di pensare e nulla più.

Così funzionano le psicologie non-strutturaliste: de-strutturando le credenzeampliano le possibilità di raccontarsi e di fare terapia.

Vuoi saperne di più sulle psicologie non strutturaliste?

Scrivimi a fontanella.francesca@gmail.com

Come caspita lo scelgo lo psicologo?

Scegliere lo psicologo può essere davvero semplice se sai come cercarlo! Ecco un breve vademecum.

Domandona che mi viene rivolta spesso: come caspita lo scelgo lo psicologo? In effetti, come?

Tanta varietà

La psicologia è una disciplina variegata e variegati sono gli approcci teorici e pratici di riferimento. Se, a ciò, aggiungi l’unicità individuale del professionista come essere umano, uomo o donna… bè… il numero di modi di fare psicologia che puoi incontrare aumenta esponenzialmente e tende all’infinito.

Cercare informazioni online

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Una strategia piuttosto agevole è la ricerca online, utile in particolare se si è avvezzi all’utilizzo dei sistemi informatici. Con buona probabilità, se stai leggendo queste parole, hai un supporto informatico e sai entrare in Internet quindi questa soluzione ti parrà immediata.

Ci sono diversi portali online che raccolgono i nomi dei professionisti, come in una vetrina. Lì, puoi confrontare i servizi offerti e capire, leggendone i profili, se il professionista ti piace.

Esatto, se ti piace! È importante che, al di là dei tecnicismi, la persona a cui ti rivolgerai ti dia fiducia e ti faccia sentire a suo agio. Lo psicologo ( e la psicologa) può usare tutte le tecniche e gli strumenti più belli del mondo, ma, se non funziona la relazione, non ci sarà probabilmente soddisfazione degli obiettivi terapeutici concordati.

Dai un’occhiata al sito

Non ti accontentare del profilo sui portali dedicati e consulta il sito del professionista per conoscere meglio come lavora e irrobustire la tua impressione di fiducia iniziale. Leggi ciò che scrive, il tipo di servizio che propone, chiedi informazioni per mail o attraverso i form dedicati; telefona, se preferisci.

Anche i prezzi fanno la loro parte

In linea generale, noterai che le tariffe degli psicologi sono molto simili tra loro. Tuttavia, potresti desiderare conoscere i dettagli delle offerte. Il mio suggerimento è di utilizzare il criterio economico solo in seconda battuta.

Non vale la pena, a mio avviso, iniziare un percorso psicologico con delle perplessità rispetto al professionista per il solo vantaggio economico. Che si tratti di un incontro o di un percorso più lungo, concediti di starci bene!

Un esempio godereccio: se si desidera andare a cena fuori per un’occasione speciale e investire dei soldi per pagare un servizio di ristorazione, si sceglie quello che piace o quello che non convince del tutto?

Immagino che tu abbia pensato di scegliere un posto che ti piace per la tua occasione speciale. Se, poi, capita il caso in cui il ristorante che ti piace è anche accessibile economicamente… bingo! 🙂

Di certo non ti recheresti in un posto che non ti convince: stai festeggiando un’occasione speciale!

Allo stesso modo, per festeggiare l’occasione speciale di un incontro che vale la salute e il benessere di te e delle persone care, puoi prediligere uno psicologo che ti piaccia.

[Può interessarti anche: Come capiresti che ne è valsa la pena?]

Utile anche il passaparola

Io amo il passaparola! Ci sono due tipi di passaparola:

  1. Quelli tra professionisti
  2. Quelli tra clienti

Uno psicologo può essere suggerito da un medico o altro professionista della salute, nel caso in cui i due si conoscano e l’uno conosca il modo di lavorare dell’altro.

Oppure, uno psicologo può essere suggerito da un altro psicologo: può capitare quando il primo professionista conosce di persona il cliente e ha con lui/lei una relazione di qualche tipo (familiare, amico, collega di lavoro…) oppure quando, per motivi personali o legate alle aree di competenza professionale, preferisce non prendersi cura di quella particolare situazione di difficoltà.

Uno psicologo può essere suggerito anche da chi ci è stato e si è trovato bene. Questo è il passaparola classico, quello che esiste da sempre e vale per qualsiasi tipo di servizio.

Professionalmente, questo tipo di passaparola è molto gratificante! È importante, per me, sapere che il cliente è soddisfatto al punto da consigliare il mio servizio ad altri.

Recensioni

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Recentemente, si sta utilizzando il sistema passaparola anche sotto forma di recensioni. Le puoi trovare in alcuni portali dedicati di cui scrivevo poco sopra oppure nella pagina Facebook professionale dello psicologo.

Così come accade per alberghi e locali, per gli acquisiti online, per scegliere se comprare un libro o visitare un certo luogo, anche i professionisti possono essere segnalati agli utenti del web secondo un sistema di recensioni (da 0 a 5 stelline gialle, ad esempio, con una breve valutazione della propria esperienza). Leggere le recensioni può aiutarti a scegliere.

E, quindi, come caspita scelgo?

Ecco una sintesi.

  • Consulta online i profili dei professionisti dai portali dedicati: questo ti serve per conoscere più psicologi e poter operare un primo confronto e una prima scelta
  • Entra nel sito del professionista o dei professionisti che ti piacciono (lascia perdere se ti hanno detto – chi? – che sarebbe meglio un approccio al posto di un altro per la tua difficoltà! Scegli il professionista!)
  • Chiedi informazioni per acquisire fiducia e sentirti sicuro/a della scelta
  • Sbircia le recensioni, se ci sono.
  • Goditi il passaparola: chi ha avuto una buona esperienza desidera che tu ne faccia una altrettanto buona.
  • Scegli tu! La vita è la tua e tu conosci quello che stai provando e sentendo: fidati della tua valutazione.

E se sbaglio scelta?

Mettiamo in conto la possibilità che il professionista scelto, una volta incontrato, ti convinca meno di quello che era parso leggendone profilo e sito. Puoi esprimere le tue perplessità, sin dal primo incontro e valutare, insieme al professionista, se il suo servizio possa esserti utile oppure no. Inoltre, in qualsiasi momento, puoi sospendere e chiudere la terapia.

La mia opinione è che non sia tu ad aver sbagliato scelta: il professionista si è raccontato virtualmente in un modo che ti ha dato un’impressione diversa da quella vissuta di persona.

Può capitare: quel che conta è comunicarlo allo psicologo, con fiducia. Potrebbe essere l’occasione per scegliere un altro professionista, oppure – vi sorprenderò – per potenziare la buona riuscita del percorso.

Stai cercando uno psicologo o una psicologa e vuoi qualche altro suggerimento per scegliere quello che fa per te?

Puoi scrivermi a: fontanella.francesca@gmail.com

Quando la coppia è in crisi

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Nei prossimi giorni uscirà un mio nuovo articolo ne Lo Psicologo del Rock. L’articolo racconterà l’utilità e  l’utilizzo della musica per recuperare la comunicazione nella coppia e dare un’opportunità nuova  alla relazione, se è possibile.

Colgo questa occasione per parlare, anche qui, della relazione di coppia.

In alcuni articoli precedenti ho descritto l’importanza di prendere atto delle difficoltà e della crisi, l’importanza di una comunicazione non violenta, i possibili errori comunicativi (che capitano proprio a tutti!) ed ho presentato un esempio pratico di conversazioni terapeutiche per la coppia.

Potrei considerare gli articoli precedenti una sintesi di tutto ciò che trovo utile nel sostegno e nella consulenza di una coppia.

Consapevolezza delle difficoltà

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Credo fermamente nell’importanza della consapevolezza della difficoltà: se manca questa consapevolezza da parte di un membro della coppia, può essere vano anche il solo invito ad un colloquio di consulenza.

               Qualche volta, il membro non consapevole può scegliere di accontentare l’altro: è un’ottima possibilità per aiutarlo a notare i punti deboli della coppia e per valutare insieme se si desideri trasformarli in punti di forza.

Comunicare, raccontarsi e condividere

Nella coppia si parla di tante cose pratiche e, qualche volta, si dimentica di raccontare di sé. Esperienze di vita, emozioni attuali, pensieri e sensazioni, meritano uno spazio nell’intimità della coppia e la rinsaldano e arricchiscono. Anche la condivisione di esperienze e attività può essere uno strumento di unione per la coppia.

Qualche volta le cose da comunicare possono non essere piacevoli: in questi momenti l’organismo si attiva per proteggersi e l’attivazione fisiologica causata dall’allerta può influenzare negativamente la comunicazione, rendendola poco chiara e causando fraintendimenti che possono sfociare in litigi.

            Una consulenza psicologica ha l’obiettivo di aiutare a trovare i modelli comunicativi più adatti alla coppia.

Usare le risorse della coppia e trovare soluzioni nuove

Spesso le soluzioni sono a portata di mano. Le risorse dei due membri e l’intreccio tra queste risorse crea un terreno fertile per raccogliere soluzioni efficaci già rodate o seminare soluzioni inedite.

            Per esperienza professionale, è in questo intreccio che diventa particolarmente utile il ruolo dello psicologo. La coppia fatica a vedere e ad utilizzare le proprie risorse perché abituata da tempo a conoscerle e, coinvolta dalla situazione di difficoltà, perde di vista la possibilità di creare soluzioni nuove e alternative.

La consulenza di coppia libera dai fraintendimenti

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Mi capita di incontrare coppie in cui un membro non vuole ricevere una consulenza perché ha già deciso di chiudere la relazione e teme che l’incontro possa illudere il/la partner.

L’incontro è un terreno neutrale in cui la coppia può confrontarsi e dare una valutazione della situazione. Partecipare ad un incontro di consulenza non significa riaggiustare la coppia, ma dare strumenti per scegliere quale direzione dare alla storia della relazione.

Lo spazio di condivisione elimina equivoci e fraintendimenti e non suscita illusioni o aspettative. Stimola, invece, riflessioni che chiariscono le motivazioni e i ruoli di entrambi i membri della coppia, favorendo una presa di decisione condivisa.

Alcune domande utili

Trovate, alla fine di questo breve video, alcune domande utili per comunicare meglio nella coppia e per conoscervi e condividere di più.

Nel caso in cui stiate vivendo un momento di difficoltà di coppia, le stesse domande sono un modo per cominciare a scoprire se e come dare alla coppia una nuova possibilità.

Ti è piaciuto l’articolo? Condividilo con le persone importanti per te!

Dott.ssa Francesc Fontanellahands-437968_960_720

Hai fatto l’Albero? Quale? – L’Albero della Vita, un modo creativo per conoscerti davvero

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Ti conosci già abbastanza: stai con te stesso/a tutto il giorno e sono diversi anni che ogni giorno godi di una posizione privilegiata per conoscerti.

Stai a contatto con il tuo corpo e i tuoi movimenti, odi la tua voce anche attraverso le risonanze della cassa toracica; sai cosa ti piace e cosa non ti piace; percepisci emozioni, stress, stanchezza; puoi notare le contraddizioni tra ciò che pensi e ciò che fai o dici…

Tanti stimoli 

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In questa posizione privilegiata il numero di stimoli diversi che possono arrivare in ogni istante sono davvero molti. Ti basti pensare a questo momento specifico: dove sei? Cosa c’è intorno a te? Che colori vedi? Che rumori senti? Stai mangiando o bevendo qualcosa? Ti sta piacendo quello che leggi?

L’accumulo di stimoli e la possibilità di percepire contraddizioni, di ‘ascoltare’ i pensieri che non piacciono, di provare emozioni che danno sensazioni sgradevoli, possono creare dei blocchi che suscitano domande del tipo: “Perché mi comporto così?”, “Perché mi sento così?”; “Perché non riesco a decidere?”, “Perché ho cambiato idea?”…

Conoscerti davvero con L’Albero della Vita

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Per dare una risposta a questo tipo di domande hai bisogno di dedicare del tempo a fare ordine tra gli stimoli, per conoscerti di più, per conoscerti meglio, per conoscerti davvero.

Tra i modi, gli strumenti e le tecniche che il mio lavoro offre per aiutare a conoscersi davvero, mi piace molto l’Albero della Vita. 

Mi piace perché è creativo e permette di toccare se stessi senza forzare la mano.

Mi piace perché è del tutto personalizzato e offre sempre (sempre!) delle sorprese.

Mi piace perché consente di riconoscere nei propri eventi di vita ciò che nutre e ciò che può essere lasciato andare.

Mi piace perché equilibra l’autostima e sa mostrarti il meglio di te.

Mi piace perché è un trampolino di lancio per sogni, desideri, obiettivi.

Mi piace perché offre dei significati, dei “perché”.

Mi piace perché è un’istantanea della propria vita sino ad ora e ti permette di scoprire cosa puoi usare, adesso, per andare avanti a modo tuo.

Possono bastare un paio di incontri: se non hai fatto l’Albero, pensaci! 🙂

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C’era una volta un re…Liberarsi dai pensieri negativi

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Pubblico questa storia su richiesta della protagonista. Ha risolto il suo problema in un incontro (succede, qualche volta) e desidera far sapere che è possibile farcela, anche quando le difficoltà sembrano non avere soluzione.

È una bella donna, sulla quarantina. Entra velocemente in studio e chiede dove possa accomodarsi. Va al dunque:

Ho pensieri continui e ripetitivi sullo stesso argomento. Non ne posso più!

Ricorda la filastrocca del re? C’era una volta un re, seduto sul sofà che disse alla sua serva: raccontami una storia! E la serva incominciò: c’era una volta un re…

Funziona esattamente così!

Pensieri ricorrenti, ansia e angoscia

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La donna – la chiameremo Vanna – racconta quello che molte persone nella sua situazione raccontano.

È come se non potessi liberarmi da questi pensieri! Occupano il mio tempo, mi fanno perdere la concentrazione al lavoro, prosciugano le mie energie e mi danno la sensazione di essere in trappola. Sono invadenti!

I pensieri ricorrenti sono spesso associati dalle persone a due emozioni: l’ansia e l’angoscia. Anche Vanna riconosce che i pensieri generano ansia perché vorrebbe avere una soluzione a portata di mano e, al contempo, non trovandola, prova angoscia e si sente in trappola.

I pensieri ricorrenti possono essere un sintomo d’ansia e, a loro volta, causare ansia. È il caso di Vanna. L’ansia di Vanna vuole che lei riprenda il controllo di un’area importante della sua vita e la sollecita alla ricerca di soluzioni. Il punto è che la soluzione non dipende dalla sola Vanna e che vi sono alcuni aspetti fuori dal suo controllo.

Questo porta il suo cervello a produrre pensieri e riflessioni per cercare una soluzione alternativa: non trovandola, il cervello entra in loop e insiste suscitando senso d’urgenza, ulteriore ansia e angoscia.

Cercare la soluzione tra le soluzioni

In linea con l’Approccio Centrato sulla Soluzione e la Terapia Narrativa, chiedo a Vanna di disegnare due insiemi su un foglio: un insieme contiene le difficoltà che Vanna sta vivendo nella sua vita e per le quali cerca una soluzione attraverso i pensieri ricorrenti; un insieme contiene le soluzioni.

Dove può prendere le soluzioni Vanna? Dall’insieme delle difficoltà o dall’insieme delle soluzioni?

Capisco: sino a che il mio rimuginio è fermo sul problema, non riuscirò a trovare una soluzione. Come faccio?

Non eliminare i pensieri, ma pensare in modo utile

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Il primo, essenziale passaggio, è scoprire il ruolo del rimuginio e dei pensieri ricorrenti (invadenti, come dice Vanna).

Quei pensieri, se fossero persone, cosa pensano di ottenere con la loro invadenza?

Vanna riflette che i pensieri invadenti vogliono essere notati e ci riescono benissimo! Si chiede la ragione per cui vogliano essere notati e esclama:

Sono tanti anni che vivo questa situazione! La ragione per cui i pensieri insistono e sono invadenti è che ora è arrivato il momento di dar loro ascolto! La situazione va cambiata, ma non è tutta in mano mia: quello che devo fare, la soluzione che posso prendere in questo momento è di parlarne e spiegare come vorrei cambiassero le cose.

Vanna gioca la prima fiche

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Vanna sceglie dall’insieme delle soluzioni una prima fiche e gioca il ‘parlare‘: la sua giocata funziona e il mittente del suo messaggio accoglie di buon grado le riflessioni e le proposte di Vanna che torna in studio a salutarmi, soddisfatta dei risultati ottenuti.

Certo, non sempre la prima fiche scelta è quella utile: per Vanna, però, è andata così.

Un grazie di cuore a Vanna (che non si chiama così, ma lei si sta riconoscendo) per aver permesso la condivisione di parte delle sue storie di vita e della sua narrazione.

Dott.ssa Francesca Fontanellapensieri

 

 

 

Faccio ponte, faccia da ponte e faccio da ponte

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Colgo l’occasione del ponte dell’8 dicembre per scrivere due righe rispetto a questa faccenda dei ponti.

Prima comunicazione: Faccio ponte!

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Dall’8 dicembre all’11 dicembre sono in vacanza. Nel caso desideraste contattarmi, potete scrivere all’indirizzo fontanella.francesca@gmail.com

Seconda comunicazione: la faccia da ponte

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A 8 anni un bambino mi disse che avevo la faccia da ponte. Ci pensai su e ne parlai con il maestro di pattinaggio artistico. Lui riflettè e mi disse: “Sai perché? Perché hai il viso amichevole e questo fa da ponte per l’amicizia! È più facile fare amicizia con chi ha la faccia da ponte!”

Una riflessione molto carina che mi diede coraggio e sicurezza nelle mie capacità relazionali. In seguito seppi che Ponte era un cognome e che al bambino in questione sembravo far parte della famiglia Ponte per qualche somiglianza a me ignota.

Mi piace di più l’interpretazione confortevole del maestro di pattinaggio.

Terza comunicazione: faccio da ponte

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Ho scelto di fare la psicologa e la psicologia può essere un ottimo mezzo per fare da ponte tra emozioni e pensieri, ricordi e obiettivi, origini e futuro, tra il pensare e il fare e tra il fare e il pensare. La psicologia fa da ponte nelle relazioni, aiutando le persone a comunicare e a rispettarsi facendosi rispettare; fa da ponte per la comprensione di alcuni disturbi organici; fa da ponte con il mondo dell’educazione e delle scienze giuridiche e sociali.

Uno psicologo può fare da ponte mediando, sostenendo, accompagnando, illuminando il terreno intorno affinché le persone vedano la loro strada.

Ora sono pronta per questo ponte di dicembre!

Dott.ssa Francesca Fontanelladomande-wh