Quando una migrazione hosting ha risvolti… psico!

Migrazione Hosting: ti è mai capitato?

A me sì, per la prima volta, in questi 10 giorni. A prima vista tutto molto semplice: il nuovo luogo virtuale che ospita il sito accoglie la richiesta e dopo una serie di passaggi burocratici per la consegna del testimone, il tuo sito è online come prima, ma il server di riferimento è diverso.

Va be, facile! Facciamo?

Contatto chi sa fare questo lavoro, Marco e Enrica -perché sono dell’idea che a ognuno il suo lavoro, e per fortuna ho scelto così! – e scelgo anche di cogliere l’occasione per il rinnovo grafico del sito.

Da qui inizia un’avventura che mi ha fatto pensare al mio lavoro di psicologa e ai cambiamenti che vivono le persone che chiedono il mio supporto.

Che c’entra un cambio hosting con un cambiamento psicologico? 🤔

Eh, mi è passata per la mente questa associazione di idee e la metto qui, per chi potesse esserne interessato! 😉

Migrazione hosting vs migrazione dell’identità

In Terapia Narrativa, esiste una mappa operativa che si chiama Mappa della migrazione dell’identità. Nulla di mistico! Per migrazione dell’identità si intende un passaggio da una situazione a un’altra che produce un cambiamento (positivo) nel proprio modo di vedersi e considerarsi e nel modo in cui si considerano relazioni e eventi di vita.

La migrazione dell’identità e la migrazione hosting hanno in comune diversi aspetti, tra cui i possibili trabocchetti, gli ostacoli, gli impicci.

Vediamo questi passaggi, con poco rigore metodologico e un poco di ironia 🙂

Comincia la migrazione 

Chiedere il trasferimento al vecchio gestore per procedere.

Chiedere alla situazione problematica di lasciarti migrare verso la soluzione del problema.

Ostacolo 1

Qualcosa vincola il mio sito a restare lì, ancorato.

Qualcosa ti vincola a restare lì, con il problema poco amato.

Soluzione

Paziente conversazione chat per comprendere come uscire dall’impiccio. Preziosa collaborazione di Marco. Imparare nuove terminologie.

Conversazione con lo psicologo per comprendere come uscire dall’impiccio. Preziosa collaborazione tra te e lo psicologo. Impari nuove terminologie e nuovi punti di vista.

Ostacolo 2

Uscendo dall’impiccio così, allo sbaraglio, il sito va perduto.

Abbandonando il problema così, allo sbaraglio, qualcosa di te va perduto e potresti sentirti destabilizzato, non trovarti più.

Soluzione

Paziente conversazione chat per comprendere come non perdere il sito. Preziosa collaborazione di Marco.

Conversazione con lo psicologo per comprendere come produrre il cambiamento senza perdere te stesso/a.

Ostacolo 3

Backup… e meno male che lo abbiamo fatto! Dalla piattaforma il mio sito non è più visibile!

Oops! È capitato e ti sei perso/a di vista durante il cambiamento!

Soluzione

Paziente conversazione chat, blocco di link al sito per evitare alle persone di incappare in pagine vuote. Post su Facebook, per informare chi potrebbe essere interessato.

Conversazione con lo psicologo, condivisione di appunti, esercizi di scrittura e altri esercizi espressivi per lasciare traccia della situazione di partenza. Collaborazione e comunicazione con le persone care.

Ostacolo 4

Dopo la procedura standard, il vecchio gestore vuole lasciare  del tempo per ripensarci! I tempi si allungano!

Il problema si fa risentire. A un tratto, quando pareva andasse meglio, il problema si ripresenta.

Soluzione

Si sceglie di chiedere di intervenire subito. Preziosa collaborazione del mio compagno, che mi invita a insistere.

È il momento di insistere affinché il problema molli la presa su di te. Chiedi supporto a chi ti è vicino.

Ostacolo 5

Ehm… il backup non si carica sul nuovo hosting e non si sa perché! Questa faccenda dura più di 48 ore e Enrica e Marco in questo sono pre-zio-sis-si-mi.

Non ce la fai. Ti pareva di poter cambiare e stare bene, ma non ci riesci. Provi e riprovi e non senti di aver raggiunto il tuo risultato, che ti sembra lontano.

Soluzione

Respiro consapevole, attesa, accettazione emotiva, comunicazione del disappunto, a casaccio, a chi mi capita sotto tiro. Paziente sopportazione di Marco e del mio compagno.

Tu puoi fare di meglio. Bene la respirazione, l’accoglienza di ciò che provi, pure la comunicazione a casaccio. In questo momento, però, spremi lo psicologo. È lì per te.

E poi…

Sorpresa! Questa mattina al risveglio ricevo un messaggio su whatsapp che dice:

Il buongiorno si vede dal mattino 😎 vai un po’ sul sito!

Giubilo! Il sito è finalmente migrato! Ora ci mettiamo a farlo bello e a rinnovare il tutto, con i dettagli fashion che merita!

Sorpresa! Un giorno, a un tratto, noti di aver vissuto una qualunque esperienza quotidiana in modo completamente diverso dal solito!

Gioia! La migrazione è avvenuta! Ora puoi giocare a impreziosirla con i dettagli che desideri, ma il passaggio, quello tosto, è fatto.

Vuoi migrare hosting? Ti suggerisco Marco e Enrica!

Vuoi conoscere la mappa di migrazione dell’identità? Scrivimi a fontanella.francesca@gmail.com

 

Quale tipo di Depressione hai?

Le Depressioni non sono tutte uguali, ne esistono diversi tipi, infiniti, se vogliamo. Quale tipo di Depressione hai?

Le Depressioni non sono tutte uguali, ne esistono diversi tipi, infiniti, se vogliamo. Quale tipo di Depressione hai?

“Dottoressa, sono depresso!”

“Mmm e quale tipo di Depressione ha?”

Comincia spesso così una conversazione terapeutica nel mio studio. E prosegue, più o meno, in questo modo…

Ce ne sono diversi tipi?

“Ce ne sono diversi tipi? Non me lo hanno detto!”

Oppure

“Non lo so, credo mi abbiano detto ‘Depressione maggiore'” (o ‘reattiva’, o altre etichette del caso).

A queste risposte mi capita di dire qualcosa del tipo:

“Ok, e la Depressione Maggiore che conosce com’è? Com’è fatta? Le sembra maschio o femmina? Che tipo di comportamenti adotta per influenzare la sua vita?

Questo tipo di domande sono le prime di una serie che ha l’obiettivo di aiutare a esternalizzare la Depressione o altre difficoltà/disagi/problemi che le persone incontrino nella loro vita.

Si tratta di passare dalla percezione di se stessi come depressi, alla consapevomaps of narrative practicelezza di vivere insieme alla Depressione, con la quale ci si può relazionare per riappropriarsi dello spazio vitale che lei, per natura, tende a scippare.

Questo punto di vista si rifa alle mappe narrative di Michael White.

Come scoprire quale tipo di Depressione hai

1 – Per scoprire quale tipo di Depressione accompagna la tua vita, puoi iniziare… disegnandola!

???

Sì, disegnandola oppure facendone una fotografia oppure, se ti piace scrivere, puoi raccontarne la storia, oppure puoi farne una statutetta di argilla… Qualche tempo fa una persona creò un pupazzo di pezza che rappresentava la Paura! 🙂 Quindi spazio alla creatività! Se ti va, dai anche un nome alla Depressione.

Primo Passo: dare una forma concreta. spunta

2 – Descrivi come influenza la tua vita nei vari contesti (famiglia, lavoro, scuola, amicizie, sport, speranze per il futuro…)

Questo passo offre l’opportunità di cominciare a conoscere effetti e conseguenze della Depressione sulla tua vita. Quali abitudini ha la Depressione? Quali valori persegue? In che modo agisce?

Secondo Passo: scoprire come ti influenza.

3 – Dì la tua: sei d’accordo con il comportamento di Depressione? Ti sta bene il modo in cui ti influenza?

In questo passo puoi prenderti il gusto e la responsabilità di dire la tua. Depressione ha le sue abitudini e le sue modalità di influenzarti, ora tu puoi dire se concordi con lei e in cosa oppure se sei in disaccordo e vorresti metterne in discussione alcune influenze sulla tua vita.

Tu e Depressione siete in relazione e puoi avere il tuo punto di vista, diverso dal suo.

Terzo Passo: dì la tua.

4 – Perché? (Motiva la tua risposta al terzo passo)

In questo passo puoi giustificare e spiegare la ragione per cui concordi o sei in disaccordo con Depressione. Tutte le risposte vanno bene, rispondi ciò che pensi e ciò che senti.

Quarto Passo: motiva e giustifica il tuo punto di vista.

Ok e adesso?

Se hai fatto i 4 Passi, avrai con te una rappresentazione concreta della Depressione e avrai cominciato a conoscerla meglio: le sue intenzioni e abitudini, il modo in cui ti influenza e ciò che tu pensi di lei (o lui, potresti aver scelto che Depressione è maschio!). Forse saprai anche perché hai una certa opinione rispetto a Depressione.

Ora hai il materiale di lavoro per cambiare la tua relazione con la Depressione, se lo desideri.

Hai a che fare con un personaggio unico, al di fuori delle diagnosi e molto più accessibile e vicino alla tua realtà di vita.

Questo ti dà la possibilità di cominciare a riflettere sulle modalità per riprendere lo spazio di vita che ti spetta. Ad esempio: come ti relazioneresti con un personaggio del genere se lo incontrassi? Come gli parleresti? Cosa saresti disposto a condividere con lui/lei?

Ehm… non capisco come possa essermi utile!

ok e adessoQuesta modalità esplorativa può essere controintuitiva e può essere complesso lavorarci in autonomia. L’idea migliore, a mio avviso, è cercare uno psicologo che utilizzi questo metodo e appoggiarsi a lui/lei per proseguire nell’esplorazione e costruire le soluzioni e i cambiamenti. Puoi contattarmi per conoscere i nomi di colleghi in Italia e all’estero.

Dal canto mio, se sei interessato/a a esplorare il problema, ti propongo il…

Quinto passo: inviami le tue risposte ai 4 Passi

Attenzione proposta commerciale 🙂 

Questa sezione dell’articolo ti interessa solo se desideri esplorare il problema.

Ebbene, puoi inviarmi una mail con le risposte ai 4 Passi e una fotografia della tua realizzazione concreta di Depressione (o di qualsiasi altro problema! Questa proposta vale anche per Ansia, Paura, Dolore, Rabbia… quello che vuoi tu!).

Una volta letta la tua mail, ti comunicherò se sarà possibile esplorare insieme il problema e, se sarà così, potremo procedere in questo modo:

  • 2 incontri da 60 minuti (in studio, online su Skype, telefonici)
  • 1 mail o telefonata di accompagnamento a distanza di tre settimane dal secondo incontro
  • 1 mail o telefonata di accompagnamento a distanza di tre mesi dal secondo incontro

Il costo? 125,70, con omaggio del mio libro Kairòs in versione cartacea che ti spedirò a casa.

Il costo è così calcolato:

  • 2 incontri da 60 minuti: 51 euro cadauno >> 102 euro
  • 2 mail o telefonate di accompagnamento: 10 euro cadauna >> 20 euro
  • Costi di gestione: marca da bollo, spedizione del libro >> 3,70 euro

Che ne pensi? Quale beneficio pensi ne trarresti?

Hai una storia di Depressione che ti va di condividere con altri? Puoi raccontarla nei commenti, se ti va!

 

 

 

 

 

 

Come dare conforto e supporto a una persona cara

Quando una persona cara soffre, si desidera darle conforto e supporto. Come fare affinché il supporto sia utile e efficace per chi lo riceve? Un suggerimento da Tristezza.

Quando una persona cara soffre, si desidera darle conforto e supporto. Come fare affinché il supporto sia utile e efficace per chi lo riceve?

Usato a casaccio, serve a zero!

Date un’occhiata a questo pezzo del film Disney Inside-Out. Gioia tenta in diversi modi di rassicurare il suo amico Bing Bong, ma non ci riesce. A riuscire è Tristezza che, a contrario di Gioia, si sofferma sul dispiacere e sulla sofferenza.

 

La conseguenza dell’aiuto offerto da Tristezza è che l’amico si sente capito e ascoltato, piange e accoglie la sua sofferenza, condividendola con Tristezza e, a un tratto, sentendosi meglio.

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Il comportamento di Tristezza può dare tre informazioni pratiche utili:

  1. Restare con l’emozione dell’altro
  2. Valorizzare l’emozione dell’altro
  3. Arricchire la storia dell’emozione dell’altro

Restare con l’emozione dell’altro

Bing Bong è triste, pertanto, l’emozione che meglio si addice  a fargli compagnia è Tristezza. Si può dare conforto a una persona triste, accettando la tristezza che prova e riflettendola, mostrando di capirla. Fare come Gioia, qui, non dà i risultati sperati.

Valorizzare l’emozione dell’altro

Tristezza non si limita a stare accanto a Bing Bong facendogli da specchio: riconosce il suo dolore, lo convalida, lo autorizza. L’autorizzazione a provare emozioni è importante: ognuno può imparare a concedersela, riconoscendo la legittimità delle proprie risposte emotive; talora è utile riceverla dagli altri. Tristezza legittima la tristezza di Bing Bong, che ha la libertà di esprimerla.

Arricchire la storia dell’emozione dell’altro

Tristezza fa qualcosa di speciale: chiede a Bing Bong di ricordare un momento bello passato con il suo carro. Il ricordo si fa struggente e nostalgico e arricchisce la storia dell’emozione che sta provando Bing Bong.

Ora egli prova tristezza, nostalgia, struggimento, commozione e ricorda le emozioni piacevoli dei momenti passati insieme al suo carro. Sente di aver contribuito alla vita del carro come il carro ha contribuito alla vita di Bing Bong e questo funge da spinta vitale per sfogarsi e poi alzarsi e ricominciare.

In situazioni di difficoltà e, in particolare, in caso di lutto, questi 3 passaggi rappresentati da Tristezza danno una mappa per orientarsi e per offrire conforto e supporto in modo utile.

Ti è capitato di dare o ricevere un tipo di supporto che è servito poco e non capire perché? Tristezza, in questa scena, potrebbe averti dato un perché!

 

 

 

 

Le Paure: Perché e Soluzioni in una canzone di Jovanotti

Le Paure hanno un lato noto e uno – spesso – sconosciuto.
Il lato noto delle Paure è la Paura stessa, quello sconosciuto rovescia il punto di vista e fa scoprire qualcosa di tutt’altro che banale: il desiderio dietro la paura.

Le Paure sono diverse dalla Paura. La Paura è un’emozione e ha l’ obiettivo di tenerti lontano dai pericoli. Le Paure possono essere convinzioni maturate con l’esperienza o tramandate da persone care che invitano a evitare determinate situazioni perché potrebbero essere pericolose.

Qualche volta le Paure sono alimentate dall’Ansia, un emozione che aiuta a prevedere le conseguenze e a pianificare, ma che, talora, pretende di prevedere conseguenze imprevedibili.

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Il lato noto delle Paure

Le Paure hanno un lato noto e uno – spesso – sconosciuto.

Il lato noto delle Paure è la Paura stessa, nella formula in cui ti si presenta:

  • La paura del buio
  • La paura di volare
  • La paura delle malattie
  • La paura dei ragni
  • La paura dei cani
  • La paura di fallire in un compito

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Il lato noto delle Paure è, quindi, il lato che conosci già, che ti frena nel provare delle esperienze o, magari, ti fa scappare a gambe levate.

Quello che forse non hai mai conosciuto è…

Il lato nascosto delle Paure

Personalmente immagino questo lato nascosto come se fosse il riflesso allo specchio delle Paure perché ne è l’immagine rovesciata. Il lato nascosto delle Paure offre

un punto di vista strambo. 

Te la ricordi la canzone Mi fido di te di Lorenzo Cherubini?

La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare.

Sì, va bè: il solito lato positivo delle cose!

Mmm, no! Il lato nascosto delle Paure non è necessariamente un lato positivo.

Il lato nascosto delle Paure descrive ciò che si vorrebbe accadesse al posto della cosa di cui si ha paura.

Ad esempio:

Quando si prova paura del buio, si desidera che vi sia luce.

>> Desiderio di luce anziché paura del buio.

Cambia qualcosa nelle tua percezione della paura del buio se noti che si tratta di desiderio di luce?

La soluzione all’interno del lato nascosto delle Paure

Come per la paura del buio la soluzione – top – è la luce, per ogni paura si può scovare la soluzione ottimale all’interno del suo lato nascosto.

Tuttavia, non è solo questo che mi interessa raccontare nell’articolo. Vorrei aiutarti a osservare un paio di dettagli che derivano dalla precedente – apparentemente – semplice riflessione.

  1. Se la soluzione ottimale è la luce, di volta in volta, sarà importante chiedersi come ottenere la luce più che allarmarsi per il buio. Si può premere l’interruttore, accendere una candela, aprire una finestra, raggiungere un lampione…
  2. Puoi provare a chiederti di più e a esplorare il significato del desiderio di luce.

Alcune domande utili a tal fine

  1. Come mai è importante la luce?
  2. Chi conosci che, come te, trova importante la luce?
  3. Quali parole associ a “luce”?
  4. Una volta che hai ottenuto la luce, cosa ottieni, oltre a non provare più paura?

Puoi usare, anche, la “Catena dei Perché” 

Un esempio tratto da un esperienza in famiglia:

Perché è importante la luce?

Per vedere la cose!

Perché è importante vedere le cose?

Per controllare dove sono e non inciampare.

Perché è importante controllare e non inciampare?

Per sentirsi sicuri!

La sicurezza è importante per te?

Sì!

In questo caso, il desiderio di luce aiuta a ottenere sicurezza: ora che la persona lo sa, potrebbe interessarle scovare altri modi per ottenere sicurezza. Se ben usati, essi possono piano piano aiutarla a non provare più Paura del buio.

Più specifica è la Catena dei Perché, più può aiutare a scoprire, all’interno del lato nascosto delle Paure, il significato personale delle singole Paure e  a creare la possibilità di superarle, lasciarle andare o provarle con meno intensità.

Ricapitolando: Rovescia la Paura e fatti delle Domande! 🙂

Hai appena provato a rovesciare una tua Paura? Cosa ne è saltato fuori?

Se ti va, puoi scriverlo nei commenti oppure all’indirizzo fontanella.francesca@gmail.com

 

Il sapore piccante della Rabbia: “Liget”

Il sapore piccante della Rabbia stimola a trovare le direzioni di vita. Segui il suggerimento del popolo degli Ilongot e conosci il Liget, la Rabbia positiva.

La Rabbia ha un sapore? Per il popolo degli Ilongot, nelle Filippine, il sapore della Rabbia è piccante e si chiama Liget.

Liget: l’energia rabbiosa

Per Il popolo degi Ilingot, la parola Liget corrisponde a un energia rabbiosa che muove all’azione. Che si tratti di una discesa lungo le rapide, di bisogno di riscatto, della reazione a una perdita, gli abitanti della Nuova Vizcaya utilizzano la parola Liget. Anche il sapore piccante del peperoncino è chiamto Liget, forse per quell’effetto di calore che la capsaicina – sostanza responsabile dell’effetto piccante – produce in bocca.

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Il lato positivo della Rabbia

Flessibilità

Il merito di aver portato l’attenzione sulla parola Liget va all’antropologa Michelle Rosaldo che, negli anni ’80 del 1900 restò colpita dal significato potenziante di questa parola. Abituata a considerare la Rabbia come qualcosa di negativo, le parve importante sottolinearne le componenti di vitalità e di energia positiva.

Sebbene Liget e Rabbia possano portare a scatti d’ira e a reazioni aggressive o violente, esse hanno anche il ruolo di muovere all’azione per proteggere il proprio valore personale e le cose in cui si crede, possono dare la motivazione e lo stimolo per realizzare obiettivi e per trovare direzioni di vita e strade alternative.

Liget e Rabbia possono aiutare anche a migliorarsi e a investire le proprie energie per superare ostacoli e limiti.

“Se non fosse per il Liget, non Vivremmo mai.”

Da un’intervista al popolo degli Ilongot, M. Rosaldo.

#1 Fai attenzione ai segni rivelatori

Se vuoi usare Liget e Rabbia per Vivere, – V maiuscola – come il popolo degli Ilingot, è importante fare attenzione ai segni rivelatori, spesso rappresentati dai pensieri che accompagnano queste emozioni.

Il pensiero che accompagna l’emozione è un utile indicatore di cosa stia suscitando Rabbia. Può essere importante fermarsi a ascoltarlo per indirizzare la Rabbia nella direzione voluta e non usarla come sfogo incontrollato.

Quest’ultimo, infatti, può dare origine a emozioni secondarie di senso di colpa, tristezza, paura – di perdere la stima e l’affetto di chi ha vissuto la tua Rabbia, ad esempio -.

Ricorda che non sono gli eventi a farti arrabbiare, ma tu che provi Rabbia di fronte a certi eventi!

#2 Nota dove si localizza la Rabbia nel corpo

Senti la Rabbia a livello viscerale? Ti fa male la testa? Hai un nodo allo stomaco? Un formicolio alle braccia?

Concentrati sulla sensazione e prova a “respirarvi dentro”, falle spazio e dalle un nome e delle caratteristiche.

Qualche  esempio tratto da situazioni reali (ringrazio le persone che hanno condiviso le loro Rabbie) :

Melma paludosa, sporca, densa, subdola.

Rabbia rigida, grigia, fredda, amara.

Slavina, indifferente, prepotente, fischiante.

Schiaccia-sassi, forte, lenta, non lascia niente di intatto.

#3 Riconosci la Rabbia per tempo

Abituati a riconoscere i pensieri e le sensazioni associati alla Rabbia e fai in modo di notarli mentre arrivano. La Rabbia è un’emozione e, come tale, ha un decorso “a onda”. Se riesci a percepire i primi segnali della Rabbia, puoi indirizzarla meglio, evitando di agire al culmine dell’onda, quando l’emozione e talmente forte da farti comportare in modo precipitoso e, spesso, poco utile e costruttivo.

#4 Impara a usare la Rabbia

Questo passaggio è quello che può richiedere più allenamento e scivolini e scivoloni sono all’ordine del giorno.

Per cominciare, puoi tenere un diario in cui appuntare i pensieri e le sensazioni che accompagnano la Rabbia nelle diverse situazioni, il livello di intensità della Rabbia (da 0 a 10) e il modo in cui hai reagito. Ricorda di appuntare, anche, se ti sei piaciuto/a o no, come potresti migliorare e, se ti sei piaciuto/a, come hai fatto a usare bene la Rabbia.

#5 Osserva le reazioni che la Rabbia suscita negli altri

Fallo nelle prossime occasioni e nota cosa provoca la Rabbia negli altri, sia quando sono loro a provarla, sia quando tu la mostri loro.

Hai fatto i 5 step di questo articolo e ora vuoi saperne di più?

Scrivimi la tua esperienza a fontanella.francesca@gmail.com

 

Riferimenti Bibliografici:

La Storia del Liget è tratta da:

Watt Smith, T. Atlante delle Emozioni Umane. Ed Utet. 2017.

 

Una decisione da prendere…

Ho una decisione da prendere e, mentre utilizzo questo strumento creativo che conosco, lo condivido con te…

La questione mi pare stia in quella parola: “prendere“. Una volta che si è presa la decisione, la si è presa. La si può anche mollare?

In molte situazioni sì. Sto pensando alle piccole e grandi decisioni quotidiane che possono essere modificate o, addirittura, reversibili.

Per questo tipo di decisioni potrebbe interessarti Decidere di decidere: il dilemma della scelta.

Tuttavia, mi trovo in un situazione personale in cui debbo scegliere per la mia salute. Ohibò… qui la faccenda si fa multi-sfaccettata e prendere la decisione implica prenderla e tenermela.

Premetto che non ho ancora deciso anche se…

Volendo metterci tutta la sincerità, mi ci sto dedicando poco e sto rimandando la decisione con quel fare un poco buffo che ha l’essere umano in alcune occasioni: evita, procrastina, aspetta… Strategia poco utile, come immaginerai!

Nonostante questo, è arrivato il momento di mettermici con impegno.

Porsi domande che possano aiutare

Per prendere una decisione, ci sono alcune domande che può valere la pena porsi e che, qualche volta, sono la chiave per decidere. Ad esempio puoi chiederti:

  1. Qual è la storia della situazione?
  2. Quali obiettivi ho?
  3. Quali valori ho?
  4. Chi è importante per me? Cosa direbbe?
  5. Per ogni opzione di scelta:

    1. Cosa mi trattiene?
    2. Cosa mi attrae?

Se non basta o se questo ti sembra un esercizio che ti porta a rimuginare senza arrivare alla decisione, puoi provare…

Il Dialogo tra le Parti (a modo mio)

Una decisione da prendere_

Questo strumento nasce dalla descrizione di R. Dilts e lo ho incontrato per la prima volta grazie al collega Antonio Amatulli. Ho scelto, nella pratica clinica, di integrarlo alle tecniche immaginative e alla narrazione pertanto, dell’esercizio originale resta solo la scocca.

L’esercizio può essere usato nel caso in cui la decisione dipenda dalla sensazione di sentirsi in conflitto con se stessi. Mi spiego meglio.

Mettiamo che una persona debba decidere se andare a un appuntamento a piedi oppure in auto. Questa decisione potrebbe dipendere dal meteo, dal tempo a disposizione, dalle distanze, dalla disponibilità dell’auto… Queste variabili non implicano un conflitto con se stessi.

Se, invece, andare a a piedi implica la libertà perché, andando in auto, la persona sarebbe costretta a dare un passaggio a una persona che non apprezza… bè, potrebbero entrare in gioco alcuni valori che sembrano contrastarsi: libertà e rispetto di sé; disponibilità e rispetto per l’altro.

Quando entrano in gioco valori di questo tipo, la decisione può essere percepita come un conflitto.

Il Dialogo tra le Parti arriva in soccorso e aiuta a dipanare i nodi del conflitto dando spazio all’esplorazione dei valori e trasformandoli in personaggi che possono dialogare tra loro e confrontarsi rispetto alle loro risorse e alle loro aspettative.

Questo gioco comunicativo e narrativo aiuta la persona a comprendere le ragioni di entrambe le parti, trovare eventuali punti d’accordo oppure simpatizzare per una delle due.

Trasformando il conflitto da “interiore” a “esteriore”, si facilita la decisione.

Questo esercizio richiede un’ora di tempo e un po’ di pratica per essere utilizzato in modo efficace e non risultare solo un virtuosismo fine a se stesso. Una volta acquisito, potrai usarlo in autonomia in altre situazioni di conflitto decisionale.

Hai una decisione da prendere? Quale? Che ne pensi de Il Dialogo tra le Parti?

Puoi scrivermi le tue riflessioni a fontanella.francesca@gmail.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TSS – Terapia a Seduta Singola: qualche volta, basta un incontro!

Eccomi qui! 🙂 Sono passati diversi giorni dall’ultimo articolo. Priorità lavorative e personali mi hanno distratta dallo scrivere e ora sono pronta per raccontare qualcosa di più rispetto alla Terapia a Seduta Singola, modello in cui mi sono formata recentemente, per proseguire il mio aggiornamento professionale.

[In questa pagina web trovi i nominativi di tutti gli psicologi che utilizzano la Terapia a Seduta Singola in Italia.]

In questi giorni ho ricevuto diverse domande sulla Terapia a Seduta Singola che sintetizzo in questo articolo stile FAQ.

Singola vuol dire proprio Singola?

TSS_Terapia a Seduta Singola_proprio singola

La parola Singola, in questo modello di lavoro, significa:

  • Ogni incontro merita di essere valorizzato e trattato come se fosse l’unico. In questo modo puoi aspettarti di usare bene il tuo tempo e i tuoi soldi, massimizzando l’efficacia della singola seduta;
  • In alcune situazioni, l’incontro singolo è sufficiente;
  • A ogni incontro singolo può seguirne un altro, quando e se lo desideri.

Si è liberi di scegliere se si vuole una seduta singola o no?

La Terapia a Seduta Singola vuole dare la possibilità di godere di percorsi brevi o brevissimi – una seduta! – qualora li si preferisca e, al contempo, di scegliere percorsi di accompagnamento più lunghi.

Quest’ultima scelta può dipendere dal tipo di situazione vissuta e dalle aspettative rispetto alla terapia. Per esempio, potresti desiderare un percorso psicologico di crescita personale oppure uno spazio di ascolto in particolari momenti di vita. In tali casi, forse, non è l’incontro singolo ciò che chiedi!

In queste occasioni la Terapia a Seduta Singola può essere declinata all’interno di ogni singolo incontro – per massimizzarlo, come si diceva – oppure non essere usata affatto.

La Terapia a Seduta Singola non è una regola!

Nel momento in cui chiedi una consulenza a uno psicologo che utilizza la Terapia a Seduta Singola, potrai valutare con lui se questa sia la modalità adatta a te o se, invece, desideri o hai bisogno di un percorso più lungo.

Questo dettaglio è importante perché non è detto che ti serva una Terapia a Seduta Singola, né che tu la voglia!

In  breve… Libertà di scelta: sì!

Quali strumenti usa il terapeuta a seduta singola?

Mmm… rispondo con la metafora della gruccia appendiabiti (che non è mia, me l’hanno insegnata i docenti della formazione! 😉 )

La gruccia appendiabiti, di per sé, è uno strumento che ha lo scopo di offrire un supporto per gli abiti. Ci puoi mettere la giacca elegante o il giubbino sportivo, un abito di pizzo o in jersey, una camicia country o di seta, una casacca, un giaccone invernale…

Così avviene anche per la Terapia a Seduta Singola: fa da gruccia appendiabiti, su cui ogni psicologo appende il suo modo di fare psicologia, secondo approcci e metodologie che ha studiato e integrato nella sua pratica professionale.

Questo significa che i terapeuti a seduta singola lavorano secondo una forma mentis simile, ma con approcci e metodi diversi.

Alla gruccia si appendono competenze tecniche professionali specifiche, competenze e conoscenze trasversali e extra professionali, caratteristiche e esperienze personali del terapeuta…

Io, ad esempio ci appendo…

Gruccia Terapia Seduta Singola

Sulla gruccia io appendo la Terapia Narrativa, come cornice teorica dominante. Appendo ciò che mi insegna la Terapia Centrata sulla Soluzione e ciò che sto approfondendo rispetto all’Acceptance and Commitment Therapy.

E poi… ci appendo il counseling espressivo e attività di arte-terapia. E le tecniche di rilassamento. E quelle immaginative, che mi piacciono molto. Ci appendo ciò che ho imparato della fisiologia del sistema nervoso e dei modi in cui cicatrizzano le ferite emotive.

Alla gruccia appendo anche gli interessi extra psicologici che, ogni tanto, mi tornano utili anche nel mio lavoro; le mie storie e esperienze personali affinché mi aiutino a ascoltare e sentire le storie che mi racconta chi mi chiede un aiuto; alcune caratteristiche personali che mi accorgo di portare nel lavoro: ora mi vengono in mente l’ospitalità, la disponibilità, la curiosità, l’autenticità.

Ogni terapeuta appende cose diverse alla gruccia della Terapia a Seduta Singola.

Cosa posso aspettarmi da una Terapia a Seduta Singola?

Il terapeuta che utilizza la Terapia a Seduta Singola è concentrato ad aiutarti a trovare soluzioni e vie d’uscita a partire dalle tue caratteristiche personali e dalle tue competenze.

In un momento di difficoltà, potrebbe non essere saggio aggiungere alla difficoltà vissuta una seconda difficoltà, ossia dover agire, ipso facto, in modo molto distante dal proprio usuale.

Puo essere più utile facilitare i primi cambiamenti  – o passi verso il cambiamento – a partire da cio che sai e fai già trovando modi alternativi per usare le cosiddette risorse personali.

In un incontro di Terapia a Seduta Singola, parlerai di ciò che ti crea disagio e di ciò che vorresti cambiasse. Imparerai qualche strumento pratico e scoprirai perché le soluzioni tentate finora non sono bastate. Co-esplorerai con il terapeuta le risorse utili e co-creerai un piano d’azione, sulla linea delle tue esperienze personali.

Parole chiave: persona (e personalizzazione), risorse, massimizzare il tempo dell’incontro.

Davvero è possibile risolvere un problema in un incontro?

È possibile. Dire a priori se ti basterà un incontro o se ne serviranno altri è un azzardo che, personalmente, non sento di fare. Le variabili in gioco quando si vive una situazione di disagio sono tante e non esiste una valutazione che abbia valore predittivo certo.

Tuttavia… ti è mai capitato di aver sentito qualcuno a cui è cambiata la vita dopo un’ esperienza oppure a seguito delle parole di una persona cara?

Ebbene, in quei casi, si è prodotto un cambiamento, una svolta o si è risolto un problema, addirittura senza l’aiuto professionale.

Molte persone risolvono i problemi psicologici senza un consulto professionale. Per altri, è sufficiente il “tocco leggero” di una singola visita.
Michael Hoyt

La riflessione che stimola questa constatazione è:

preso atto che possono avvenire cambiamenti grazie a “momenti terapeutici quotidiani”, si possono immaginare le ricche potenzialità di un cambiamento guidato dalle domande e dagli strumenti offerti dalla psicologia.

La Terapia a Seduta Singola insegna che questo è possibile  anche in un solo incontro.

E se un incontro non mi basta?

Se un incontro non basta, al primo incontro ne possono seguire quanti ne serviranno!

Ognuno di questi avrà l’obiettivo di aggiungere un tassello alla conoscenza di te, per permetterti – il prima possibile – di cominciare a vivere secondo i tuoi valori.

“Il prima possibile”… Questa terapia mette fretta?

TSS_Terapia a Seduta Singola_mette fretta

Mi hanno fatto la domanda in tanti! No, non mette fretta. Anzi, il modello stesso ripete l’importanza di non correre e di rallentare. Ti dirò di più, ho l’impressione che proprio il rallentamento sia ciò che permette di ridurre i tempi di terapia.

Quando ci si rivolge allo psicologo capita che i pensieri siano tanti e le parole… altrettante! Nel vortice rapido di pensieri e parole ci si può perdere. Le domande e il lavoro co-creativo aiutano a rallentare, a soffermarsi e, in definitiva, a conoscersi e a (ri)scoprire soluzioni e direzioni utili per la propria vita.

Vuoi saperne di più sulla Terapia a Seduta Singola?

Scrivimi le tue domande a fontanella.francesca@gmail.com: sarò lieta di rispondere e condividere con te questo tassello di psicologia.

Una proposta di Consulenza Singola.

Puoi saperne di più anche nel sito dell’Italian Center for Single Session Therapy, presso il quale mi sono formata.

Vivere con il dolore cronico: 4 (+1) strategie

Una recentissima ricerca offre 4 (+1) strategie per ridurre il dolore cronico e i suoi effetti collaterali emotivi e relazionali.

Il dolore cronico è frequente: in Europa si stima l’incidenza del dolore cronico non oncologico al 22% della popolazione.

Cosa si intende per dolore cronico?

La IASP (International Association for the Study of Pain – 1986) definisce il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno.

E’ un esperienza individuale e soggettiva, a cui convergono sensoriali, esperenziali e affettive.

Il dolore cronico è duraturo, spesso determinato dal persistere dello stimolo dannoso e/o da fenomeni di automantenimento, che mantengono la stimolazione nocicettiva anche quanto la causa iniziale si è limitata. Si accompagna ad una importante componente emozionale e psicorelazionale e limita la performance fisica e sociale del paziente. E’ rappresentato soprattutto dal dolore che accompagna malattie ad andamento cronico (reumatiche, ossee, oncologiche, metaboliche..). E’ un dolore difficile da curare: richiede un approccio globale e frequentemente interventi terapeutici multidisciplinari, gestiti con elevato livello di competenza e specializzazione.

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=3769&area=curePalliativeTerapiaDolore&menu=terapia

Gli effetti psicologici del dolore cronico

Il dolore cronico può generare ansia, tristezza e depressione, diminuzione della fiducia in se stessi e calo dell’interesse nelle relazioni interpersonali.

Questo può avere ripercussioni in ambito familiare e lavorativo amplificando il disagio emotivo e, ahimè, anche il livello di dolore cronico!

Infatti, avendo il dolore una componente affettiva, una situazione di disagio emotivo può accentuare la percezione del dolore, aumentandone, di fatto, il livello.

Le strategie per vivere con il dolore cronico

Una recentissima ricerca – dettagli in bibliografia – di L. Phillips, ha esplorato le strategie di resistenza al dolore cronico, identificandone 4 tipi principali:

  1. Strategie di distrazione: svolgere attività di interesse che, distraendo, alleviano il dolore;
  2. Strategie di spostamento del focus: simili alle precedenti, con la differenza che la persona sposta volutamente l’attenzione su altro rispetto al dolore. Tra queste strategie potremmo annoverare la mindfulness e altre tecniche di rilassamento e immaginative;
  3. Strategie di indagine: esplorazioni delle cause del dolore e approfondimento delle soluzioni per ridurre il dolore;
  4. Ri-negoziazione relazionale: azioni volte a restituire equilibrio alle relazioni interpersonali, messe in discussione dal terzo incomodo del dolore cronico.

Ce n’è una quinta…

Phillips propone, anche, un’altra stategia. Ella ritiene utile porre, a chi soffre di dolore cronico e le chiede un aiuto terapeutico, la  questa domanda:

“Vuoi parlare del dolore o c’è qualcos’altro che ti preme di più?”

Phillips ha osservato che, quando le persone preferiscono parlare di altri temi (di altre difficoltà)  connessi e non al dolore cronico, si crea uno spazio terapeutico in cui sperimentano la possibilità di essere attive nella risoluzione delle difficoltà – con conseguente aumento dell’autostima positiva e del senso di autoefficacacia —

Inoltre, il tema di cui preme loro parlare, si rivela  premere – metaforicamente – anche sul dolore, accentuandolo. Talora, se ne rivela una delle cause. Parlare di altre questioni e difficoltà e trovare soluzioni, influenza positivamente anche la percezione del dolore, il cui livello diminuisce.

Cosa suggerisce questo studio?

Lo studio di Phillips offre due spunti di riflessione:

  1. L’importanza di trovare strategie personali in almeno una della categorie proposte;
  2. L’utilità di indirizzare le proprie energie a parlare di temi e questioni alternativi al dolore cronico.

Lo studio ci dice che, attraverso queste due modalità, è possibile ridurre il dolore, ridurne gli effetti collaterali psicologici e scoprirne cause inesplorate.

Soffri di dolore cronico e vuoi allenarti a ridurre il dolore?

Parliamone e cerchiamo le domande e le risposte più utili a te!

Fonti:

Phillips, L. (2017). A Narrative Therapy Approach to Dealing with Chronic Pain. The International Journal of Narrative Therapy and Community Work, 1, 21-30.

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=3769&area=curePalliativeTerapiaDolore&menu=terapia

La risposta è dentro di te?

Domande e risposte, uno sketch di qualche anno fa, un esperimento vintage e un’idea personale.

Chissà quanti anni hai… io ne ho 37, anche se sono del 1979. Compio gli anni in novembre e amo godermi tutto l’anno senza anticipare i conti. Se sei molto più giovane di me potresti non conoscere Quèlo. Lui è quello che diceva: “La risposta è dentro di te. Epperò, è sbagliata!“.

La risposta è dentro di te?

Si è soliti usare una metafora secondo la quale le risposte sono dentro le persone. Penso che, come tutte le metafore, anche questa sia una possibile descrizione di ciò che si vuole rappresentare.

Il senso è più o meno: non cercare chissà dove le risposte ai tuoi problemi perché, alla fin fine, la risposta ce l’hai tu.

In effetti, chi mai potrebbe avere le risposte e la capacità di rispondere (respons-abilità) per la propria vita se non la persona stessa?

Io, ‘sta risposta, non la trovo!

Questo commento lo ricevo, più o meno, una volta al giorno! Qualche volta me lo dico pure io stessa: ‘sta risposta, non la trovo!

Le risposte arrivano se ci sono le domande.

Una persona correva per le strade gridando:

“Ho le risposte! Ho le risposte! Chi ha una domanda?”

Storia Ebraica

Le domande, per dare risposte utili, debbono essere parimenti utili. Il compito della domanda è suscitare una risposta: più la domanda è volta a stimolare una risposta utile, più sarà importante porla.

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Dove origina la risposta

La risposta è data da un’elaborazione da parte dell’organismo degli stimoli che riceve nel presente, dalle esperienze già fatte e dalle aspettative rispetto al futuro. In questo senso, la produzione della risposta è interiore: cervello e altri componenti del sistema nervoso cooperano per produrre una risposta: verbale, emotiva, d’azione…

La risposta, per la stessa ragione – ossia perché dipende dall’elaborazione di stimoli -, potrebbe essere definita esteriore.

Ti racconto di un esperimento del 1931, condotto da Norman Meier.

Quanti  modi riesci a immaginare per legare due funi?

Meier appese due lunghe funi al soffitto di una stanza. La stanza era piena di oggetti, mobili, attrezzi e arnesi e le corde erano posizionate in modo che, tenendo l’estremità di una corda, non si riuscisse ad afferrare l’altra.

A chi entrava nella stanza era chiesto:

Quanti modi riesci a immaginare per legare le estremità delle funi?

Le soluzioni possibili, per questo compito, sono quattro:

  1. Tirare una fune verso l’altra, ancorarla a un oggetto e poi andare a prendere la seconda fune;
  2. Ricorrere a una terza fune da legare a una delle due per farla diventare più lunga e permettere a chi la afferra di raggiungere anche l’altra fune;
  3. Afferrare una fune con una mano e con l’altra usare un arnese (ad esempio un bastone) per tirare a sé l’altra fune;
  4. ?

La soluzione 4 consiste in: far oscillare una fune verso l’altra per avvicinarle e riuscire ad afferrarle.

Questa soluzione venne in mente solo ad alcuni partecipanti all’esperimento, inizialmente. Poi…

Il gesto “casuale”

Meier introdusse una variabile. Lasciò le persone riflettere per alcuni minuti e poi, senza dire nulla, si spostò muovendosi verso la finestra e, “casualmente“, sfiorò l’estremità di una fune facendola dondolare.

Accadde che quasi tutti a quel punto seppero identificare l’oscillazione come quarta soluzione possibile.

Faccenda curiosa, nessuno seppe riferire al gesto appena visto la propria risposta: tutti si trovarono a dare narrazioni della loro risposta legate a esperienze e conoscenze passate e a previsioni sul moto fisico delle funi in oscillazione.

La soluzione n.4 pare quindi emergere dall’elaborazione sensoriale dello stimolo presente + ricordi (passato) + capacità di prevedere (futuro).

La risposta è dentro il tempo?

Ecco la mia curiosità: la risposta – che dipende dalle domande – è dentro il tempo?

Più faccio questo lavoro, più vivo la mia vita personale e più penso che la risposta alle  domande sia dentro il tempo e si crei nell’intreccio di passato, presente e futuro…

… E più penso che dipenda dalla qualità delle domande che mi pongo.

D. Epston

Riferimenti bibliografici:

Maier, N.R.F. (1931). Reasoning in Humans: The Solution of a Problem and Its Appearance in Consciousness. Journal of Comparative Psychology, 12, 181-194.

Storie di lacrime: il racconto sorprendente di una bambina

Una bambina racconta cosa ne pensa delle lacrime: ne esce una storia sorprendente!

Le lacrime hanno una storia!

Così esordisce una bambina e inizia a raccontare quello che ora intitolo:

“Storie di Lacrime”

Le lacrime sono una cosa intima e ci si vergogna a mostrarle alla gente. Ma non è stato sempre così!

Nella storia dell’evoluzione abbiamo perso la possibilità di leccare le lacrime. Gli animali, quando esce una lacrima, la leccano. Tutti dicono che lo fanno per il sale, ma lo fanno per assaggiare la lacrima e capire di quale emozione è!

Così si comunica come ci si sente e le cose si fanno più facili.

Gli uomini invece nascondono le emozioni e se piangono sono casi rari!

Mio fratello è piccolo e quando piange non si capisce perché: basterebbe assaggiare la lacrima!

La tristezza non ha lo stesso sapore di quando si è arrabbiati! E esistono le lacrime di gioia…

Non dico che io ora assaggerei le lacrime degli altri però abbiamo un altro modo: ci sono delle persone speciali, nel mondo, che sanno assaggiare le lacrime degli altri senza assaggiarle davvero.

Sono quelli che ti lasciano piangere senza dire: “Non piangere!” Sono davvero interessati alle lacrime e, magari, ti chiedono perché piangi. Quello è assaggiare le lacrime.

Quando una lacrima esce è come se fosse una parola trasparente.

Ti faccio un esempio: se qualcuno mi tratta male e piango, quelle lacrime dicono parole. “Triste”, “Dispiacere”, “Non è giusto!”, “Pace”… però queste parole non si sentono e non si leggono e per questo non si capiscono subito. Però puoi chiedere a chi piange quali parole gli stanno uscendo dagli occhi e cambia tutto.

Ho scoperto questa cosa qui da te e la ho provata fuori. Fa smettere di litigare e fa voler bene. Funziona con tutti eccetto con mio fratello che non parla ancora. Ma parlerà.

I miei occhi nel frattempo si fanno lucidi e penso a queste lacrime trattenute, divenute intime per l’evoluzione – come suggerisce questa bambina sensibile e brillante – e che portano parole trasparenti…

Credo dicano “Grazie…”.