Cosa hai fatto di buono oggi?

La domanda della sera aiuta a liberare dopamina e serotonina e, ora, anche a scoprire qualcosa di nuovo.

Di buono, di bello, di piacevole – scegli tu – … cosa hai fatto oggi?

La domanda della sera

cosa hai fatto di buono oggi _la domanda della sera

Molti approcci psicologici -e non- suggeriscono di porsi questa domanda, la sera.

Cosa ho fatto di buono oggi?

L’obiettivo è portare l’attenzione su qualcosa di positivo della propria giornata per liberare dopamina e serotonina, due neurotrasmettitori che hanno a che fare con soddisfazione, piacere, gratifica, obiettivi raggiunti, sensazione di avere valore.

Alcuni suggeriscono di tenere sul comodino un quaderno su cui scrivere alcune righe per ricordare e, in qualche modo, celebrare, l’evento positivo o meglio riuscito della giornata.

Un’idea in più

La domanda della sera può essere usata anche per scoprire qualcosa in più rispetto alle proprie risorse e competenze e rispetto ai valori che guidano la propria vita.

Ho idea che le cose si imparino meglio facendole quindi, per mostrarti questo utilizzo della domanda della sera, ti propongo un esercizio. Puoi farlo anche se la giornata di oggi non è stata un granché o se ti pare di non aver combinato nulla di buono (bello, piacevole…).

L’esercizio

fai una prova

Primo passo

Ripercorri con il pensiero la tua giornata e identifica un momento in cui hai detto o fatto qualcosa che ti sembra ben detto o ben fatto.

Esempi:

  • Ti sei ricordato/a di dire a un familiare di passare a fare la spesa e prendere il dentifricio;
  • Hai saputo finire la relazione in tempo per la riunione;
  • Hai fatto una flessione in più di ieri;
  • Hai preparato una torta favolosa;
  • Hai chiacchierato 10 minuti con la vicina di casa;
  • Hai letto due pagine di quel libro che vorresti finire;

Come vedi, il menu è variegato: puoi trovare qualsiasi tipo di evento durante la giornata che ti faccia dire “Ok, bene!”

Il trucchetto è non avere pretese e sapersi premiare per ciò che si è fatto.

Secondo passo

Nota cosa ti è stato di aiuto per fare o dire quello che hai fatto o detto.

Esempi:

  • Contesto, ambiente
  • Persone presenti o non presenti
  • Clima
  • Tempo a disposizione
  • Stato di salute

Terzo passo

Chiediti qual è stato il tuo contributo, ossia quali competenze e caratteristiche ti sono servite per farcela.

Esempi:

  • Pazienza
  • Coraggio
  • Capacità di leggere in fretta
  • Concentrazione

Quarto passo

Chiudi in bellezza con una domanda- proposito:

Come posso usare queste informazioni per vivere al meglio la giornata di domani o quella situazione difficile che mi aspetta?

A quel punto non ti resta che applicare!

Hai provato l’esercizio e vuoi condividere le tue riflessioni?

Hai provato l’esercizio e vuoi saperne di più?

In entrambi casi, puoi scrivere a fontanella.francesca@gmail.com

oppure puoi usare il modulo di contatto:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le colonne sonore della Cura di sé:12 (+ 1) Canzoni scelte insieme

Il tuo modo di prenderti cura di te, a quale canzone somiglia? Scopri come prenderti cura di te insieme a 12 (+1) canzoni.

Arrivano, a volte, momenti in cui prendersi Cura di sé. Abbiamo scelto insieme 12 (+1) canzoni che rappresentano forme diverse di Cura di sé e Amore per se stessi.

Come prendersi cura di sé

Il modo giusto per prendersi cura di se stessi esiste ed è il proprio.

<< Rewind

I modi giusti per prendersi cura di se stessi esistono e sono i propri.

In qualsiasi momento della tua vita ti trovi, i modi per prenderti cura di te possono essere uno o più di uno e meritano di essere declinati in maniera personale.

Fai una prova

fai una prova

Pensa a qualcosa che ritieni possa significare cura e amore verso se stessi…

Fatto? A cosa hai pensato?

Molte persone rispondono: mangiare bene, sport, parrucchiere, cosmesi, visite mediche, massaggi… qualcuno – raffinato 😉 – cita lo psicologo e la psicologia.

Tutte queste risposte sono possibili modi in cui prendersi cura di sé: ve ne possono essere altri. Hobbies – risponde qualcuno – , una tisana – aggiunge qualcun altro -, guardare film e ascoltare musica… a te viene in mente qualcos’altro?

Ipotizziamo che tu abbia pensato he potresti mangiare bene: cosa intendi per mangiare bene? Cosa vorresti cambiasse nella tua alimentazione attuale?

Cerca di dettagliare il più possibile l’azione o le azioni che descrivono ciò che intendi per mangiare bene. Solo in questo modo sarà possibile, già oggi, cominciare. In caso contrario è più facile cadere nella procrastinazione.

Qualsiasi cosa tu abbia pensato, falla!

Per iniziare a prendersi cura di se stessi, da qualcosa bisogna pur cominciare! Ebbene, perché non cominciare dall’azione a cui hai appena pensato?

Il punto è che per cominciare a prendersi cura di se stessi, è bene fare come se si stesse già prendendosi cura di sé. Facendo, si attiva un meccanismo comportamentale che aiuta a mantenere attivi il proposito, la motivazione e l’azione.

Per restare nell’esempio, prendi l’azione che hai appena indicato per descrivere il mangiare bene e… falla!

A piccole dosi, per iniziare!

Mi permetto un doppio suggerimento rispetto alle dosi.

  1. Sai cosa vorresti fare per penderti cura di te, ma … non ne hai voglia o ti sembra di non trovare il tempo! Ebbene, scegli una versione leggera del tuo proposito. Nel nostro esempio… Mettiamo tu abbia pensato di mangiare più verdura e che non ti piaccia affatto. Potresti aggiungerla a un solo pasto, per ora, iniziando dalla verdura che ti convince di più o preparata in un modo che ti incuriosisce o, ancora, potresti mangiarne poca.
  2. Per iniziare, è bene tu scelga di svolgere la tua azione per la cura di sè senza eccedere: che il troppo stroppia lo sai già e se assumi una dose massiccia di cura di te oggi… domani potresti non averne voglia. Per creare un’abitudine, è utile la costanza.

Creare un abitudine

Le abitudini si possono creare associando la nuova azione a azioni che durante la giornata si è già soliti fare. Resto nell’esempio… Hai scelto di mangiare bene aggiungendo una verdura a un pasto. Tutti i giorni, di solito, a pranzo ti rechi al bar vicino al lavoro e prendi un toast: ebbene, da oggi, puoi aggiungere una centrifuga di carota e sedano. Il toast è già un’abitudine ed è più semplice aggiungere una nuova abitudine  – la centrifuga di verdure – collegandola a una esistente.

Per creare l’abitudine, c’è chi si trova bene anche con post-it appesi in casa e in luoghi strategici, appunti in agenda, “nodi al fazzoletto” personalizzati – un oggetto che si indossa, un appunto sul braccio, una canzone promemoria…

Una canzone, appunto!

12 (+1) canzoni per la Cura di sé

play

Ecco le 12 canzoni che abbiamo scelto e che ricordano a chi le ha indicate la cura e l’amore verso se stessi. I link alle canzoni sono accompagnati dalle parole di chi ha scelto il pezzo oppure da frasi del testo.

Fix You – Coldplay

When you try your best but you don’t succeed
When you get what you want but not what you need
When you feel so tired but you can’t sleep

Quando fai del tuo meglio, ma il risultato non arriva

Quando ottieni ciò che vuoi, ma non ciò che desideri

Quando ti senti tanto stanco, ma non riesci a dormire

I will try to fix you

Proverò a rimetterti in sesto

 

Vuoto a perdere – Noemi

Qua praticamente c’è la crescita interiore, la maturità, il fregarsene del giudizio della gente. Guardarsi la cellulite e dirsi: “Va bene così, chissenefrega!”

 

No Hero – Elisa

‘Cause you can count on me
As long as I can breathe
You should know
I’ll carry out through the night
Through the storm

Perchè puoi contare su di me

Fino a quando avrò respiro

Dovresti saperlo

Lo farò nella notte

nella tempesta

 

Volo – Paola Turci

Questa canzone ha significato molto per me

Volo così perchè è così che devo vivere
Volo nel cuore di chi ha voglia di sbagliare
Volo nel sole perchè ho voglia di bruciare

 

Viva – Ligabue

Perché sei
viva viva cosi come sei
quanta vita hai contagiato
quanta vita brucerai che sei
viva viva per quella che sei
niente rate, niente sconti
solo viva come vuoi….

 

Abbi cura di te – Levante

C‘è il volersi bene anche rischiando, perché rischiare a volte è un po’ vivere.  Buttarsi nel vuoto e urlare a squarciagola, buttarsi nell’acqua del mare pur sapendo che è fredda.

 

Ovunque proteggi – Vinicio Capossela

Ma ancora proteggi la grazia del mio cuore

adesso e per quando tornerà nel tempo

il tempo per partire, il tempo di restare

il tempo di lasciare, il tempo di abbracciare

 

I Will Survive – Gloria Gaynor

Mi sembra esprima bene tutta la forza di chi, dopo essere stato tanto tempo sotto un macigno che lo schiacciava, riesce finalmente a toglierselo di dosso. Tutta la meravigliosa sensazione di essere vivo, giusto, intero, di avercela fatta alla faccia di tutto e di poter andare avanti con una energia positiva da investire finalmente in qualcosa di nuovo.

 

L’eccezione – Carmen Consoli

Qui c’è una sorta di rimprovero nel momento in cui si rinuncia alla propria unicità, per uniformarsi a tutti i costi. Ma in fondo, nell’omologazione generale, c’è sempre l’eccezione, la mosca bianca.

 

La Cura – Franco Battiato

Perché sei un essere speciale,
Ed io, avrò cura di te

 

Abbi cura di te – Psicantria

Abbi cura di te

E non è un fatto di pura igiene personale

Abbi cura di te

Di quello che ti piace fare

Dei tuoi occhi che ridono e piangono

 

Sally – Vasco Rossi

È quando ti accorgi che vai bene così, che riesci a prenderti davvero cura di te!

 

Greatest love of all – Whitney Houston

Chiudo questa lista, che potrebbe continuare a lungo, con una canzone che tiro fuori dal cappello tutte le volte che gli eventi di vita mi ricordano quanto è importante amarsi: nascite, morti, malattie, momenti di gioia e di dolore, emozioni e pensieri nel flusso di vita che corrono, scorrono e – qualche volta – rallentano. Sei nell’avventura della vita e quando le cose capitano, non resta che viverle.

The greatest love of all
Is easy to achieve
Learning to love yourself
It is the greatest love of all

L’amore più grande di tutti

è facile da raggiungere

Imparare ad amare se stessi

è l’amore più grande di tutti

Il  tuo modo di prenderti cura di te a quale canzone somiglia?

 

 

 

Quale tipo di Depressione hai?

Le Depressioni non sono tutte uguali, ne esistono diversi tipi, infiniti, se vogliamo. Quale tipo di Depressione hai?

Le Depressioni non sono tutte uguali, ne esistono diversi tipi, infiniti, se vogliamo. Quale tipo di Depressione hai?

“Dottoressa, sono depresso!”

“Mmm e quale tipo di Depressione ha?”

Comincia spesso così una conversazione terapeutica nel mio studio. E prosegue, più o meno, in questo modo…

Ce ne sono diversi tipi?

“Ce ne sono diversi tipi? Non me lo hanno detto!”

Oppure

“Non lo so, credo mi abbiano detto ‘Depressione maggiore'” (o ‘reattiva’, o altre etichette del caso).

A queste risposte mi capita di dire qualcosa del tipo:

“Ok, e la Depressione Maggiore che conosce com’è? Com’è fatta? Le sembra maschio o femmina? Che tipo di comportamenti adotta per influenzare la sua vita?

Questo tipo di domande sono le prime di una serie che ha l’obiettivo di aiutare a esternalizzare la Depressione o altre difficoltà/disagi/problemi che le persone incontrino nella loro vita.

Si tratta di passare dalla percezione di se stessi come depressi, alla consapevomaps of narrative practicelezza di vivere insieme alla Depressione, con la quale ci si può relazionare per riappropriarsi dello spazio vitale che lei, per natura, tende a scippare.

Questo punto di vista si rifa alle mappe narrative di Michael White.

Come scoprire quale tipo di Depressione hai

1 – Per scoprire quale tipo di Depressione accompagna la tua vita, puoi iniziare… disegnandola!

???

Sì, disegnandola oppure facendone una fotografia oppure, se ti piace scrivere, puoi raccontarne la storia, oppure puoi farne una statutetta di argilla… Qualche tempo fa una persona creò un pupazzo di pezza che rappresentava la Paura! 🙂 Quindi spazio alla creatività! Se ti va, dai anche un nome alla Depressione.

Primo Passo: dare una forma concreta. spunta

2 – Descrivi come influenza la tua vita nei vari contesti (famiglia, lavoro, scuola, amicizie, sport, speranze per il futuro…)

Questo passo offre l’opportunità di cominciare a conoscere effetti e conseguenze della Depressione sulla tua vita. Quali abitudini ha la Depressione? Quali valori persegue? In che modo agisce?

Secondo Passo: scoprire come ti influenza.

3 – Dì la tua: sei d’accordo con il comportamento di Depressione? Ti sta bene il modo in cui ti influenza?

In questo passo puoi prenderti il gusto e la responsabilità di dire la tua. Depressione ha le sue abitudini e le sue modalità di influenzarti, ora tu puoi dire se concordi con lei e in cosa oppure se sei in disaccordo e vorresti metterne in discussione alcune influenze sulla tua vita.

Tu e Depressione siete in relazione e puoi avere il tuo punto di vista, diverso dal suo.

Terzo Passo: dì la tua.

4 – Perché? (Motiva la tua risposta al terzo passo)

In questo passo puoi giustificare e spiegare la ragione per cui concordi o sei in disaccordo con Depressione. Tutte le risposte vanno bene, rispondi ciò che pensi e ciò che senti.

Quarto Passo: motiva e giustifica il tuo punto di vista.

Ok e adesso?

Se hai fatto i 4 Passi, avrai con te una rappresentazione concreta della Depressione e avrai cominciato a conoscerla meglio: le sue intenzioni e abitudini, il modo in cui ti influenza e ciò che tu pensi di lei (o lui, potresti aver scelto che Depressione è maschio!). Forse saprai anche perché hai una certa opinione rispetto a Depressione.

Ora hai il materiale di lavoro per cambiare la tua relazione con la Depressione, se lo desideri.

Hai a che fare con un personaggio unico, al di fuori delle diagnosi e molto più accessibile e vicino alla tua realtà di vita.

Questo ti dà la possibilità di cominciare a riflettere sulle modalità per riprendere lo spazio di vita che ti spetta. Ad esempio: come ti relazioneresti con un personaggio del genere se lo incontrassi? Come gli parleresti? Cosa saresti disposto a condividere con lui/lei?

Ehm… non capisco come possa essermi utile!

ok e adessoQuesta modalità esplorativa può essere controintuitiva e può essere complesso lavorarci in autonomia. L’idea migliore, a mio avviso, è cercare uno psicologo che utilizzi questo metodo e appoggiarsi a lui/lei per proseguire nell’esplorazione e costruire le soluzioni e i cambiamenti. Puoi contattarmi per conoscere i nomi di colleghi in Italia e all’estero.

Dal canto mio, se sei interessato/a a esplorare il problema, ti propongo il…

Quinto passo: inviami le tue risposte ai 4 Passi

Attenzione proposta commerciale 🙂 

Questa sezione dell’articolo ti interessa solo se desideri esplorare il problema.

Ebbene, puoi inviarmi una mail con le risposte ai 4 Passi e una fotografia della tua realizzazione concreta di Depressione (o di qualsiasi altro problema! Questa proposta vale anche per Ansia, Paura, Dolore, Rabbia… quello che vuoi tu!).

Una volta letta la tua mail, ti comunicherò se sarà possibile esplorare insieme il problema e, se sarà così, potremo procedere in questo modo:

  • 2 incontri da 60 minuti (in studio, online su Skype, telefonici)
  • 1 mail o telefonata di accompagnamento a distanza di tre settimane dal secondo incontro
  • 1 mail o telefonata di accompagnamento a distanza di tre mesi dal secondo incontro

Il costo? 125,70, con omaggio del mio libro Kairòs in versione cartacea che ti spedirò a casa.

Il costo è così calcolato:

  • 2 incontri da 60 minuti: 51 euro cadauno >> 102 euro
  • 2 mail o telefonate di accompagnamento: 10 euro cadauna >> 20 euro
  • Costi di gestione: marca da bollo, spedizione del libro >> 3,70 euro

Che ne pensi? Quale beneficio pensi ne trarresti?

Hai una storia di Depressione che ti va di condividere con altri? Puoi raccontarla nei commenti, se ti va!

 

 

 

 

 

 

Le Paure: Perché e Soluzioni in una canzone di Jovanotti

Le Paure hanno un lato noto e uno – spesso – sconosciuto.
Il lato noto delle Paure è la Paura stessa, quello sconosciuto rovescia il punto di vista e fa scoprire qualcosa di tutt’altro che banale: il desiderio dietro la paura.

Le Paure sono diverse dalla Paura. La Paura è un’emozione e ha l’ obiettivo di tenerti lontano dai pericoli. Le Paure possono essere convinzioni maturate con l’esperienza o tramandate da persone care che invitano a evitare determinate situazioni perché potrebbero essere pericolose.

Qualche volta le Paure sono alimentate dall’Ansia, un emozione che aiuta a prevedere le conseguenze e a pianificare, ma che, talora, pretende di prevedere conseguenze imprevedibili.

 [Potrebbe interessarti anche L’ansia ha lo sguardo rapido: facci caso…]

Il lato noto delle Paure

Le Paure hanno un lato noto e uno – spesso – sconosciuto.

Il lato noto delle Paure è la Paura stessa, nella formula in cui ti si presenta:

  • La paura del buio
  • La paura di volare
  • La paura delle malattie
  • La paura dei ragni
  • La paura dei cani
  • La paura di fallire in un compito

 [Potrebbe interessarti anche Emma e la Paura dei ragni]

Il lato noto delle Paure è, quindi, il lato che conosci già, che ti frena nel provare delle esperienze o, magari, ti fa scappare a gambe levate.

Quello che forse non hai mai conosciuto è…

Il lato nascosto delle Paure

Personalmente immagino questo lato nascosto come se fosse il riflesso allo specchio delle Paure perché ne è l’immagine rovesciata. Il lato nascosto delle Paure offre

un punto di vista strambo. 

Te la ricordi la canzone Mi fido di te di Lorenzo Cherubini?

La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare.

Sì, va bè: il solito lato positivo delle cose!

Mmm, no! Il lato nascosto delle Paure non è necessariamente un lato positivo.

Il lato nascosto delle Paure descrive ciò che si vorrebbe accadesse al posto della cosa di cui si ha paura.

Ad esempio:

Quando si prova paura del buio, si desidera che vi sia luce.

>> Desiderio di luce anziché paura del buio.

Cambia qualcosa nelle tua percezione della paura del buio se noti che si tratta di desiderio di luce?

La soluzione all’interno del lato nascosto delle Paure

Come per la paura del buio la soluzione – top – è la luce, per ogni paura si può scovare la soluzione ottimale all’interno del suo lato nascosto.

Tuttavia, non è solo questo che mi interessa raccontare nell’articolo. Vorrei aiutarti a osservare un paio di dettagli che derivano dalla precedente – apparentemente – semplice riflessione.

  1. Se la soluzione ottimale è la luce, di volta in volta, sarà importante chiedersi come ottenere la luce più che allarmarsi per il buio. Si può premere l’interruttore, accendere una candela, aprire una finestra, raggiungere un lampione…
  2. Puoi provare a chiederti di più e a esplorare il significato del desiderio di luce.

Alcune domande utili a tal fine

  1. Come mai è importante la luce?
  2. Chi conosci che, come te, trova importante la luce?
  3. Quali parole associ a “luce”?
  4. Una volta che hai ottenuto la luce, cosa ottieni, oltre a non provare più paura?

Puoi usare, anche, la “Catena dei Perché” 

Un esempio tratto da un esperienza in famiglia:

Perché è importante la luce?

Per vedere la cose!

Perché è importante vedere le cose?

Per controllare dove sono e non inciampare.

Perché è importante controllare e non inciampare?

Per sentirsi sicuri!

La sicurezza è importante per te?

Sì!

In questo caso, il desiderio di luce aiuta a ottenere sicurezza: ora che la persona lo sa, potrebbe interessarle scovare altri modi per ottenere sicurezza. Se ben usati, essi possono piano piano aiutarla a non provare più Paura del buio.

Più specifica è la Catena dei Perché, più può aiutare a scoprire, all’interno del lato nascosto delle Paure, il significato personale delle singole Paure e  a creare la possibilità di superarle, lasciarle andare o provarle con meno intensità.

Ricapitolando: Rovescia la Paura e fatti delle Domande! 🙂

Hai appena provato a rovesciare una tua Paura? Cosa ne è saltato fuori?

Se ti va, puoi scriverlo nei commenti oppure all’indirizzo fontanella.francesca@gmail.com

 

Il sapore piccante della Rabbia: “Liget”

Il sapore piccante della Rabbia stimola a trovare le direzioni di vita. Segui il suggerimento del popolo degli Ilongot e conosci il Liget, la Rabbia positiva.

La Rabbia ha un sapore? Per il popolo degli Ilongot, nelle Filippine, il sapore della Rabbia è piccante e si chiama Liget.

Liget: l’energia rabbiosa

Per Il popolo degi Ilingot, la parola Liget corrisponde a un energia rabbiosa che muove all’azione. Che si tratti di una discesa lungo le rapide, di bisogno di riscatto, della reazione a una perdita, gli abitanti della Nuova Vizcaya utilizzano la parola Liget. Anche il sapore piccante del peperoncino è chiamto Liget, forse per quell’effetto di calore che la capsaicina – sostanza responsabile dell’effetto piccante – produce in bocca.

[Ti può interessare anche Bianco dalla Paura! Rosso per la Rabbia!]

Il lato positivo della Rabbia

Flessibilità

Il merito di aver portato l’attenzione sulla parola Liget va all’antropologa Michelle Rosaldo che, negli anni ’80 del 1900 restò colpita dal significato potenziante di questa parola. Abituata a considerare la Rabbia come qualcosa di negativo, le parve importante sottolinearne le componenti di vitalità e di energia positiva.

Sebbene Liget e Rabbia possano portare a scatti d’ira e a reazioni aggressive o violente, esse hanno anche il ruolo di muovere all’azione per proteggere il proprio valore personale e le cose in cui si crede, possono dare la motivazione e lo stimolo per realizzare obiettivi e per trovare direzioni di vita e strade alternative.

Liget e Rabbia possono aiutare anche a migliorarsi e a investire le proprie energie per superare ostacoli e limiti.

“Se non fosse per il Liget, non Vivremmo mai.”

Da un’intervista al popolo degli Ilongot, M. Rosaldo.

#1 Fai attenzione ai segni rivelatori

Se vuoi usare Liget e Rabbia per Vivere, – V maiuscola – come il popolo degli Ilingot, è importante fare attenzione ai segni rivelatori, spesso rappresentati dai pensieri che accompagnano queste emozioni.

Il pensiero che accompagna l’emozione è un utile indicatore di cosa stia suscitando Rabbia. Può essere importante fermarsi a ascoltarlo per indirizzare la Rabbia nella direzione voluta e non usarla come sfogo incontrollato.

Quest’ultimo, infatti, può dare origine a emozioni secondarie di senso di colpa, tristezza, paura – di perdere la stima e l’affetto di chi ha vissuto la tua Rabbia, ad esempio -.

Ricorda che non sono gli eventi a farti arrabbiare, ma tu che provi Rabbia di fronte a certi eventi!

#2 Nota dove si localizza la Rabbia nel corpo

Senti la Rabbia a livello viscerale? Ti fa male la testa? Hai un nodo allo stomaco? Un formicolio alle braccia?

Concentrati sulla sensazione e prova a “respirarvi dentro”, falle spazio e dalle un nome e delle caratteristiche.

Qualche  esempio tratto da situazioni reali (ringrazio le persone che hanno condiviso le loro Rabbie) :

Melma paludosa, sporca, densa, subdola.

Rabbia rigida, grigia, fredda, amara.

Slavina, indifferente, prepotente, fischiante.

Schiaccia-sassi, forte, lenta, non lascia niente di intatto.

#3 Riconosci la Rabbia per tempo

Abituati a riconoscere i pensieri e le sensazioni associati alla Rabbia e fai in modo di notarli mentre arrivano. La Rabbia è un’emozione e, come tale, ha un decorso “a onda”. Se riesci a percepire i primi segnali della Rabbia, puoi indirizzarla meglio, evitando di agire al culmine dell’onda, quando l’emozione e talmente forte da farti comportare in modo precipitoso e, spesso, poco utile e costruttivo.

#4 Impara a usare la Rabbia

Questo passaggio è quello che può richiedere più allenamento e scivolini e scivoloni sono all’ordine del giorno.

Per cominciare, puoi tenere un diario in cui appuntare i pensieri e le sensazioni che accompagnano la Rabbia nelle diverse situazioni, il livello di intensità della Rabbia (da 0 a 10) e il modo in cui hai reagito. Ricorda di appuntare, anche, se ti sei piaciuto/a o no, come potresti migliorare e, se ti sei piaciuto/a, come hai fatto a usare bene la Rabbia.

#5 Osserva le reazioni che la Rabbia suscita negli altri

Fallo nelle prossime occasioni e nota cosa provoca la Rabbia negli altri, sia quando sono loro a provarla, sia quando tu la mostri loro.

Hai fatto i 5 step di questo articolo e ora vuoi saperne di più?

Scrivimi la tua esperienza a fontanella.francesca@gmail.com

 

Riferimenti Bibliografici:

La Storia del Liget è tratta da:

Watt Smith, T. Atlante delle Emozioni Umane. Ed Utet. 2017.

 

Il mal di testa passa se perdi le staffe!

Perdere le staffe può essere un utile rimedio al mal di testa! Scopri come puoi ridurre o eliminare il dolore da cefalea con la Visualizzazione della Rabbia.

Stai cercando un rimedio per il mal di testa? Forse, ora, provi una certa curiosità per il titolo di questo articolo. Vorresti scoprire un rimedio che non hai ancora provato oppure ti aspetti che questo articolo faccia dell’umorismo?

Io spero che tu qui possa trovare un’idea per te nuova – da declinare a modo tuo – e al contempo che tu possa divertirti un po’!

Tutto iniziò quando…

Lo scorso anno partecipai a un interessante corso di aggiornamento sulle emozioni. Per la prima volta – paradossalmente – mi si parlò dell’importanza di distinguere tra emozioni soppresse – annullate – e represse – controllate -.

Fu anche proposta una riflessione rispetto al tipo di somatizzazioni causate dalla soppressione e dalla repressione delle emozioni e, tra queste, si parlò di mal di testa.

Mal di testa da tensione (repressione)

Alcuni dei metodi (non farmacologici) che sono utilizzati per trattare le cefalee hanno a che vedere con il rilassamento muscolare. La tensione e l’irrigidimento dei muscoli del corpo sono una componente del mal di testa e sono connessi alla repressione delle emozioni.

Ossia…

Repressione delle emozioni >> tensione e irrigidimento muscolare >> mal di testa.

Non è tutto qui, ma facciamola facile per proseguire con l’articolo e andare al dunque.

Prima possibilità: il rilassamento e le visualizzazioni

Rilassamento e visualizzazioni

Puoi iniziare a ridurre il mal di testa imparando tecniche di rilassamento e utilizzando le visualizzazioni.

[Ti può interessare anche Via la Stanchezza con un pezzetto di burro!]

Si tratta di strumenti che diverse professioni declinano in  modi differenti tra loro. Sto pensando all’utilizzo che se ne può fare nello yoga o in incontri di meditazione, ad esempio. Se chiedi a uno psicologo di accompagnarti in un percorso specifico di questo tipo, gli esercizi e le tecniche verrano declinati in chiave psicologica. In questo caso, l’aspetto differenziale che trovo più rilevante è la collaborazione tra psicologo e cliente/paziente che porta a una co-esplorazione di significati e a una co-creazione di “soluzioni”.

Qualche volta, il rilassamento non funziona…

Di fronte a uno scorato terapeuta, alcuni confessano di non trovarsi affatto bene con il rilassamento e di non riceverne alcun giovamento.

Il rilassamento ha favorito loro il sonno, ha permesso di vivere con più agilità il quotidiano, ma il mal di testa è rimasto e si ripresenta con la stessa frequenza – o quasi! – e la stessa intensità. Se non trovi giovamento dal rilassamento…

… allora è il caso di perdere le staffe!

«L’espressione ‘perdere le staffe’ viene dalla particolarità di alcuni pantaloni da uomo… perché, anticamente, erano allacciati con un tipo speciale di bretelle, le staffe, appunto… Che, una volta perse… Insomma: l’espressione vuol dire ‘trovarsi in balìa di tutto’… ‘essere indifesi’, capito?».

http://www.treccani.it

Detta così pare chiaro perché, nel quotidiano, se possibile, si preferisca non perdere le staffe.

Ebbene, chi non perde le staffe reprimendo la rabbia e, al contempo, non riesce e farsi rispettare, è a rischio mal di testa!

Usare le Visualizzazioni della Rabbia

Visualizzazione della Rabbia

Può essere utile immaginare di esprimere la rabbia e di perdere le staffe.

Immaginare, per l’appunto, di modo da non trovarsi indifesi e senza brache. 😉

Nella relazione con gli altri e con se stessi la rabbia merita di essere scaricata in un modo che non porti conseguenze negative.

Nell’immaginazione, tuttavia, si può osare qualche parolaccia e urlo di troppo, il lancio di oggetti, sfoghi fisici… ma anche ironia e sarcasmo laddove, nella “realtà” non puoi usarli, silenzi oppositivi, ripicche…

Tutte queste azioni aggressive che sei solito/a evitare per questioni etiche e di convivenza sociale, puoi agirle nell’immaginazione, permettendoti la liberazione della rabbia.

Questo potrà aiutarti in due modi, principalmente:

  1. La rabbia liberata (non più repressa) farà rilassare i muscoli che il solo rilassamento non risuciva a far rilassare;
  2. La rabbia, una volta scaricata la sua componente più impulsiva, potrà essere usata come motore all’azione e consentirti di ottenere ciò che è importante per te.

Nella pratica…

Lo sai già, per fare un lavoro accurato potrebbe essere necessario l’aiuto di uno psicologo che utilizzi le visualizzazioni  e le immaginazioni guidate.

Intanto, se vuoi provare a sperimentare da te, puoi fare così.

  • Scegli una canzone che, per te, rappresenti la rabbia;
  • Chiediti che tipo di rabbia rappresenti la canzone che hai scelto: aggressiva, oppositiva, difensiva…
  • Chiediti come si manifesterebbe quel tipo di rabbia in una questione della tua vita che ti fa provare rabbia: quali gesti, quali parole…
  • Fai suonare la canzone e visualizza te stesso/a mentre fai quei gesti e quelle parole.
  • Interrompi la canzone quando vuoi tu.
  • Ripeti, se necessario.

Allenati con questo esercizio una volta al giorno, pensando a qualcosa che ti ha fatto provare rabbia e utilizzalo dopo aver vissuto episodi in cui hai represso la rabbia.

In questo modo dovresti prevenire i mal di testa.

Qualcuno si trova bene a svolgere l’esercizio mentre ha mal di testa. Può essere più difficile e richiedere la capacità di fare spazio al “dolore pulito”. Ma questa è un’altra storia.

Soffri di mal di testa? Prova la Visualizzazione della Rabbia e poi fammi sapere come ti trovi! Il tuo contributo è prezioso!

Scrivi a fontanella.francesca@gmail.com

 

Riferimento bibliografico essenziale:

Porges, S.W. The Polyvagal Theory: Neurophysiological Foundations of Emotions, Attachment, Communication, and Self-regulation. W W Norton & Co Inc, 2011.

 

 

 

 

 

Una decisione da prendere…

Ho una decisione da prendere e, mentre utilizzo questo strumento creativo che conosco, lo condivido con te…

La questione mi pare stia in quella parola: “prendere“. Una volta che si è presa la decisione, la si è presa. La si può anche mollare?

In molte situazioni sì. Sto pensando alle piccole e grandi decisioni quotidiane che possono essere modificate o, addirittura, reversibili.

Per questo tipo di decisioni potrebbe interessarti Decidere di decidere: il dilemma della scelta.

Tuttavia, mi trovo in un situazione personale in cui debbo scegliere per la mia salute. Ohibò… qui la faccenda si fa multi-sfaccettata e prendere la decisione implica prenderla e tenermela.

Premetto che non ho ancora deciso anche se…

Volendo metterci tutta la sincerità, mi ci sto dedicando poco e sto rimandando la decisione con quel fare un poco buffo che ha l’essere umano in alcune occasioni: evita, procrastina, aspetta… Strategia poco utile, come immaginerai!

Nonostante questo, è arrivato il momento di mettermici con impegno.

Porsi domande che possano aiutare

Per prendere una decisione, ci sono alcune domande che può valere la pena porsi e che, qualche volta, sono la chiave per decidere. Ad esempio puoi chiederti:

  1. Qual è la storia della situazione?
  2. Quali obiettivi ho?
  3. Quali valori ho?
  4. Chi è importante per me? Cosa direbbe?
  5. Per ogni opzione di scelta:

    1. Cosa mi trattiene?
    2. Cosa mi attrae?

Se non basta o se questo ti sembra un esercizio che ti porta a rimuginare senza arrivare alla decisione, puoi provare…

Il Dialogo tra le Parti (a modo mio)

Una decisione da prendere_

Questo strumento nasce dalla descrizione di R. Dilts e lo ho incontrato per la prima volta grazie al collega Antonio Amatulli. Ho scelto, nella pratica clinica, di integrarlo alle tecniche immaginative e alla narrazione pertanto, dell’esercizio originale resta solo la scocca.

L’esercizio può essere usato nel caso in cui la decisione dipenda dalla sensazione di sentirsi in conflitto con se stessi. Mi spiego meglio.

Mettiamo che una persona debba decidere se andare a un appuntamento a piedi oppure in auto. Questa decisione potrebbe dipendere dal meteo, dal tempo a disposizione, dalle distanze, dalla disponibilità dell’auto… Queste variabili non implicano un conflitto con se stessi.

Se, invece, andare a a piedi implica la libertà perché, andando in auto, la persona sarebbe costretta a dare un passaggio a una persona che non apprezza… bè, potrebbero entrare in gioco alcuni valori che sembrano contrastarsi: libertà e rispetto di sé; disponibilità e rispetto per l’altro.

Quando entrano in gioco valori di questo tipo, la decisione può essere percepita come un conflitto.

Il Dialogo tra le Parti arriva in soccorso e aiuta a dipanare i nodi del conflitto dando spazio all’esplorazione dei valori e trasformandoli in personaggi che possono dialogare tra loro e confrontarsi rispetto alle loro risorse e alle loro aspettative.

Questo gioco comunicativo e narrativo aiuta la persona a comprendere le ragioni di entrambe le parti, trovare eventuali punti d’accordo oppure simpatizzare per una delle due.

Trasformando il conflitto da “interiore” a “esteriore”, si facilita la decisione.

Questo esercizio richiede un’ora di tempo e un po’ di pratica per essere utilizzato in modo efficace e non risultare solo un virtuosismo fine a se stesso. Una volta acquisito, potrai usarlo in autonomia in altre situazioni di conflitto decisionale.

Hai una decisione da prendere? Quale? Che ne pensi de Il Dialogo tra le Parti?

Puoi scrivermi le tue riflessioni a fontanella.francesca@gmail.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TSS – Terapia a Seduta Singola: qualche volta, basta un incontro!

Eccomi qui! 🙂 Sono passati diversi giorni dall’ultimo articolo. Priorità lavorative e personali mi hanno distratta dallo scrivere e ora sono pronta per raccontare qualcosa di più rispetto alla Terapia a Seduta Singola, modello in cui mi sono formata recentemente, per proseguire il mio aggiornamento professionale.

[In questa pagina web trovi i nominativi di tutti gli psicologi che utilizzano la Terapia a Seduta Singola in Italia.]

In questi giorni ho ricevuto diverse domande sulla Terapia a Seduta Singola che sintetizzo in questo articolo stile FAQ.

Singola vuol dire proprio Singola?

TSS_Terapia a Seduta Singola_proprio singola

La parola Singola, in questo modello di lavoro, significa:

  • Ogni incontro merita di essere valorizzato e trattato come se fosse l’unico. In questo modo puoi aspettarti di usare bene il tuo tempo e i tuoi soldi, massimizzando l’efficacia della singola seduta;
  • In alcune situazioni, l’incontro singolo è sufficiente;
  • A ogni incontro singolo può seguirne un altro, quando e se lo desideri.

Si è liberi di scegliere se si vuole una seduta singola o no?

La Terapia a Seduta Singola vuole dare la possibilità di godere di percorsi brevi o brevissimi – una seduta! – qualora li si preferisca e, al contempo, di scegliere percorsi di accompagnamento più lunghi.

Quest’ultima scelta può dipendere dal tipo di situazione vissuta e dalle aspettative rispetto alla terapia. Per esempio, potresti desiderare un percorso psicologico di crescita personale oppure uno spazio di ascolto in particolari momenti di vita. In tali casi, forse, non è l’incontro singolo ciò che chiedi!

In queste occasioni la Terapia a Seduta Singola può essere declinata all’interno di ogni singolo incontro – per massimizzarlo, come si diceva – oppure non essere usata affatto.

La Terapia a Seduta Singola non è una regola!

Nel momento in cui chiedi una consulenza a uno psicologo che utilizza la Terapia a Seduta Singola, potrai valutare con lui se questa sia la modalità adatta a te o se, invece, desideri o hai bisogno di un percorso più lungo.

Questo dettaglio è importante perché non è detto che ti serva una Terapia a Seduta Singola, né che tu la voglia!

In  breve… Libertà di scelta: sì!

Quali strumenti usa il terapeuta a seduta singola?

Mmm… rispondo con la metafora della gruccia appendiabiti (che non è mia, me l’hanno insegnata i docenti della formazione! 😉 )

La gruccia appendiabiti, di per sé, è uno strumento che ha lo scopo di offrire un supporto per gli abiti. Ci puoi mettere la giacca elegante o il giubbino sportivo, un abito di pizzo o in jersey, una camicia country o di seta, una casacca, un giaccone invernale…

Così avviene anche per la Terapia a Seduta Singola: fa da gruccia appendiabiti, su cui ogni psicologo appende il suo modo di fare psicologia, secondo approcci e metodologie che ha studiato e integrato nella sua pratica professionale.

Questo significa che i terapeuti a seduta singola lavorano secondo una forma mentis simile, ma con approcci e metodi diversi.

Alla gruccia si appendono competenze tecniche professionali specifiche, competenze e conoscenze trasversali e extra professionali, caratteristiche e esperienze personali del terapeuta…

Io, ad esempio ci appendo…

Gruccia Terapia Seduta Singola

Sulla gruccia io appendo la Terapia Narrativa, come cornice teorica dominante. Appendo ciò che mi insegna la Terapia Centrata sulla Soluzione e ciò che sto approfondendo rispetto all’Acceptance and Commitment Therapy.

E poi… ci appendo il counseling espressivo e attività di arte-terapia. E le tecniche di rilassamento. E quelle immaginative, che mi piacciono molto. Ci appendo ciò che ho imparato della fisiologia del sistema nervoso e dei modi in cui cicatrizzano le ferite emotive.

Alla gruccia appendo anche gli interessi extra psicologici che, ogni tanto, mi tornano utili anche nel mio lavoro; le mie storie e esperienze personali affinché mi aiutino a ascoltare e sentire le storie che mi racconta chi mi chiede un aiuto; alcune caratteristiche personali che mi accorgo di portare nel lavoro: ora mi vengono in mente l’ospitalità, la disponibilità, la curiosità, l’autenticità.

Ogni terapeuta appende cose diverse alla gruccia della Terapia a Seduta Singola.

Cosa posso aspettarmi da una Terapia a Seduta Singola?

Il terapeuta che utilizza la Terapia a Seduta Singola è concentrato ad aiutarti a trovare soluzioni e vie d’uscita a partire dalle tue caratteristiche personali e dalle tue competenze.

In un momento di difficoltà, potrebbe non essere saggio aggiungere alla difficoltà vissuta una seconda difficoltà, ossia dover agire, ipso facto, in modo molto distante dal proprio usuale.

Puo essere più utile facilitare i primi cambiamenti  – o passi verso il cambiamento – a partire da cio che sai e fai già trovando modi alternativi per usare le cosiddette risorse personali.

In un incontro di Terapia a Seduta Singola, parlerai di ciò che ti crea disagio e di ciò che vorresti cambiasse. Imparerai qualche strumento pratico e scoprirai perché le soluzioni tentate finora non sono bastate. Co-esplorerai con il terapeuta le risorse utili e co-creerai un piano d’azione, sulla linea delle tue esperienze personali.

Parole chiave: persona (e personalizzazione), risorse, massimizzare il tempo dell’incontro.

Davvero è possibile risolvere un problema in un incontro?

È possibile. Dire a priori se ti basterà un incontro o se ne serviranno altri è un azzardo che, personalmente, non sento di fare. Le variabili in gioco quando si vive una situazione di disagio sono tante e non esiste una valutazione che abbia valore predittivo certo.

Tuttavia… ti è mai capitato di aver sentito qualcuno a cui è cambiata la vita dopo un’ esperienza oppure a seguito delle parole di una persona cara?

Ebbene, in quei casi, si è prodotto un cambiamento, una svolta o si è risolto un problema, addirittura senza l’aiuto professionale.

Molte persone risolvono i problemi psicologici senza un consulto professionale. Per altri, è sufficiente il “tocco leggero” di una singola visita.
Michael Hoyt

La riflessione che stimola questa constatazione è:

preso atto che possono avvenire cambiamenti grazie a “momenti terapeutici quotidiani”, si possono immaginare le ricche potenzialità di un cambiamento guidato dalle domande e dagli strumenti offerti dalla psicologia.

La Terapia a Seduta Singola insegna che questo è possibile  anche in un solo incontro.

E se un incontro non mi basta?

Se un incontro non basta, al primo incontro ne possono seguire quanti ne serviranno!

Ognuno di questi avrà l’obiettivo di aggiungere un tassello alla conoscenza di te, per permetterti – il prima possibile – di cominciare a vivere secondo i tuoi valori.

“Il prima possibile”… Questa terapia mette fretta?

TSS_Terapia a Seduta Singola_mette fretta

Mi hanno fatto la domanda in tanti! No, non mette fretta. Anzi, il modello stesso ripete l’importanza di non correre e di rallentare. Ti dirò di più, ho l’impressione che proprio il rallentamento sia ciò che permette di ridurre i tempi di terapia.

Quando ci si rivolge allo psicologo capita che i pensieri siano tanti e le parole… altrettante! Nel vortice rapido di pensieri e parole ci si può perdere. Le domande e il lavoro co-creativo aiutano a rallentare, a soffermarsi e, in definitiva, a conoscersi e a (ri)scoprire soluzioni e direzioni utili per la propria vita.

Vuoi saperne di più sulla Terapia a Seduta Singola?

Scrivimi le tue domande a fontanella.francesca@gmail.com: sarò lieta di rispondere e condividere con te questo tassello di psicologia.

Una proposta di Consulenza Singola.

Puoi saperne di più anche nel sito dell’Italian Center for Single Session Therapy, presso il quale mi sono formata.

Emma e la Paura dei ragni

Come Emma ha cambiato la sua relazione con i ragni e con la Paura dei ragni grazie alle tecniche immaginative, al suo nipotino e a un giornale per ragazzi…

Ogni tanto ho l’onore di raccontare le storie di persone che arrivano da me, costruiscono soluzioni utili e desiderano condividere i loro risultati. Oggi vi racconto di Emma (nome di fantasia) e della Paura dei ragni.

Aracnofobia e Paura dei ragni

Tecnicamente, l’Aracnofobia e la Paura dei ragni sono diverse. Secondo i manuali diagnostici, la fobia è pervasiva e più intensa della Paura. Dato che, tuttavia, qualche volta è difficile distinguerle e dato che, tutto sommato, questa distinzione non ha poi così importanza, parlerò di Paura dei ragni.

Emma non li sopporta!

Io i ragni non li sopporto! Schifosi e inutili, li trovi dappertutto!

La Paura dei ragni di Emma è di lunga data: non le sono mai piaciuti, ma ora, da un po’, le capita di sognarli. Nei sogni si fanno grandi e la sovrastano, impedendole di respirare.

Capita così che, durante il giorno, quando ne vede uno – e Emma scova i ragni con molta precisione! – comincia a mancarle il respiro, perché ricorda i suoi sogni.

Mi prende l’ansia perché immagino che, da un momento all’altro, il ragno diventi grande e mi sovrasti. Anticipo quello che di solito accade nel sogno accade e mi trovo senza respiro, in affanno!

Le proviamo tutte (o quasi!)

Vorrei svelare un segreto: qualche volta, per co-costruire le soluzioni, ci vuole tempo, pazienza e la disponibilità a provare, sperimentare, capire cosa funzioni e cosa no. È il caso di Emma: arriva da altre terapie e ha provato molte strategie di auto-aiuto, ma non è riuscita a risolvere il problema.

In prima battuta, anche io e lei non riusciamo a creare il cambiamento desiderato, anche se arrivano piccoli miglioramenti.

Ad esempio, ci concentriamo sul sogno e ne emergono interessanti riflessioni di tipo simbolico che le permettono, a un certo punto, di non fare più questi incubi. Ma la Paura dei ragni persiste.

Lavoriamo con tecniche di risoluzione emotiva rapida e queste aiutano Emma a concentrarsi meno sui ragni. Non passa più il suo tempo a fare una scansione degli angoli delle stanze e anche in studio non guarda più con sospetto la pianta – finta! -alla ricerca di un ragno. Però, se vede un ragno, di nuovo quella sensazione di soffocamento.

Un aiuto inaspettato

Emma ha un nipotino che adora leggere i giornali di scienze per bambini. Un pomeriggio, Emma si trova con il suo nipotino e vede un ragno. Preoccupata per le sue reazioni, inizia subito a concentrarsi sulla respirazione.

Che fai zia?

Ho visto un ragno!

Quello?

— [Emma continua a respirare]

Perché stai così concentrata?

Respiro perché sennò mi prende la Paura dei ragni.

Il nipotino prende, da un mucchio, una rivista e lo sfoglia in cerca di qualcosa…

Quando la trova si ferma e mostra alla zia l’immagine di un ragno con gli stivali di gomma!

Sai zia, i ragni, con tutti questi stivali, si inciampano!

Zia e nipote ridono insieme, ma Emma non sa che…

Ragno_stivali
Immagine tratta da Gli Speciali di Focus Junior n.134/2015

Quell’immagine è la svolta!

All’incontro successivo Emma mi racconta questo episodio e mi chiede di riprovare con le tecniche immaginative usando l’immagine del ragno con gli stivali di gomma.

In un paio di incontri e con l’esercizio costante tra un incontro e l’altro, Emma supera la Paura dei ragni che diventano animaletti con gli stivali che inciampano a ogni passo. Quando li vede, non le si blocca più il respiro.

Emma ci scherza su:

Poveracci, non è neanche questione di scarpe! Qualsiasi scarpa non sarebbe comoda per loro!

Quando il nipotino e Focus Junior sono terapeutici! 😉

Hai superato una paura?

Raccontaci come hai fatto a cambiare il tuo rapporto con lei! fontanella.francesca@gmail.com

La risposta è dentro di te?

Domande e risposte, uno sketch di qualche anno fa, un esperimento vintage e un’idea personale.

Chissà quanti anni hai… io ne ho 37, anche se sono del 1979. Compio gli anni in novembre e amo godermi tutto l’anno senza anticipare i conti. Se sei molto più giovane di me potresti non conoscere Quèlo. Lui è quello che diceva: “La risposta è dentro di te. Epperò, è sbagliata!“.

La risposta è dentro di te?

Si è soliti usare una metafora secondo la quale le risposte sono dentro le persone. Penso che, come tutte le metafore, anche questa sia una possibile descrizione di ciò che si vuole rappresentare.

Il senso è più o meno: non cercare chissà dove le risposte ai tuoi problemi perché, alla fin fine, la risposta ce l’hai tu.

In effetti, chi mai potrebbe avere le risposte e la capacità di rispondere (respons-abilità) per la propria vita se non la persona stessa?

Io, ‘sta risposta, non la trovo!

Questo commento lo ricevo, più o meno, una volta al giorno! Qualche volta me lo dico pure io stessa: ‘sta risposta, non la trovo!

Le risposte arrivano se ci sono le domande.

Una persona correva per le strade gridando:

“Ho le risposte! Ho le risposte! Chi ha una domanda?”

Storia Ebraica

Le domande, per dare risposte utili, debbono essere parimenti utili. Il compito della domanda è suscitare una risposta: più la domanda è volta a stimolare una risposta utile, più sarà importante porla.

Ti può interessare anche: La magia delle domande

Dove origina la risposta

La risposta è data da un’elaborazione da parte dell’organismo degli stimoli che riceve nel presente, dalle esperienze già fatte e dalle aspettative rispetto al futuro. In questo senso, la produzione della risposta è interiore: cervello e altri componenti del sistema nervoso cooperano per produrre una risposta: verbale, emotiva, d’azione…

La risposta, per la stessa ragione – ossia perché dipende dall’elaborazione di stimoli -, potrebbe essere definita esteriore.

Ti racconto di un esperimento del 1931, condotto da Norman Meier.

Quanti  modi riesci a immaginare per legare due funi?

Meier appese due lunghe funi al soffitto di una stanza. La stanza era piena di oggetti, mobili, attrezzi e arnesi e le corde erano posizionate in modo che, tenendo l’estremità di una corda, non si riuscisse ad afferrare l’altra.

A chi entrava nella stanza era chiesto:

Quanti modi riesci a immaginare per legare le estremità delle funi?

Le soluzioni possibili, per questo compito, sono quattro:

  1. Tirare una fune verso l’altra, ancorarla a un oggetto e poi andare a prendere la seconda fune;
  2. Ricorrere a una terza fune da legare a una delle due per farla diventare più lunga e permettere a chi la afferra di raggiungere anche l’altra fune;
  3. Afferrare una fune con una mano e con l’altra usare un arnese (ad esempio un bastone) per tirare a sé l’altra fune;
  4. ?

La soluzione 4 consiste in: far oscillare una fune verso l’altra per avvicinarle e riuscire ad afferrarle.

Questa soluzione venne in mente solo ad alcuni partecipanti all’esperimento, inizialmente. Poi…

Il gesto “casuale”

Meier introdusse una variabile. Lasciò le persone riflettere per alcuni minuti e poi, senza dire nulla, si spostò muovendosi verso la finestra e, “casualmente“, sfiorò l’estremità di una fune facendola dondolare.

Accadde che quasi tutti a quel punto seppero identificare l’oscillazione come quarta soluzione possibile.

Faccenda curiosa, nessuno seppe riferire al gesto appena visto la propria risposta: tutti si trovarono a dare narrazioni della loro risposta legate a esperienze e conoscenze passate e a previsioni sul moto fisico delle funi in oscillazione.

La soluzione n.4 pare quindi emergere dall’elaborazione sensoriale dello stimolo presente + ricordi (passato) + capacità di prevedere (futuro).

La risposta è dentro il tempo?

Ecco la mia curiosità: la risposta – che dipende dalle domande – è dentro il tempo?

Più faccio questo lavoro, più vivo la mia vita personale e più penso che la risposta alle  domande sia dentro il tempo e si crei nell’intreccio di passato, presente e futuro…

… E più penso che dipenda dalla qualità delle domande che mi pongo.

D. Epston

Riferimenti bibliografici:

Maier, N.R.F. (1931). Reasoning in Humans: The Solution of a Problem and Its Appearance in Consciousness. Journal of Comparative Psychology, 12, 181-194.