Quando una migrazione hosting ha risvolti… psico!

Migrazione Hosting: ti è mai capitato?

A me sì, per la prima volta, in questi 10 giorni. A prima vista tutto molto semplice: il nuovo luogo virtuale che ospita il sito accoglie la richiesta e dopo una serie di passaggi burocratici per la consegna del testimone, il tuo sito è online come prima, ma il server di riferimento è diverso.

Va be, facile! Facciamo?

Contatto chi sa fare questo lavoro, Marco e Enrica -perché sono dell’idea che a ognuno il suo lavoro, e per fortuna ho scelto così! – e scelgo anche di cogliere l’occasione per il rinnovo grafico del sito.

Da qui inizia un’avventura che mi ha fatto pensare al mio lavoro di psicologa e ai cambiamenti che vivono le persone che chiedono il mio supporto.

Che c’entra un cambio hosting con un cambiamento psicologico? 🤔

Eh, mi è passata per la mente questa associazione di idee e la metto qui, per chi potesse esserne interessato! 😉

Migrazione hosting vs migrazione dell’identità

In Terapia Narrativa, esiste una mappa operativa che si chiama Mappa della migrazione dell’identità. Nulla di mistico! Per migrazione dell’identità si intende un passaggio da una situazione a un’altra che produce un cambiamento (positivo) nel proprio modo di vedersi e considerarsi e nel modo in cui si considerano relazioni e eventi di vita.

La migrazione dell’identità e la migrazione hosting hanno in comune diversi aspetti, tra cui i possibili trabocchetti, gli ostacoli, gli impicci.

Vediamo questi passaggi, con poco rigore metodologico e un poco di ironia 🙂

Comincia la migrazione 

Chiedere il trasferimento al vecchio gestore per procedere.

Chiedere alla situazione problematica di lasciarti migrare verso la soluzione del problema.

Ostacolo 1

Qualcosa vincola il mio sito a restare lì, ancorato.

Qualcosa ti vincola a restare lì, con il problema poco amato.

Soluzione

Paziente conversazione chat per comprendere come uscire dall’impiccio. Preziosa collaborazione di Marco. Imparare nuove terminologie.

Conversazione con lo psicologo per comprendere come uscire dall’impiccio. Preziosa collaborazione tra te e lo psicologo. Impari nuove terminologie e nuovi punti di vista.

Ostacolo 2

Uscendo dall’impiccio così, allo sbaraglio, il sito va perduto.

Abbandonando il problema così, allo sbaraglio, qualcosa di te va perduto e potresti sentirti destabilizzato, non trovarti più.

Soluzione

Paziente conversazione chat per comprendere come non perdere il sito. Preziosa collaborazione di Marco.

Conversazione con lo psicologo per comprendere come produrre il cambiamento senza perdere te stesso/a.

Ostacolo 3

Backup… e meno male che lo abbiamo fatto! Dalla piattaforma il mio sito non è più visibile!

Oops! È capitato e ti sei perso/a di vista durante il cambiamento!

Soluzione

Paziente conversazione chat, blocco di link al sito per evitare alle persone di incappare in pagine vuote. Post su Facebook, per informare chi potrebbe essere interessato.

Conversazione con lo psicologo, condivisione di appunti, esercizi di scrittura e altri esercizi espressivi per lasciare traccia della situazione di partenza. Collaborazione e comunicazione con le persone care.

Ostacolo 4

Dopo la procedura standard, il vecchio gestore vuole lasciare  del tempo per ripensarci! I tempi si allungano!

Il problema si fa risentire. A un tratto, quando pareva andasse meglio, il problema si ripresenta.

Soluzione

Si sceglie di chiedere di intervenire subito. Preziosa collaborazione del mio compagno, che mi invita a insistere.

È il momento di insistere affinché il problema molli la presa su di te. Chiedi supporto a chi ti è vicino.

Ostacolo 5

Ehm… il backup non si carica sul nuovo hosting e non si sa perché! Questa faccenda dura più di 48 ore e Enrica e Marco in questo sono pre-zio-sis-si-mi.

Non ce la fai. Ti pareva di poter cambiare e stare bene, ma non ci riesci. Provi e riprovi e non senti di aver raggiunto il tuo risultato, che ti sembra lontano.

Soluzione

Respiro consapevole, attesa, accettazione emotiva, comunicazione del disappunto, a casaccio, a chi mi capita sotto tiro. Paziente sopportazione di Marco e del mio compagno.

Tu puoi fare di meglio. Bene la respirazione, l’accoglienza di ciò che provi, pure la comunicazione a casaccio. In questo momento, però, spremi lo psicologo. È lì per te.

E poi…

Sorpresa! Questa mattina al risveglio ricevo un messaggio su whatsapp che dice:

Il buongiorno si vede dal mattino 😎 vai un po’ sul sito!

Giubilo! Il sito è finalmente migrato! Ora ci mettiamo a farlo bello e a rinnovare il tutto, con i dettagli fashion che merita!

Sorpresa! Un giorno, a un tratto, noti di aver vissuto una qualunque esperienza quotidiana in modo completamente diverso dal solito!

Gioia! La migrazione è avvenuta! Ora puoi giocare a impreziosirla con i dettagli che desideri, ma il passaggio, quello tosto, è fatto.

Vuoi migrare hosting? Ti suggerisco Marco e Enrica!

Vuoi conoscere la mappa di migrazione dell’identità? Scrivimi a fontanella.francesca@gmail.com

 

Cosa hai fatto di buono oggi?

La domanda della sera aiuta a liberare dopamina e serotonina e, ora, anche a scoprire qualcosa di nuovo.

Di buono, di bello, di piacevole – scegli tu – … cosa hai fatto oggi?

La domanda della sera

cosa hai fatto di buono oggi _la domanda della sera

Molti approcci psicologici -e non- suggeriscono di porsi questa domanda, la sera.

Cosa ho fatto di buono oggi?

L’obiettivo è portare l’attenzione su qualcosa di positivo della propria giornata per liberare dopamina e serotonina, due neurotrasmettitori che hanno a che fare con soddisfazione, piacere, gratifica, obiettivi raggiunti, sensazione di avere valore.

Alcuni suggeriscono di tenere sul comodino un quaderno su cui scrivere alcune righe per ricordare e, in qualche modo, celebrare, l’evento positivo o meglio riuscito della giornata.

Un’idea in più

La domanda della sera può essere usata anche per scoprire qualcosa in più rispetto alle proprie risorse e competenze e rispetto ai valori che guidano la propria vita.

Ho idea che le cose si imparino meglio facendole quindi, per mostrarti questo utilizzo della domanda della sera, ti propongo un esercizio. Puoi farlo anche se la giornata di oggi non è stata un granché o se ti pare di non aver combinato nulla di buono (bello, piacevole…).

L’esercizio

fai una prova

Primo passo

Ripercorri con il pensiero la tua giornata e identifica un momento in cui hai detto o fatto qualcosa che ti sembra ben detto o ben fatto.

Esempi:

  • Ti sei ricordato/a di dire a un familiare di passare a fare la spesa e prendere il dentifricio;
  • Hai saputo finire la relazione in tempo per la riunione;
  • Hai fatto una flessione in più di ieri;
  • Hai preparato una torta favolosa;
  • Hai chiacchierato 10 minuti con la vicina di casa;
  • Hai letto due pagine di quel libro che vorresti finire;

Come vedi, il menu è variegato: puoi trovare qualsiasi tipo di evento durante la giornata che ti faccia dire “Ok, bene!”

Il trucchetto è non avere pretese e sapersi premiare per ciò che si è fatto.

Secondo passo

Nota cosa ti è stato di aiuto per fare o dire quello che hai fatto o detto.

Esempi:

  • Contesto, ambiente
  • Persone presenti o non presenti
  • Clima
  • Tempo a disposizione
  • Stato di salute

Terzo passo

Chiediti qual è stato il tuo contributo, ossia quali competenze e caratteristiche ti sono servite per farcela.

Esempi:

  • Pazienza
  • Coraggio
  • Capacità di leggere in fretta
  • Concentrazione

Quarto passo

Chiudi in bellezza con una domanda- proposito:

Come posso usare queste informazioni per vivere al meglio la giornata di domani o quella situazione difficile che mi aspetta?

A quel punto non ti resta che applicare!

Hai provato l’esercizio e vuoi condividere le tue riflessioni?

Hai provato l’esercizio e vuoi saperne di più?

In entrambi casi, puoi scrivere a fontanella.francesca@gmail.com

oppure puoi usare il modulo di contatto:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le Paure: Perché e Soluzioni in una canzone di Jovanotti

Le Paure hanno un lato noto e uno – spesso – sconosciuto.
Il lato noto delle Paure è la Paura stessa, quello sconosciuto rovescia il punto di vista e fa scoprire qualcosa di tutt’altro che banale: il desiderio dietro la paura.

Le Paure sono diverse dalla Paura. La Paura è un’emozione e ha l’ obiettivo di tenerti lontano dai pericoli. Le Paure possono essere convinzioni maturate con l’esperienza o tramandate da persone care che invitano a evitare determinate situazioni perché potrebbero essere pericolose.

Qualche volta le Paure sono alimentate dall’Ansia, un emozione che aiuta a prevedere le conseguenze e a pianificare, ma che, talora, pretende di prevedere conseguenze imprevedibili.

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Il lato noto delle Paure

Le Paure hanno un lato noto e uno – spesso – sconosciuto.

Il lato noto delle Paure è la Paura stessa, nella formula in cui ti si presenta:

  • La paura del buio
  • La paura di volare
  • La paura delle malattie
  • La paura dei ragni
  • La paura dei cani
  • La paura di fallire in un compito

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Il lato noto delle Paure è, quindi, il lato che conosci già, che ti frena nel provare delle esperienze o, magari, ti fa scappare a gambe levate.

Quello che forse non hai mai conosciuto è…

Il lato nascosto delle Paure

Personalmente immagino questo lato nascosto come se fosse il riflesso allo specchio delle Paure perché ne è l’immagine rovesciata. Il lato nascosto delle Paure offre

un punto di vista strambo. 

Te la ricordi la canzone Mi fido di te di Lorenzo Cherubini?

La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare.

Sì, va bè: il solito lato positivo delle cose!

Mmm, no! Il lato nascosto delle Paure non è necessariamente un lato positivo.

Il lato nascosto delle Paure descrive ciò che si vorrebbe accadesse al posto della cosa di cui si ha paura.

Ad esempio:

Quando si prova paura del buio, si desidera che vi sia luce.

>> Desiderio di luce anziché paura del buio.

Cambia qualcosa nelle tua percezione della paura del buio se noti che si tratta di desiderio di luce?

La soluzione all’interno del lato nascosto delle Paure

Come per la paura del buio la soluzione – top – è la luce, per ogni paura si può scovare la soluzione ottimale all’interno del suo lato nascosto.

Tuttavia, non è solo questo che mi interessa raccontare nell’articolo. Vorrei aiutarti a osservare un paio di dettagli che derivano dalla precedente – apparentemente – semplice riflessione.

  1. Se la soluzione ottimale è la luce, di volta in volta, sarà importante chiedersi come ottenere la luce più che allarmarsi per il buio. Si può premere l’interruttore, accendere una candela, aprire una finestra, raggiungere un lampione…
  2. Puoi provare a chiederti di più e a esplorare il significato del desiderio di luce.

Alcune domande utili a tal fine

  1. Come mai è importante la luce?
  2. Chi conosci che, come te, trova importante la luce?
  3. Quali parole associ a “luce”?
  4. Una volta che hai ottenuto la luce, cosa ottieni, oltre a non provare più paura?

Puoi usare, anche, la “Catena dei Perché” 

Un esempio tratto da un esperienza in famiglia:

Perché è importante la luce?

Per vedere la cose!

Perché è importante vedere le cose?

Per controllare dove sono e non inciampare.

Perché è importante controllare e non inciampare?

Per sentirsi sicuri!

La sicurezza è importante per te?

Sì!

In questo caso, il desiderio di luce aiuta a ottenere sicurezza: ora che la persona lo sa, potrebbe interessarle scovare altri modi per ottenere sicurezza. Se ben usati, essi possono piano piano aiutarla a non provare più Paura del buio.

Più specifica è la Catena dei Perché, più può aiutare a scoprire, all’interno del lato nascosto delle Paure, il significato personale delle singole Paure e  a creare la possibilità di superarle, lasciarle andare o provarle con meno intensità.

Ricapitolando: Rovescia la Paura e fatti delle Domande! 🙂

Hai appena provato a rovesciare una tua Paura? Cosa ne è saltato fuori?

Se ti va, puoi scriverlo nei commenti oppure all’indirizzo fontanella.francesca@gmail.com

 

Il sapore piccante della Rabbia: “Liget”

Il sapore piccante della Rabbia stimola a trovare le direzioni di vita. Segui il suggerimento del popolo degli Ilongot e conosci il Liget, la Rabbia positiva.

La Rabbia ha un sapore? Per il popolo degli Ilongot, nelle Filippine, il sapore della Rabbia è piccante e si chiama Liget.

Liget: l’energia rabbiosa

Per Il popolo degi Ilingot, la parola Liget corrisponde a un energia rabbiosa che muove all’azione. Che si tratti di una discesa lungo le rapide, di bisogno di riscatto, della reazione a una perdita, gli abitanti della Nuova Vizcaya utilizzano la parola Liget. Anche il sapore piccante del peperoncino è chiamto Liget, forse per quell’effetto di calore che la capsaicina – sostanza responsabile dell’effetto piccante – produce in bocca.

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Il lato positivo della Rabbia

Flessibilità

Il merito di aver portato l’attenzione sulla parola Liget va all’antropologa Michelle Rosaldo che, negli anni ’80 del 1900 restò colpita dal significato potenziante di questa parola. Abituata a considerare la Rabbia come qualcosa di negativo, le parve importante sottolinearne le componenti di vitalità e di energia positiva.

Sebbene Liget e Rabbia possano portare a scatti d’ira e a reazioni aggressive o violente, esse hanno anche il ruolo di muovere all’azione per proteggere il proprio valore personale e le cose in cui si crede, possono dare la motivazione e lo stimolo per realizzare obiettivi e per trovare direzioni di vita e strade alternative.

Liget e Rabbia possono aiutare anche a migliorarsi e a investire le proprie energie per superare ostacoli e limiti.

“Se non fosse per il Liget, non Vivremmo mai.”

Da un’intervista al popolo degli Ilongot, M. Rosaldo.

#1 Fai attenzione ai segni rivelatori

Se vuoi usare Liget e Rabbia per Vivere, – V maiuscola – come il popolo degli Ilingot, è importante fare attenzione ai segni rivelatori, spesso rappresentati dai pensieri che accompagnano queste emozioni.

Il pensiero che accompagna l’emozione è un utile indicatore di cosa stia suscitando Rabbia. Può essere importante fermarsi a ascoltarlo per indirizzare la Rabbia nella direzione voluta e non usarla come sfogo incontrollato.

Quest’ultimo, infatti, può dare origine a emozioni secondarie di senso di colpa, tristezza, paura – di perdere la stima e l’affetto di chi ha vissuto la tua Rabbia, ad esempio -.

Ricorda che non sono gli eventi a farti arrabbiare, ma tu che provi Rabbia di fronte a certi eventi!

#2 Nota dove si localizza la Rabbia nel corpo

Senti la Rabbia a livello viscerale? Ti fa male la testa? Hai un nodo allo stomaco? Un formicolio alle braccia?

Concentrati sulla sensazione e prova a “respirarvi dentro”, falle spazio e dalle un nome e delle caratteristiche.

Qualche  esempio tratto da situazioni reali (ringrazio le persone che hanno condiviso le loro Rabbie) :

Melma paludosa, sporca, densa, subdola.

Rabbia rigida, grigia, fredda, amara.

Slavina, indifferente, prepotente, fischiante.

Schiaccia-sassi, forte, lenta, non lascia niente di intatto.

#3 Riconosci la Rabbia per tempo

Abituati a riconoscere i pensieri e le sensazioni associati alla Rabbia e fai in modo di notarli mentre arrivano. La Rabbia è un’emozione e, come tale, ha un decorso “a onda”. Se riesci a percepire i primi segnali della Rabbia, puoi indirizzarla meglio, evitando di agire al culmine dell’onda, quando l’emozione e talmente forte da farti comportare in modo precipitoso e, spesso, poco utile e costruttivo.

#4 Impara a usare la Rabbia

Questo passaggio è quello che può richiedere più allenamento e scivolini e scivoloni sono all’ordine del giorno.

Per cominciare, puoi tenere un diario in cui appuntare i pensieri e le sensazioni che accompagnano la Rabbia nelle diverse situazioni, il livello di intensità della Rabbia (da 0 a 10) e il modo in cui hai reagito. Ricorda di appuntare, anche, se ti sei piaciuto/a o no, come potresti migliorare e, se ti sei piaciuto/a, come hai fatto a usare bene la Rabbia.

#5 Osserva le reazioni che la Rabbia suscita negli altri

Fallo nelle prossime occasioni e nota cosa provoca la Rabbia negli altri, sia quando sono loro a provarla, sia quando tu la mostri loro.

Hai fatto i 5 step di questo articolo e ora vuoi saperne di più?

Scrivimi la tua esperienza a fontanella.francesca@gmail.com

 

Riferimenti Bibliografici:

La Storia del Liget è tratta da:

Watt Smith, T. Atlante delle Emozioni Umane. Ed Utet. 2017.

 

Una decisione da prendere…

Ho una decisione da prendere e, mentre utilizzo questo strumento creativo che conosco, lo condivido con te…

La questione mi pare stia in quella parola: “prendere“. Una volta che si è presa la decisione, la si è presa. La si può anche mollare?

In molte situazioni sì. Sto pensando alle piccole e grandi decisioni quotidiane che possono essere modificate o, addirittura, reversibili.

Per questo tipo di decisioni potrebbe interessarti Decidere di decidere: il dilemma della scelta.

Tuttavia, mi trovo in un situazione personale in cui debbo scegliere per la mia salute. Ohibò… qui la faccenda si fa multi-sfaccettata e prendere la decisione implica prenderla e tenermela.

Premetto che non ho ancora deciso anche se…

Volendo metterci tutta la sincerità, mi ci sto dedicando poco e sto rimandando la decisione con quel fare un poco buffo che ha l’essere umano in alcune occasioni: evita, procrastina, aspetta… Strategia poco utile, come immaginerai!

Nonostante questo, è arrivato il momento di mettermici con impegno.

Porsi domande che possano aiutare

Per prendere una decisione, ci sono alcune domande che può valere la pena porsi e che, qualche volta, sono la chiave per decidere. Ad esempio puoi chiederti:

  1. Qual è la storia della situazione?
  2. Quali obiettivi ho?
  3. Quali valori ho?
  4. Chi è importante per me? Cosa direbbe?
  5. Per ogni opzione di scelta:

    1. Cosa mi trattiene?
    2. Cosa mi attrae?

Se non basta o se questo ti sembra un esercizio che ti porta a rimuginare senza arrivare alla decisione, puoi provare…

Il Dialogo tra le Parti (a modo mio)

Una decisione da prendere_

Questo strumento nasce dalla descrizione di R. Dilts e lo ho incontrato per la prima volta grazie al collega Antonio Amatulli. Ho scelto, nella pratica clinica, di integrarlo alle tecniche immaginative e alla narrazione pertanto, dell’esercizio originale resta solo la scocca.

L’esercizio può essere usato nel caso in cui la decisione dipenda dalla sensazione di sentirsi in conflitto con se stessi. Mi spiego meglio.

Mettiamo che una persona debba decidere se andare a un appuntamento a piedi oppure in auto. Questa decisione potrebbe dipendere dal meteo, dal tempo a disposizione, dalle distanze, dalla disponibilità dell’auto… Queste variabili non implicano un conflitto con se stessi.

Se, invece, andare a a piedi implica la libertà perché, andando in auto, la persona sarebbe costretta a dare un passaggio a una persona che non apprezza… bè, potrebbero entrare in gioco alcuni valori che sembrano contrastarsi: libertà e rispetto di sé; disponibilità e rispetto per l’altro.

Quando entrano in gioco valori di questo tipo, la decisione può essere percepita come un conflitto.

Il Dialogo tra le Parti arriva in soccorso e aiuta a dipanare i nodi del conflitto dando spazio all’esplorazione dei valori e trasformandoli in personaggi che possono dialogare tra loro e confrontarsi rispetto alle loro risorse e alle loro aspettative.

Questo gioco comunicativo e narrativo aiuta la persona a comprendere le ragioni di entrambe le parti, trovare eventuali punti d’accordo oppure simpatizzare per una delle due.

Trasformando il conflitto da “interiore” a “esteriore”, si facilita la decisione.

Questo esercizio richiede un’ora di tempo e un po’ di pratica per essere utilizzato in modo efficace e non risultare solo un virtuosismo fine a se stesso. Una volta acquisito, potrai usarlo in autonomia in altre situazioni di conflitto decisionale.

Hai una decisione da prendere? Quale? Che ne pensi de Il Dialogo tra le Parti?

Puoi scrivermi le tue riflessioni a fontanella.francesca@gmail.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TSS – Terapia a Seduta Singola: qualche volta, basta un incontro!

Eccomi qui! 🙂 Sono passati diversi giorni dall’ultimo articolo. Priorità lavorative e personali mi hanno distratta dallo scrivere e ora sono pronta per raccontare qualcosa di più rispetto alla Terapia a Seduta Singola, modello in cui mi sono formata recentemente, per proseguire il mio aggiornamento professionale.

[In questa pagina web trovi i nominativi di tutti gli psicologi che utilizzano la Terapia a Seduta Singola in Italia.]

In questi giorni ho ricevuto diverse domande sulla Terapia a Seduta Singola che sintetizzo in questo articolo stile FAQ.

Singola vuol dire proprio Singola?

TSS_Terapia a Seduta Singola_proprio singola

La parola Singola, in questo modello di lavoro, significa:

  • Ogni incontro merita di essere valorizzato e trattato come se fosse l’unico. In questo modo puoi aspettarti di usare bene il tuo tempo e i tuoi soldi, massimizzando l’efficacia della singola seduta;
  • In alcune situazioni, l’incontro singolo è sufficiente;
  • A ogni incontro singolo può seguirne un altro, quando e se lo desideri.

Si è liberi di scegliere se si vuole una seduta singola o no?

La Terapia a Seduta Singola vuole dare la possibilità di godere di percorsi brevi o brevissimi – una seduta! – qualora li si preferisca e, al contempo, di scegliere percorsi di accompagnamento più lunghi.

Quest’ultima scelta può dipendere dal tipo di situazione vissuta e dalle aspettative rispetto alla terapia. Per esempio, potresti desiderare un percorso psicologico di crescita personale oppure uno spazio di ascolto in particolari momenti di vita. In tali casi, forse, non è l’incontro singolo ciò che chiedi!

In queste occasioni la Terapia a Seduta Singola può essere declinata all’interno di ogni singolo incontro – per massimizzarlo, come si diceva – oppure non essere usata affatto.

La Terapia a Seduta Singola non è una regola!

Nel momento in cui chiedi una consulenza a uno psicologo che utilizza la Terapia a Seduta Singola, potrai valutare con lui se questa sia la modalità adatta a te o se, invece, desideri o hai bisogno di un percorso più lungo.

Questo dettaglio è importante perché non è detto che ti serva una Terapia a Seduta Singola, né che tu la voglia!

In  breve… Libertà di scelta: sì!

Quali strumenti usa il terapeuta a seduta singola?

Mmm… rispondo con la metafora della gruccia appendiabiti (che non è mia, me l’hanno insegnata i docenti della formazione! 😉 )

La gruccia appendiabiti, di per sé, è uno strumento che ha lo scopo di offrire un supporto per gli abiti. Ci puoi mettere la giacca elegante o il giubbino sportivo, un abito di pizzo o in jersey, una camicia country o di seta, una casacca, un giaccone invernale…

Così avviene anche per la Terapia a Seduta Singola: fa da gruccia appendiabiti, su cui ogni psicologo appende il suo modo di fare psicologia, secondo approcci e metodologie che ha studiato e integrato nella sua pratica professionale.

Questo significa che i terapeuti a seduta singola lavorano secondo una forma mentis simile, ma con approcci e metodi diversi.

Alla gruccia si appendono competenze tecniche professionali specifiche, competenze e conoscenze trasversali e extra professionali, caratteristiche e esperienze personali del terapeuta…

Io, ad esempio ci appendo…

Gruccia Terapia Seduta Singola

Sulla gruccia io appendo la Terapia Narrativa, come cornice teorica dominante. Appendo ciò che mi insegna la Terapia Centrata sulla Soluzione e ciò che sto approfondendo rispetto all’Acceptance and Commitment Therapy.

E poi… ci appendo il counseling espressivo e attività di arte-terapia. E le tecniche di rilassamento. E quelle immaginative, che mi piacciono molto. Ci appendo ciò che ho imparato della fisiologia del sistema nervoso e dei modi in cui cicatrizzano le ferite emotive.

Alla gruccia appendo anche gli interessi extra psicologici che, ogni tanto, mi tornano utili anche nel mio lavoro; le mie storie e esperienze personali affinché mi aiutino a ascoltare e sentire le storie che mi racconta chi mi chiede un aiuto; alcune caratteristiche personali che mi accorgo di portare nel lavoro: ora mi vengono in mente l’ospitalità, la disponibilità, la curiosità, l’autenticità.

Ogni terapeuta appende cose diverse alla gruccia della Terapia a Seduta Singola.

Cosa posso aspettarmi da una Terapia a Seduta Singola?

Il terapeuta che utilizza la Terapia a Seduta Singola è concentrato ad aiutarti a trovare soluzioni e vie d’uscita a partire dalle tue caratteristiche personali e dalle tue competenze.

In un momento di difficoltà, potrebbe non essere saggio aggiungere alla difficoltà vissuta una seconda difficoltà, ossia dover agire, ipso facto, in modo molto distante dal proprio usuale.

Puo essere più utile facilitare i primi cambiamenti  – o passi verso il cambiamento – a partire da cio che sai e fai già trovando modi alternativi per usare le cosiddette risorse personali.

In un incontro di Terapia a Seduta Singola, parlerai di ciò che ti crea disagio e di ciò che vorresti cambiasse. Imparerai qualche strumento pratico e scoprirai perché le soluzioni tentate finora non sono bastate. Co-esplorerai con il terapeuta le risorse utili e co-creerai un piano d’azione, sulla linea delle tue esperienze personali.

Parole chiave: persona (e personalizzazione), risorse, massimizzare il tempo dell’incontro.

Davvero è possibile risolvere un problema in un incontro?

È possibile. Dire a priori se ti basterà un incontro o se ne serviranno altri è un azzardo che, personalmente, non sento di fare. Le variabili in gioco quando si vive una situazione di disagio sono tante e non esiste una valutazione che abbia valore predittivo certo.

Tuttavia… ti è mai capitato di aver sentito qualcuno a cui è cambiata la vita dopo un’ esperienza oppure a seguito delle parole di una persona cara?

Ebbene, in quei casi, si è prodotto un cambiamento, una svolta o si è risolto un problema, addirittura senza l’aiuto professionale.

Molte persone risolvono i problemi psicologici senza un consulto professionale. Per altri, è sufficiente il “tocco leggero” di una singola visita.
Michael Hoyt

La riflessione che stimola questa constatazione è:

preso atto che possono avvenire cambiamenti grazie a “momenti terapeutici quotidiani”, si possono immaginare le ricche potenzialità di un cambiamento guidato dalle domande e dagli strumenti offerti dalla psicologia.

La Terapia a Seduta Singola insegna che questo è possibile  anche in un solo incontro.

E se un incontro non mi basta?

Se un incontro non basta, al primo incontro ne possono seguire quanti ne serviranno!

Ognuno di questi avrà l’obiettivo di aggiungere un tassello alla conoscenza di te, per permetterti – il prima possibile – di cominciare a vivere secondo i tuoi valori.

“Il prima possibile”… Questa terapia mette fretta?

TSS_Terapia a Seduta Singola_mette fretta

Mi hanno fatto la domanda in tanti! No, non mette fretta. Anzi, il modello stesso ripete l’importanza di non correre e di rallentare. Ti dirò di più, ho l’impressione che proprio il rallentamento sia ciò che permette di ridurre i tempi di terapia.

Quando ci si rivolge allo psicologo capita che i pensieri siano tanti e le parole… altrettante! Nel vortice rapido di pensieri e parole ci si può perdere. Le domande e il lavoro co-creativo aiutano a rallentare, a soffermarsi e, in definitiva, a conoscersi e a (ri)scoprire soluzioni e direzioni utili per la propria vita.

Vuoi saperne di più sulla Terapia a Seduta Singola?

Scrivimi le tue domande a fontanella.francesca@gmail.com: sarò lieta di rispondere e condividere con te questo tassello di psicologia.

Una proposta di Consulenza Singola.

Puoi saperne di più anche nel sito dell’Italian Center for Single Session Therapy, presso il quale mi sono formata.

I Pre-giudizi sono utili? C’è chi dice sì!

Cosa sono i pre-giudizi? Come nascono? Quando possono essere positivi? Esempi pratici e un utile suggerimento di approfondimento

Tema caldo: i pregiudizi, i pre-giudizi. Ossia i giudizi dati prima di conoscere.

I pregiudizi possono anche essere positivi

Un giudizio può essere positivo o negativo in base a come si valuti ciò che si sta giudicando. Una cosa che piace e viene apprezzata riceve un giudizio positivo, mentre una cosa che non piace e non è apprezzata riceve un giudizio negativo.

Lo stesso vale per i pre-giudizi. Si può dare un giudizio positivo o negativo prima di conoscere e partire prevenuti in negativo o positivo:

A me i politici non piacciono!

Quello vestito così mi sembra il classico tipo che tira bidoni!

Le mamme sono apprensive.

Quelli/e che non fumano sono persone affidabili.

La ho assunta perché le donne di […] sono oneste.

Oh-Oh! Cosa noti? Comunque vada, anche quando viene data un’opinione positiva, il pre-giudizio è causato da una generalizzazione.

Le generalizzazioni

Le generalizzazioni sono una modalità linguistica (e non solo!) che tende a raggruppare in categorie persone, oggetti, fenomeni…

Questa strategia del cervello è molto utile per aiutare a risparmiare tempo. Si immagini, per esempio, la moltitudine di fiori esistenti: sebbene siano molto diversi tra loro e ognuno abbia caratteristiche e nome unici, trovandosi di fronte a un fiore sconosciuto – da qualunque prospettiva – si è in grado di dire, con un certo grado di sicurezza, che quell’oggetto appartiene alla categoria “fiore”. Vi sono molte eccezioni a questo esempio, ma prendilo per quello che è: un’esemplificazione, così come vorrebbe essere un’esemplificazione ogni generalizzazione – anche se a volte complica le cose -.

Quando le generalizzazioni traggono in inganno

Le generalizzazioni, ossia queste scorciatoie cognitive utili per far risparmiare tempo e energie, possono trarre in inganno. Come negli esempi sopra. Prendiamone uno:

Le mamme sono apprensive.

Per poter esprimere questa frase, il cervello ha fatto un raggruppamento inserendo le mamme in una categoria. Per certi versi ci può andare bene: mamma è colei che ha un figlio biologico o adottivo.

La faccenda si complica quando si arricchiscono le categorie con dettagli arbitrari. In questo caso, l’apprensione è una caratteristica attribuita alla categoria delle mamme.

Ora, che può accadere?

Si può generare il cosiddetto “stereotipo“. Uno stereotipo è una sorta di modello rappresentativo di una categoria; in questo caso, “mamma apprensiva” è lo sterotipo, il modello, di ciò che la persona si aspetta che sia una madre.

Tuttavia…

  1. Una mamma che non sia apprensiva è meno mamma?
  2. Una mamma deve sforzarsi di essere apprensiva per fare la mamma?
  3. Una mamma deve compiacersi dell’apprensione in quanto caratteristica must have di una mamma?
  4. Una mamma è sempre apprensiva?
  5. Proprio tutte le mamme sono apprensive?

Le generalizzazioni sono un tipo di pre-giudizio poco utile e poco rispettoso delle unicità individuali e, per questo, possono portare a discriminazioni.

Un esempio spicciolo di discriminazione causata da generalizzazioni e pre-giudizi? Non assumere mamme nei posti di lavoro perché la loro attenzione sarebbe rivolta ai figli anziché ai loro compiti professionali.

In tema di aspettative disconfermate, ti può interessare anche: La scatola di biscotti: una storia breve

Quando il pre-giudizio è utile

Un tipo diverso di pre-giudizio può derivare da un fenomeno chiamato thin-slicing – tagliare a fette sottili -.

Questo fenomeno descrive la capacità del cervello di identificare in modo rapido e frugale una particolare struttura di situazioni e comportamenti, basandosi su “fette sottili” dell’esperienza che si sta vivendo.

Un esempio piuttosto comune è la sensazione che qualcuno non piaccia “a pelle”: il cervello produce una scansione rapida della situazione e valuta, in via di solito prudenziale, che è opportuno stare alla larga da quella persona. In questo caso, l’informazione può rivelarsi utile e proteggere da pericoli o esperienze sgradevoli e dannose.

In un batter di ciglia

Per approfondire questo tema interessante, vi suggerisco la lettura di un libro di Malcom Gladwell, In un batter di ciglia. Il libro narra diversi esempi di stereotipi e pre-giudizi, alcuni dei quali assolutamente non funzionali. Dedica anche spazio ai pregiudizi utili che sono, di fatto, impalpabili e inesplicabili intuizioni.

Noi, come esseri umani, abbiamo questo problema […] Siamo un po’ troppo pronti a dare spiegazioni di cose per le quali in realtà non abbiamo una spiegazione.

M. Gladwell

 

Alleggerire i pensieri stirando (i punti di domanda)

Una favola illuminante racconta come alleggerire i pensieri stirando … i punti di domanda! Avvertenza: Non leggere se non piace stirare! 😉

Questo articolo vuole giocare un po’, anche se non troppo! Vi capita di avere pensieri “pesanti”, “confusi”, “ricorrenti”? Oggi proviamo ad alleggerirli stirandoli.

Domande e risposte

Diversi anni fa lessi un libro di favole che si intitola “Fiabe di Cioccolato“. L’autrice è Laura Perassi, per i lettori Lauretta. Tra i racconti ve n’è uno che narra la storia di un punto di domanda che parte per un lungo viaggio, desideroso di trovare risposte alle sue domande. Dopo una lunga serie di avventure e un’ancor più lunga serie di domande aggiuntive raccolte durante il viaggio, il punto di domanda incontra chi trova una soluzione: viene poggiato su un asse da stiro, stirato e trasformato in un diritto punto esclamativo!

Una buona soluzione?

Questa soluzione è buona a metà: qualche volta, farsi troppe domande, può bloccare le capacità decisionali. In questo senso, meno domande è meglio.

Tuttavia, porsi delle domande è, altre volte, essenziale per trovare soluzioni a faccende quotidiane, fatti di vita, questioni relazionali; per scegliere e decidere; per cambiare qualcosa che si desidera cambiare di se stessi e della propria vita.

In questo articolo diamo spazio alle occasioni in cui può essere utile stirare i punti di domanda.

Quando può essere utile stirare punti di domanda

Come alleggerire i pensieri stirando i punti di domanda

Un’occasione in cui trovo utile stirare punti di domanda è quando ci si ritrova ricorsivamente a pensare alla stessa cosa, rischiando di rimanerne intrappolati. Di solito questo produce sofferenza. Ci sono modi diversi, riferiti a diversi approcci psicologici, che possono aiutare a lasciar andare i pensieri ricorsivi. Eccone uno.

Si può accogliere il pensiero come uno dei tanti fatti che stanno accadendo in quel preciso istante e immaginarlo come una nuvola che, per sua natura, si sposta e/o si dissolve.

Il passaggio da ? a ! sarebbe il seguente:

Perché penso a questa cosa?

Oh, penso a questa cosa! [e la lascio andare]

[Ti può interessare anche: C’era una volta un re…Liberarsi dai pensieri negativi]

Dalla ricerca di spiegazione all’accettazione

In questo caso, modificare la prima frase con il punto esclamativo sposta l’attenzione dall’ansia di trovare una spiegazione allo stupore di poter accogliere il pensiero per quello che è.

Prima, l’attenzione è sul “perché”: se la risposta al “perché” non arriva subito, l’organismo manda un segnale di allarme. La ragione è che tutto ciò che è incerto – ambiguo – in natura può essere un potenziale pericolo. Il segnale d’allarme stimola a cercare la risposta, continuamente, non lasciando riposo alla persona e privandola della possibilità di occuparsi di altro.

Dopo, l’attenzione è sull’arrivo del pensiero che, com’è arrivato, può anche andare. E magari ritornare.

A cosa serve questo esercizio?

  1. A uscire dal circuito vizioso del “perché” che può suscitare ansia, angoscia, senso d’urgenza, senso di impotenza…;
  2. A concedersi di osservare il pensiero per ciò che è: un evento tra altri;
  3. A notare il va e vieni del pensiero.

Quando il pensiero ritorna: l’altra faccia del “perché”

Più la questione è per te importante, più il pensiero ritorna, bussa, batte, interferisce. Quindi puoi pensare che, se torna, hai bisogno di conoscerne i significati e gli scopi.

Hai bisogno, più che di un “perché-causa”, di un “perché-scopo” ossia: a cosa mi serve questo pensiero? Cosa vuole dirmi? Cosa vuole ottenere? Quale conseguenza positiva ne deriva?

Mentre l’esercizio descritto sopra puoi farlo in autonomia questa parte, che coinvolge l’altro “perché”, può richiedere un aiuto, un sostegno. Qualche volta ne serve uno breve, qualche volta uno meno breve. Chiedilo e goditelo senza confronti: ogni storia è unica!

Vuoi scoprire il “perché-scopo” di un tuo pensiero?

Scrivimi a fontanella.francesca@gmail.com

 

L’Angoscia è un’emozione che fa sentire in trappola: come liberarsi?

L’angoscia è un’emozione che fa sentire in trappola. Puoi imparare a distinguerla da altre emozioni e iniziare a ridurla con un esercizio che ti richiede circa 15 secondi.

C’è un’emozione che fa sentire in trappola: l’angoscia. Merita di essere conosciuta perché spesso confusa con altre emozioni e, di conseguenza, gestita e trattata in modo inefficace.

L’angoscia non è ansia

L’angoscia non è ansia. L’ansia fa aumentare la vigilanza e la prontezza ad agire: hai presente quando ti prende il senso di urgenza di sistemare quella data cosa, di fare quella telefonata, di chiarire con una persona cara…? Ecco, lì stai provando ansia. Magari lieve, magari intensa. In ogni caso l’ansia guida al controllo dell’ambiente, alla riduzione dell’incertezza.

L’angoscia non è paura

L’angoscia non è paura. La paura, come l’ansia, fa aumentare la vigilanza di fronte a un pericolo concreto, per mettersi in salvo.

La paura guida a mettersi al sicuro e ad allontanarsi dal pericolo. Qualche volta la paura stimola alla fuga, qualche volta all’attacco, qualche volta blocca. Ma questa è un’altra storia.

L’angoscia non è tristezza

L’angoscia non è tristezza. La tristezza tende a rallentare l’organismo e a metterlo in pausa.

La tristezza guida a non sprecare altre energie, a fare tesoro dell’esperienza, a prendere atto dell’accaduto.

L’angoscia è l’angoscia è l’angoscia

Per citare Gertrude Stein:

Una rosa è una rosa è una rosa.

Anche l’angoscia è l’angoscia è l’angoscia.

Ossia, è un’emozione a sé stante, di tipo composto. Principalmente, l’angoscia è costituita da un’emozione di resa e un’emozione di ritiro. I messaggi dell’angoscia contengono paura, contengono – anche – il desiderio di trovare una soluzione e la sensazione di non poterlo fare, di non esserne capaci, di esserne in qualche modo impediti. Di essere in trappola, per la precisione.

Un metodo semplice per ridurre il picco dell’angoscia

Concentrati per qualche secondo sulla parola “angoscia“.

Non so a te, ma a me, pensare all’angoscia fa provare angoscia! Non solo a me, in realtà. A gran parte delle persone. La ragione è semplice: ogni parola ha significati che sono ben registrati dal cervello e questo fa sì che la parola “angoscia” evochi sensazioni e pensieri che hanno a che fare con l’angoscia.

Pensando alla parola “angoscia”, quindi, ci si procura un’esperienza più o meno intensa dell’emozione di angoscia.

Ora…prova a ripetere velocemente, per una decina di secondi la parola “angoscia”.

Prendi fiato e inizia: angosciaangosciaangosciaangosciaangosciaangoscia…

Ascoltati… come si trasforma la parola, dopo un po’?

A me in qualcosa tipo “sciango“.

Sciango non è una parola italiana e non mi evoca nulla. Al più mi sembra il nome di un personaggio dei cartoni animati oppure uno shampoo a base di fango  – come disse una volta una bimba -.

Cambia la parola, riduci l’angoscia

Con questo semplice esercizio – pure un po’ buffo, lo ammetto! – puoi aiutarti nel momento di picco emotivo che, ti ricordo, dura al massimo 180 secondi.

[Può interessarti anche: L’ABC delle Emozioni (Prima Puntata)]

Attraverso il linguaggio e il significato delle parole che cambia, puoi ridurre l’intensità dell’angoscia e la sensazione di trovarti in trappola.

Non basta?

Se non basta oppure se gli episodi di angoscia si fanno frequenti, potrebbe essere utile appoggiarsi a uno psicologo. Le conversazioni terapeutiche, in questo caso, vanno in due direzioni:

  • Conoscere altri strumenti per ridurre i picchi emotivi e ridurne la frequenza
  • Costruire insieme al terapeuta la soluzione o le soluzioni per uscire dalla trappola

Le proposte in tal senso variano da professionista a professionista e vanno, inoltre, del tutto personalizzate sulla situazione singola. Per iniziare, io ti propongo questo!

Piccolo Eserciziario di Felicità

4 esercizi per trovare la Felicità e viverla, a modo tuo.

Se hai cliccato questo link, ti interessa la Felicità. Meglio ancora, ti interessa conoscere esercizi da svolgere in autonomia per ottenere Felicità. Eccone alcuni, apparentemente distinti ma integrati.

#Esercizio 1: Com’è fatta la Felicità?

Come rappresenteresti la Felicità?

Somiglia a una canzone? Oppure a una fotografia? O a una parola, un colore? Forse somiglia a un odore o a un sapore?

Concediti di dare un’aspetto concreto alla Felicità.

Ora che conosci la tua rappresentazione di Felicità puoi:

  1. Portarla con te e incontrarla più spesso;
  2. Ricordare che la Felicità è altro da te, così come l’Infelicità. Puoi provare Felicità e essere in relazione con la Felicità, puoi collaborare con la Felicità, sfidarla, amarla, volerla vicina…

Questo esercizio ha come riferimento teorico il concetto di “Esternalizzazionne del problema” di Micahel White.

#Esercizio 2: Dove senti, nel corpo, la Felicità?

Se ascolti la canzone che rappresenta, per te, la Felicità oppure ne guardi la fotografia, ne ripeti a voce alta – o tra te e te – la parola associata, ne annusi l’odore o ne gusti il sapore…

Dove senti la Felicità? Forse al petto? Sulle braccia o sulle gambe? Sulle labbra?

Ora che sai dove sei solito sentire la Felicità puoi:

  1. Rievocare questa sensazione durante la giornata;
  2. Rievocare questa sensazione quando ti trovi in momenti difficili.

Questo esercizio ha come riferimento teorico scientifico il Focusing di Eugene Gendlin e le metafore terapeutiche di David Gordon.

#Esercizio 3: Quali comportamenti ti fa fare la Felicità?

Azioni: Quando provi Felicità che cosa fai? Leggi? Chiacchieri? Fai sport? Cucini?

Pensieri: Quali pensieri fai quando provi Felicità?

Ora che hai notato quali comportamenti ti fa fare la Felicità puoi:

  1. Ripeterli per vivere la Felicità;
  2. Condividerli.

#Esercizio 4: Che faccia ti fa fare la Felicità?

Che espressione assume il tuo volto quando provi Felicità? Puoi farmi una cortesia? Vai allo specchio e prova la tua “Espressione da Felicità”… un po’ di più… ancora un po’… non esagerare, ora! 😉

Ora che hai notato qual è la tua espressione di Felicità puoi:

  1. Rifarla allo specchio tutte le volte che vuoi:
  2. Mostrarla agli altri.

Questo esercizio ha come riferimento teorico scientifico gli studi di Paul Ekman sulle espressioni facciali riferite alle emozioni primarie.

Facendo questi 4 esercizi, hai inizato a entrare in contatto con la Felicità.

Puoi conoscere altri esercizi o approfondire questi…

Puoi vivere la Felicità con più frequenza,

Puoi assaporarla senza temerla e,

aspetto importante,

godere la Felicità senza scivolare nell’Euforia.

Ti propongo …

La soluzione che ho messo a punto per te: Esercizi di Felicità.

Comprende 3 incontri, alcuni esercizi da fare a casa, in autonomia – che puoi condividere con chi vuoi tu – e la copia cartacea di Kαιρός ( Kairós ).

Ti piace l’idea? Puoi chiedermi maggiori informazioni scrivendo a fontanella.francesca@gmail.com