Come dare conforto e supporto a una persona cara

Quando una persona cara soffre, si desidera darle conforto e supporto. Come fare affinché il supporto sia utile e efficace per chi lo riceve? Un suggerimento da Tristezza.

Quando una persona cara soffre, si desidera darle conforto e supporto. Come fare affinché il supporto sia utile e efficace per chi lo riceve?

Usato a casaccio, serve a zero!

Date un’occhiata a questo pezzo del film Disney Inside-Out. Gioia tenta in diversi modi di rassicurare il suo amico Bing Bong, ma non ci riesce. A riuscire è Tristezza che, a contrario di Gioia, si sofferma sul dispiacere e sulla sofferenza.

 

La conseguenza dell’aiuto offerto da Tristezza è che l’amico si sente capito e ascoltato, piange e accoglie la sua sofferenza, condividendola con Tristezza e, a un tratto, sentendosi meglio.

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Il comportamento di Tristezza può dare tre informazioni pratiche utili:

  1. Restare con l’emozione dell’altro
  2. Valorizzare l’emozione dell’altro
  3. Arricchire la storia dell’emozione dell’altro

Restare con l’emozione dell’altro

Bing Bong è triste, pertanto, l’emozione che meglio si addice  a fargli compagnia è Tristezza. Si può dare conforto a una persona triste, accettando la tristezza che prova e riflettendola, mostrando di capirla. Fare come Gioia, qui, non dà i risultati sperati.

Valorizzare l’emozione dell’altro

Tristezza non si limita a stare accanto a Bing Bong facendogli da specchio: riconosce il suo dolore, lo convalida, lo autorizza. L’autorizzazione a provare emozioni è importante: ognuno può imparare a concedersela, riconoscendo la legittimità delle proprie risposte emotive; talora è utile riceverla dagli altri. Tristezza legittima la tristezza di Bing Bong, che ha la libertà di esprimerla.

Arricchire la storia dell’emozione dell’altro

Tristezza fa qualcosa di speciale: chiede a Bing Bong di ricordare un momento bello passato con il suo carro. Il ricordo si fa struggente e nostalgico e arricchisce la storia dell’emozione che sta provando Bing Bong.

Ora egli prova tristezza, nostalgia, struggimento, commozione e ricorda le emozioni piacevoli dei momenti passati insieme al suo carro. Sente di aver contribuito alla vita del carro come il carro ha contribuito alla vita di Bing Bong e questo funge da spinta vitale per sfogarsi e poi alzarsi e ricominciare.

In situazioni di difficoltà e, in particolare, in caso di lutto, questi 3 passaggi rappresentati da Tristezza danno una mappa per orientarsi e per offrire conforto e supporto in modo utile.

Ti è capitato di dare o ricevere un tipo di supporto che è servito poco e non capire perché? Tristezza, in questa scena, potrebbe averti dato un perché!

 

 

 

 

Vivere con il dolore cronico: 4 (+1) strategie

Una recentissima ricerca offre 4 (+1) strategie per ridurre il dolore cronico e i suoi effetti collaterali emotivi e relazionali.

Il dolore cronico è frequente: in Europa si stima l’incidenza del dolore cronico non oncologico al 22% della popolazione.

Cosa si intende per dolore cronico?

La IASP (International Association for the Study of Pain – 1986) definisce il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno.

E’ un esperienza individuale e soggettiva, a cui convergono sensoriali, esperenziali e affettive.

Il dolore cronico è duraturo, spesso determinato dal persistere dello stimolo dannoso e/o da fenomeni di automantenimento, che mantengono la stimolazione nocicettiva anche quanto la causa iniziale si è limitata. Si accompagna ad una importante componente emozionale e psicorelazionale e limita la performance fisica e sociale del paziente. E’ rappresentato soprattutto dal dolore che accompagna malattie ad andamento cronico (reumatiche, ossee, oncologiche, metaboliche..). E’ un dolore difficile da curare: richiede un approccio globale e frequentemente interventi terapeutici multidisciplinari, gestiti con elevato livello di competenza e specializzazione.

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=3769&area=curePalliativeTerapiaDolore&menu=terapia

Gli effetti psicologici del dolore cronico

Il dolore cronico può generare ansia, tristezza e depressione, diminuzione della fiducia in se stessi e calo dell’interesse nelle relazioni interpersonali.

Questo può avere ripercussioni in ambito familiare e lavorativo amplificando il disagio emotivo e, ahimè, anche il livello di dolore cronico!

Infatti, avendo il dolore una componente affettiva, una situazione di disagio emotivo può accentuare la percezione del dolore, aumentandone, di fatto, il livello.

Le strategie per vivere con il dolore cronico

Una recentissima ricerca – dettagli in bibliografia – di L. Phillips, ha esplorato le strategie di resistenza al dolore cronico, identificandone 4 tipi principali:

  1. Strategie di distrazione: svolgere attività di interesse che, distraendo, alleviano il dolore;
  2. Strategie di spostamento del focus: simili alle precedenti, con la differenza che la persona sposta volutamente l’attenzione su altro rispetto al dolore. Tra queste strategie potremmo annoverare la mindfulness e altre tecniche di rilassamento e immaginative;
  3. Strategie di indagine: esplorazioni delle cause del dolore e approfondimento delle soluzioni per ridurre il dolore;
  4. Ri-negoziazione relazionale: azioni volte a restituire equilibrio alle relazioni interpersonali, messe in discussione dal terzo incomodo del dolore cronico.

Ce n’è una quinta…

Phillips propone, anche, un’altra stategia. Ella ritiene utile porre, a chi soffre di dolore cronico e le chiede un aiuto terapeutico, la  questa domanda:

“Vuoi parlare del dolore o c’è qualcos’altro che ti preme di più?”

Phillips ha osservato che, quando le persone preferiscono parlare di altri temi (di altre difficoltà)  connessi e non al dolore cronico, si crea uno spazio terapeutico in cui sperimentano la possibilità di essere attive nella risoluzione delle difficoltà – con conseguente aumento dell’autostima positiva e del senso di autoefficacacia —

Inoltre, il tema di cui preme loro parlare, si rivela  premere – metaforicamente – anche sul dolore, accentuandolo. Talora, se ne rivela una delle cause. Parlare di altre questioni e difficoltà e trovare soluzioni, influenza positivamente anche la percezione del dolore, il cui livello diminuisce.

Cosa suggerisce questo studio?

Lo studio di Phillips offre due spunti di riflessione:

  1. L’importanza di trovare strategie personali in almeno una della categorie proposte;
  2. L’utilità di indirizzare le proprie energie a parlare di temi e questioni alternativi al dolore cronico.

Lo studio ci dice che, attraverso queste due modalità, è possibile ridurre il dolore, ridurne gli effetti collaterali psicologici e scoprirne cause inesplorate.

Soffri di dolore cronico e vuoi allenarti a ridurre il dolore?

Parliamone e cerchiamo le domande e le risposte più utili a te!

Fonti:

Phillips, L. (2017). A Narrative Therapy Approach to Dealing with Chronic Pain. The International Journal of Narrative Therapy and Community Work, 1, 21-30.

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=3769&area=curePalliativeTerapiaDolore&menu=terapia

I Pre-giudizi sono utili? C’è chi dice sì!

Cosa sono i pre-giudizi? Come nascono? Quando possono essere positivi? Esempi pratici e un utile suggerimento di approfondimento

Tema caldo: i pregiudizi, i pre-giudizi. Ossia i giudizi dati prima di conoscere.

I pregiudizi possono anche essere positivi

Un giudizio può essere positivo o negativo in base a come si valuti ciò che si sta giudicando. Una cosa che piace e viene apprezzata riceve un giudizio positivo, mentre una cosa che non piace e non è apprezzata riceve un giudizio negativo.

Lo stesso vale per i pre-giudizi. Si può dare un giudizio positivo o negativo prima di conoscere e partire prevenuti in negativo o positivo:

A me i politici non piacciono!

Quello vestito così mi sembra il classico tipo che tira bidoni!

Le mamme sono apprensive.

Quelli/e che non fumano sono persone affidabili.

La ho assunta perché le donne di […] sono oneste.

Oh-Oh! Cosa noti? Comunque vada, anche quando viene data un’opinione positiva, il pre-giudizio è causato da una generalizzazione.

Le generalizzazioni

Le generalizzazioni sono una modalità linguistica (e non solo!) che tende a raggruppare in categorie persone, oggetti, fenomeni…

Questa strategia del cervello è molto utile per aiutare a risparmiare tempo. Si immagini, per esempio, la moltitudine di fiori esistenti: sebbene siano molto diversi tra loro e ognuno abbia caratteristiche e nome unici, trovandosi di fronte a un fiore sconosciuto – da qualunque prospettiva – si è in grado di dire, con un certo grado di sicurezza, che quell’oggetto appartiene alla categoria “fiore”. Vi sono molte eccezioni a questo esempio, ma prendilo per quello che è: un’esemplificazione, così come vorrebbe essere un’esemplificazione ogni generalizzazione – anche se a volte complica le cose -.

Quando le generalizzazioni traggono in inganno

Le generalizzazioni, ossia queste scorciatoie cognitive utili per far risparmiare tempo e energie, possono trarre in inganno. Come negli esempi sopra. Prendiamone uno:

Le mamme sono apprensive.

Per poter esprimere questa frase, il cervello ha fatto un raggruppamento inserendo le mamme in una categoria. Per certi versi ci può andare bene: mamma è colei che ha un figlio biologico o adottivo.

La faccenda si complica quando si arricchiscono le categorie con dettagli arbitrari. In questo caso, l’apprensione è una caratteristica attribuita alla categoria delle mamme.

Ora, che può accadere?

Si può generare il cosiddetto “stereotipo“. Uno stereotipo è una sorta di modello rappresentativo di una categoria; in questo caso, “mamma apprensiva” è lo sterotipo, il modello, di ciò che la persona si aspetta che sia una madre.

Tuttavia…

  1. Una mamma che non sia apprensiva è meno mamma?
  2. Una mamma deve sforzarsi di essere apprensiva per fare la mamma?
  3. Una mamma deve compiacersi dell’apprensione in quanto caratteristica must have di una mamma?
  4. Una mamma è sempre apprensiva?
  5. Proprio tutte le mamme sono apprensive?

Le generalizzazioni sono un tipo di pre-giudizio poco utile e poco rispettoso delle unicità individuali e, per questo, possono portare a discriminazioni.

Un esempio spicciolo di discriminazione causata da generalizzazioni e pre-giudizi? Non assumere mamme nei posti di lavoro perché la loro attenzione sarebbe rivolta ai figli anziché ai loro compiti professionali.

In tema di aspettative disconfermate, ti può interessare anche: La scatola di biscotti: una storia breve

Quando il pre-giudizio è utile

Un tipo diverso di pre-giudizio può derivare da un fenomeno chiamato thin-slicing – tagliare a fette sottili -.

Questo fenomeno descrive la capacità del cervello di identificare in modo rapido e frugale una particolare struttura di situazioni e comportamenti, basandosi su “fette sottili” dell’esperienza che si sta vivendo.

Un esempio piuttosto comune è la sensazione che qualcuno non piaccia “a pelle”: il cervello produce una scansione rapida della situazione e valuta, in via di solito prudenziale, che è opportuno stare alla larga da quella persona. In questo caso, l’informazione può rivelarsi utile e proteggere da pericoli o esperienze sgradevoli e dannose.

In un batter di ciglia

Per approfondire questo tema interessante, vi suggerisco la lettura di un libro di Malcom Gladwell, In un batter di ciglia. Il libro narra diversi esempi di stereotipi e pre-giudizi, alcuni dei quali assolutamente non funzionali. Dedica anche spazio ai pregiudizi utili che sono, di fatto, impalpabili e inesplicabili intuizioni.

Noi, come esseri umani, abbiamo questo problema […] Siamo un po’ troppo pronti a dare spiegazioni di cose per le quali in realtà non abbiamo una spiegazione.

M. Gladwell

 

Psico-Recensione: Famiglia all’improvviso

Una breve recensione di un film al cinema in queste settimane: Famiglia all’improvviso.

Sabato sera ho visto un film, al cinema: Famiglia all’improvviso, del regista parigino Hugo Gélin. Ho pensato di farne una psico-recensione, sperando di stare alla larga da antipatici effetti spoiler!

Recensisco perché…

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Ho scelto di fare una psico-recensione a questo film per 3 motivi:

  1. Offre una rappresentazione della vita come spazio-tempo ricco di emozioni
  2. Descrive un modo bello – per me – di fare il genitore
  3. Ammette la possibilità che i lieti fine non siano lieti fine e che un finale non lieto possa portare con sé anche una parte lieta (un discorso così bello intrecciato non ve lo ho mai fatto vero?)

Probabilmente finirò con l’intingere questo articolo in una colata di melassa. Non è il mio stile, ma ogni tanto ci sta che ci si lasci andare ai sentimentalismi! 😉

Spazio-tempo emotivo (come se non ci fosse un domani)

Sin dall’inizio del film ci si trova in un tourbillon emotivo: stupore, sdegno, gioia, euforia, paura, rabbia, tristezza, dolore, senso di ingiustizia, senso di impotenza, gratitudine…

I personaggi della storia e gli spettatori vivono la legittimità di provare emozioni diverse, anche “contrastanti” e di farne buon uso per concedersi una vita piena.

Rapidamente le scene passano da un’emozione all’altra e raccontano, ad esempio, l’esperienza di usare la rabbia per reagire al dolore e di usare la tenerezza per affrontare la paura.

Si narra anche di rese e di riscatti, di amore e di coraggio, di sacrificio e sensi di colpa. Un mix di tutto rispetto che fa onore a ciò che accade nella vita.

Un genitore che dona vita

Il genitore che si incontra con questo film è un genitore vivace, disponibile, creativo, generoso, apparentemente poco apprensivo, eppure attento – attentissimo -.

Sa prendersi cura, sa essere disimpegnato; sa essere ardentemente impegnato; sa mentire per amore; sa usare la sincerità per amore.

Mi piace vedere questo modello di genitorialità perché porta con sé vitalità che, a ben vedere, è un altro modo di donare la vita.

Lieto fine, finale non lieto, chissà!

Qui sono in allarme spoiler quindi dico solo che, quando è finito il film non mi era chiaro quante emozioni stessi provando e così è capitato a chi era con me.

Non so quale parola userete voi per riassumere la trama del film: io scelgo Vita.

Istruzioni non incluse.

[Per chi ha già visto il film, penso potrebbe essere utile collegare la conclusione  a questo articolo oppure a questo.]

 

Storie di lacrime: il racconto sorprendente di una bambina

Una bambina racconta cosa ne pensa delle lacrime: ne esce una storia sorprendente!

Le lacrime hanno una storia!

Così esordisce una bambina e inizia a raccontare quello che ora intitolo:

“Storie di Lacrime”

Le lacrime sono una cosa intima e ci si vergogna a mostrarle alla gente. Ma non è stato sempre così!

Nella storia dell’evoluzione abbiamo perso la possibilità di leccare le lacrime. Gli animali, quando esce una lacrima, la leccano. Tutti dicono che lo fanno per il sale, ma lo fanno per assaggiare la lacrima e capire di quale emozione è!

Così si comunica come ci si sente e le cose si fanno più facili.

Gli uomini invece nascondono le emozioni e se piangono sono casi rari!

Mio fratello è piccolo e quando piange non si capisce perché: basterebbe assaggiare la lacrima!

La tristezza non ha lo stesso sapore di quando si è arrabbiati! E esistono le lacrime di gioia…

Non dico che io ora assaggerei le lacrime degli altri però abbiamo un altro modo: ci sono delle persone speciali, nel mondo, che sanno assaggiare le lacrime degli altri senza assaggiarle davvero.

Sono quelli che ti lasciano piangere senza dire: “Non piangere!” Sono davvero interessati alle lacrime e, magari, ti chiedono perché piangi. Quello è assaggiare le lacrime.

Quando una lacrima esce è come se fosse una parola trasparente.

Ti faccio un esempio: se qualcuno mi tratta male e piango, quelle lacrime dicono parole. “Triste”, “Dispiacere”, “Non è giusto!”, “Pace”… però queste parole non si sentono e non si leggono e per questo non si capiscono subito. Però puoi chiedere a chi piange quali parole gli stanno uscendo dagli occhi e cambia tutto.

Ho scoperto questa cosa qui da te e la ho provata fuori. Fa smettere di litigare e fa voler bene. Funziona con tutti eccetto con mio fratello che non parla ancora. Ma parlerà.

I miei occhi nel frattempo si fanno lucidi e penso a queste lacrime trattenute, divenute intime per l’evoluzione – come suggerisce questa bambina sensibile e brillante – e che portano parole trasparenti…

Credo dicano “Grazie…”.

 

 

Potrebbe essere utile parlare di sesso?

In questo articolo pongo la domanda senza attendere la risposta e scelgo che, sì, potrebbe essere utile parlare di sesso.

Potrebbe essere utile parlare di sesso?“. Questa domanda ‘magica’ consente di avvicinarsi all’esplorazione della sessualità durante le consulenze psicologiche. Di coppia e anche individuali.

Qualche volta le persone ritengono utile parlare di sesso, altre pensano che non sia importante parlarne oppure danno la priorità ad altri aspetti della loro vita.

In questo articolo pongo la domanda senza attendere la risposta e scelgo che, sì, potrebbe essere utile parlare di sesso.

Sesso e intimità

Qualche tempo fa ho pubblicato un articolo ne Lo Psicologo del Rock che descrive come migliorare l’intimità di coppia con la songtherapy .

In quel caso, la coppia cercava intimità in più aree di vita e non solo nella sessualità e il focus sull’intimità è stato la chiave per dare il via al cambiamento che desiderava. Sessualità e intimità, nella storia della coppia dell’articolo, sono intrecciate.

Non è sempre così! Capita che le coppie riferiscano di avere buona complicità, buona intimità nella relazione, di stare bene insieme e condividere molti interessi e spazi, di riuscire a parlare tra loro ma… non fanno sesso o il loro sesso non li soddisfa. Come mai?

Le influenze culturali

Quando si parla di sesso, è d’aiuto dare un’occhiata alle narrazioni dominanti della società e della cultura di appartenenza.

Arriviamo da 30 anni di cambiamenti in ambito sessuale: fino a poche decine di anni fa (stima forse generosa perché, tutt’oggi noto questo tipo di influenze culturali),  la componente di piacere femminile nel sesso non era considerata e la mascolinità di un uomo tendeva a essere valutata sulla misura dei rapporti sessuali e del desiderio sessuale.

Il movimento di liberazione femminile portò a nuove possibilità: la donna poteva scegliere di fare sesso, di parlare di sesso, poteva comunicare il piacere per il sesso. Anche i movimenti che coinvolgono donne e uomini omosessuali hanno aggiunto dettagli nuovi per considerare la sessualità indipendentemente dal genere e dall’orientamento sessuale.

I temi del piacere e della libertà sessuale hanno portato anche alcune conseguenze – effetti collaterali –. Eccone due.

Effetto collaterale 1: il dovere di fare sesso

Anzichè godere del sesso come un’opportunità, il sesso è considerato come se fosse un obbligo. Sono maturate convinzioni sulla frequenza “giusta” con cui fare sesso, ad esempio. Oppure capita che, ora che è legittimo il piacere femminile, in alcune coppie eterosessuali la donna provi insoddisfazione rispetto alla frequenza del desiderio del partner, considerata inferiore a ciò che è ‘normale’. Qualche volta, la donna può mettere in discussione la sua attrattiva sessuale sulla base della frequenza di desiderio del partner.

Il sesso è un’opportunità di piacere condivisa con il o la partner. Nessuna regola generale: le regole le dà la coppia, sono flessibili e possono cambiare.

Effetto collaterale 2: il dovere di fare sesso grandioso

Il sesso è stato spettacolarizzato creando sensi di inadeguatezza oppure tendenza a eccedere rispetto ai propri desideri per avvicinarsi all’idea di sesso grandioso propinata dalle nuove infuenze culturali.

Il sesso grandioso è quello che piace a entrambi i membri della coppia. Il resto è fuffa.

Parlare di sesso

Date le premesse sopra, parlare di sesso in coppia è utile e, a mio avviso, importante.

Eppure sono in pochi a parlarne. Puoi cominciare facendo al tuo partner o alla tua partner questa domanda:

Quando dici sesso, cosa intendi?

Parlare di sesso significa innanzitutto assicurarsi di sapere cosa intenda l’altro per ‘sesso’, per ‘piacere’, per ‘preliminari’, per ‘rapporto appagante’…

Rielaborando una citazione di Lorenzo Cherubini:

Che lingua parli tu,

se dico sesso [originale ‘vita’, NdA] dimmi cosa intendi

Un buon percorso in ambito sessuale, secondo me

Dal punto di vista professionale, dopo aver indagato la possibilità di questioni organiche che sono di competenza medica, trovo utile esplorare le seguenti aree:

  • Storia sessuale
  • Storia della relazione con il proprio corpo
  • Storia relazionale
  • Influenze culturali e sociali
  • Preferenze, fantasie sessuali
  • Quella volta che… il sesso è andato bene!

Prediligo esplorare queste aree mantenendole, in prima battuta, separate, di modo che siano le persone, via via, a notarne gli intrecci e a costruire storie che integrino diversi aspetti.

Il risultato finale sarà ciò che è bene per la coppia o per la persona. 

L’obiettivo non è che le persone facciano più sesso o lo facciano meglio, ma che facciano sesso con la frequenza e la qualità che è in linea con i propri valori individuali e di coppia.

 

Questi spunti di riflessione arrivano da:

Gershoni Y., Cramer S., Gogol-Ostrowsky, T. (2008). Addressing sex in narrative therapy: talking with heterosexual couples about sex, bodies and relationships. International Journal of Narrative Therapy and Community Work, n.3 – 2008.

 

Il labirinto emotivo del lutto: trovare nuove direzioni dopo la perdita di una persona cara

Dopo un lutto, recente o passato, ci si può trovare in un labirinto emotivo. Un delicato sostegno psicologico e attività mirate per trovare la propria direzione.

Vivere l’esperienza di perdita di una persona cara è uno degli eventi di vita che più coinvolge la salute psico-fisica di chi si trova a convivere con l’accaduto, a prenderne atto e a cercare di darsi opportunità per continuare la propria vita.

Non è facile per gli adulti, non è facile per i bambini.

Un labirinto emotivo

Il labirinto emotivo del lutto

Dopo la perdita, le persone riferiscono di non riuscire a capire bene cosa provino: talora rabbia, talora tristezza, talora dolore e disperazione.

Qualcuno riferisce sensi di colpa – per cose non fatte e parole non dette – , sconcerto per la perdita, senso di ingiustizia.

Oppure ansia e paura che possa capitare un altro lutto, rassegnazione e perdita della voglia di vivere.

Frequente è anche la sensazione di non provare alcuna emozione.

Queste emozioni e sensazioni si intrecciano tra loro, vanno e vengono creando confusione e disorientamento, come in un labirinto.

Percorsi e direzioni diversi

Per trovare l’uscita dal labirinto e, quindi, mettere ordine tra pensieri e emozioni e riuscire a riprendere a vivere nonostante la perdita, non c’è un percorso unico, ma incroci e biforcazioni in cui ognuno può scegliere la direzione da prendere e il percorso più in linea con i suoi valori e le sue caratteristiche.

Un passaggio utile è restituire – a chi resta – il legame con la persona cara affinché possa essere una guida nelle scelte di vita e un punto di riferimento, sebbene su un piano diverso da quello fisico. Questo passaggio può richiedere il sostegno di uno psicologo, in particolare per i familiari stretti e per i bambini.

Ti può interessare anche: Il Lutto: legami continui e relazioni che restano

Fotografie, Storie, Canzoni, Ricordi e un Gioco Psicologico

Ho imparato ad accogliere professionalmente il lutto attraverso attività che permettono di ricordare e restituire consistenza alla relazione e al legame con la persona cara.

Guardando qua e là in questo blog, potete trovare articoli e appunti che descrivono gli strumenti che utilizzo di più:

Recentemente, nella cornice teorica della Terapia Narrativa, ho scelto di utilizzare un Gioco Psicologico che, attraverso un’attività strutturata – sebbene flessibile -, integra tutto quanto sopra in modo creativo e delicato.

Per i bambini

Il labirinto emotivo del lutto 2

I bambini possono reagire al lutto in molti modi: possono mostrare tranquillità e indifferenza, possono mostrare il dolore con comportamenti di chiusura e/o aggressività, possono avere un calo del rendimento scolastico, un calo dell’appetito, faticare a dormire o riprendere abitudini di quando erano più piccoli.

Tutti questi comportamenti nascondono una sofferenza intensa che merita attenzione.

Non lasciare che i bimbi elaborino il lutto senza un sostegno professionale!

La morte, per chi sta iniziando a vivere  – come un bambino – , appare come qualcosa che non ha senso.

Se ti va, accompagnalo in questo percorso: sarà utile anche a te.

Per gli adulti

L’adulto, dopo un lutto, a volte riprende in fretta le sue attività, in particolare se ha un lavoro, una famiglia …

In altre occasioni capita che la persona resti aggrappata al dolore per tenere vicina la persona cara:  il dolore diventa un mezzo per non perderla del tutto.

Il labirinto emotivo si fa così più intricato con ripercussioni sullo stato di salute psicologico e fisico. Qualche volta evidenti nel lungo termine.

Si può alleggerire il dolore per dare spazio a ciò che, della persona cara, resta in chi le è sopravvissuto, valorizzare il legame, celebrarlo nelle proprie giornate e andare avanti tutelando il proprio stato di salute.

Quando cercare la direzione nel labirinto emotivo

Elenco, qui, alcune situazioni di lutto in cui puoi considerare di cercare la direzione per uscire dal labirinto emotivo:

  • Perdita recente di una persona cara
  • Perdita di una persona cara, tempo fa, che ha lasciato una ferita che non rimargina
  • Interruzione di gravidanza spontanea e/o indotta
  • Situazione di malattia terminale in famiglia
  • Perdita di un animale domestico

Puoi venire da solo/a o con chi vuoi tu

Parlo per me anche se penso che diversi colleghi appoggino questa riflessione.

Puoi venire da sola/o per aiutarti in questa situazione di lutto. Puoi, anche, venire con chi vuoi tu: sei e siete benvenuti!

Ti ringrazio per la condivisione!

Se sei arrivato/a a leggere fino a qui, forse hai trovato questo articolo utile: fallo leggere a chi sta vivendo un lutto e aiutalo a cercare la direzione per uscire dal labirinto emotivo.

Dal canto mio, ti ringrazio, sin d’ora.

Riferimenti Bibliografici:

Giusti E., Milone A. Terapia del Lutto. La cura delle perdite significative 2015, Sovera.

Hogan N.S., DeSantis L. (1992). Adolescent sibling bereavement: An ongoing attachment Qualitative Health Research 2(2):159-177.

Pesci, S. (2017). The Grief Maze Game. Edizioni Scientifiche Isfar.

Schützenberg A.A., Jeufroy E.B. Uscire dal lutto. Superare la propria tristezza e imparare di nuovo a vivere 2014, Di Renzo Editore.

Silverman P.R., Nickman S.L. & Worden J.W. (1992). Detachment revisited: The child’s reconstruction of a dead parent American Journal of Orthopsychiatry 62(4):494-503.

 

Come caspita lo scelgo lo psicologo?

Scegliere lo psicologo può essere davvero semplice se sai come cercarlo! Ecco un breve vademecum.

Domandona che mi viene rivolta spesso: come caspita lo scelgo lo psicologo? In effetti, come?

Tanta varietà

La psicologia è una disciplina variegata e variegati sono gli approcci teorici e pratici di riferimento. Se, a ciò, aggiungi l’unicità individuale del professionista come essere umano, uomo o donna… bè… il numero di modi di fare psicologia che puoi incontrare aumenta esponenzialmente e tende all’infinito.

Cercare informazioni online

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Una strategia piuttosto agevole è la ricerca online, utile in particolare se si è avvezzi all’utilizzo dei sistemi informatici. Con buona probabilità, se stai leggendo queste parole, hai un supporto informatico e sai entrare in Internet quindi questa soluzione ti parrà immediata.

Ci sono diversi portali online che raccolgono i nomi dei professionisti, come in una vetrina. Lì, puoi confrontare i servizi offerti e capire, leggendone i profili, se il professionista ti piace.

Esatto, se ti piace! È importante che, al di là dei tecnicismi, la persona a cui ti rivolgerai ti dia fiducia e ti faccia sentire a suo agio. Lo psicologo ( e la psicologa) può usare tutte le tecniche e gli strumenti più belli del mondo, ma, se non funziona la relazione, non ci sarà probabilmente soddisfazione degli obiettivi terapeutici concordati.

Dai un’occhiata al sito

Non ti accontentare del profilo sui portali dedicati e consulta il sito del professionista per conoscere meglio come lavora e irrobustire la tua impressione di fiducia iniziale. Leggi ciò che scrive, il tipo di servizio che propone, chiedi informazioni per mail o attraverso i form dedicati; telefona, se preferisci.

Anche i prezzi fanno la loro parte

In linea generale, noterai che le tariffe degli psicologi sono molto simili tra loro. Tuttavia, potresti desiderare conoscere i dettagli delle offerte. Il mio suggerimento è di utilizzare il criterio economico solo in seconda battuta.

Non vale la pena, a mio avviso, iniziare un percorso psicologico con delle perplessità rispetto al professionista per il solo vantaggio economico. Che si tratti di un incontro o di un percorso più lungo, concediti di starci bene!

Un esempio godereccio: se si desidera andare a cena fuori per un’occasione speciale e investire dei soldi per pagare un servizio di ristorazione, si sceglie quello che piace o quello che non convince del tutto?

Immagino che tu abbia pensato di scegliere un posto che ti piace per la tua occasione speciale. Se, poi, capita il caso in cui il ristorante che ti piace è anche accessibile economicamente… bingo! 🙂

Di certo non ti recheresti in un posto che non ti convince: stai festeggiando un’occasione speciale!

Allo stesso modo, per festeggiare l’occasione speciale di un incontro che vale la salute e il benessere di te e delle persone care, puoi prediligere uno psicologo che ti piaccia.

[Può interessarti anche: Come capiresti che ne è valsa la pena?]

Utile anche il passaparola

Io amo il passaparola! Ci sono due tipi di passaparola:

  1. Quelli tra professionisti
  2. Quelli tra clienti

Uno psicologo può essere suggerito da un medico o altro professionista della salute, nel caso in cui i due si conoscano e l’uno conosca il modo di lavorare dell’altro.

Oppure, uno psicologo può essere suggerito da un altro psicologo: può capitare quando il primo professionista conosce di persona il cliente e ha con lui/lei una relazione di qualche tipo (familiare, amico, collega di lavoro…) oppure quando, per motivi personali o legate alle aree di competenza professionale, preferisce non prendersi cura di quella particolare situazione di difficoltà.

Uno psicologo può essere suggerito anche da chi ci è stato e si è trovato bene. Questo è il passaparola classico, quello che esiste da sempre e vale per qualsiasi tipo di servizio.

Professionalmente, questo tipo di passaparola è molto gratificante! È importante, per me, sapere che il cliente è soddisfatto al punto da consigliare il mio servizio ad altri.

Recensioni

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Recentemente, si sta utilizzando il sistema passaparola anche sotto forma di recensioni. Le puoi trovare in alcuni portali dedicati di cui scrivevo poco sopra oppure nella pagina Facebook professionale dello psicologo.

Così come accade per alberghi e locali, per gli acquisiti online, per scegliere se comprare un libro o visitare un certo luogo, anche i professionisti possono essere segnalati agli utenti del web secondo un sistema di recensioni (da 0 a 5 stelline gialle, ad esempio, con una breve valutazione della propria esperienza). Leggere le recensioni può aiutarti a scegliere.

E, quindi, come caspita scelgo?

Ecco una sintesi.

  • Consulta online i profili dei professionisti dai portali dedicati: questo ti serve per conoscere più psicologi e poter operare un primo confronto e una prima scelta
  • Entra nel sito del professionista o dei professionisti che ti piacciono (lascia perdere se ti hanno detto – chi? – che sarebbe meglio un approccio al posto di un altro per la tua difficoltà! Scegli il professionista!)
  • Chiedi informazioni per acquisire fiducia e sentirti sicuro/a della scelta
  • Sbircia le recensioni, se ci sono.
  • Goditi il passaparola: chi ha avuto una buona esperienza desidera che tu ne faccia una altrettanto buona.
  • Scegli tu! La vita è la tua e tu conosci quello che stai provando e sentendo: fidati della tua valutazione.

E se sbaglio scelta?

Mettiamo in conto la possibilità che il professionista scelto, una volta incontrato, ti convinca meno di quello che era parso leggendone profilo e sito. Puoi esprimere le tue perplessità, sin dal primo incontro e valutare, insieme al professionista, se il suo servizio possa esserti utile oppure no. Inoltre, in qualsiasi momento, puoi sospendere e chiudere la terapia.

La mia opinione è che non sia tu ad aver sbagliato scelta: il professionista si è raccontato virtualmente in un modo che ti ha dato un’impressione diversa da quella vissuta di persona.

Può capitare: quel che conta è comunicarlo allo psicologo, con fiducia. Potrebbe essere l’occasione per scegliere un altro professionista, oppure – vi sorprenderò – per potenziare la buona riuscita del percorso.

Stai cercando uno psicologo o una psicologa e vuoi qualche altro suggerimento per scegliere quello che fa per te?

Puoi scrivermi a: fontanella.francesca@gmail.com

Ricevere e Esprimere Apprezzamenti è terapeutico

Un atto è terapeutico nel momento in cui permette di raggiungere una situazione emotiva, cognitiva, fisica, migliore di quella attuale. In questo senso, ricevere e esprimere apprezzamenti è terapeutico per sé e per le proprie relazioni.

Ricevere un apprezzamento

Alcune persone (molte, nella mia esperienza!), quando ricevono complimenti, mostrano disagio. Appaiono come se provassero imbarazzo, come se non fossero d’accordo con il complimento, come se dubitassero della sua sincerità.

Vi è capitato di vivere questa esperienza?

Accettare di meritare un complimento può essere un indice di rispetto verso se stessi. Accogliere un complimento con gioia è assimilabile ad accogliere un dono con gioia.

[Per favorire relazioni positive, ti può interessare anche: Vuoi superare il 2,9:1? Il Valore che crea Valore]

Esprimere un apprezzamento

Qualche volta, sebbene si sia formulato un pensiero di apprezzamento, non lo si esprime a parole. Perché?

Alcuni ritengono che l’altro non ami ricevere apprezzamenti, altri riferiscono di non trovare le parole adatte, qualcun’altro non considera importante manifestare la sua opinione considerando l’ apprezzamento alla stregua di un giudizio, sebbene positivo.

L’apprezzamento è un giudizio (positivo)?

tribunale

Questa è una faccenda, che, secondo me, merita attenzione. Prendo in prestito le osservazioni di M.B.Rosenberg (quello del Linguaggio Giraffa).

Seguite il suo ragionamento – senza giudizio 😉 –  potrebbe rivelarsi interessante.

Rosenberg dice che l’apprezzamento è un’opinione. In quanto tale, chi lo formula, si pone nella posizione di giudice e trasmette all’altra persona il messaggio di aver valutato positivamente un suo comportamento.

Secondo Rosenberg, alcuni tipi di apprezzamento possono

alienare dalla vita.

Ossia, possono allontanare dal contatto con le esperienze di vita e rivelare poco di ciò che sta vivendo, pensando, provando la persona che li esprime.

Si possono fare complimenti e apprezzamenti, ad esempio, per manipolare, lusingare, sedurre. Questi apprezzamenti sono volti a ottenere qualcosa in cambio e non veicolano le esperienze percettive di chi li esprime.

L’apprezzamento che funziona è quello che si usa per festeggiare l’altro e per celebrare il modo in cui, ciò che ha detto o fatto, ha arricchito la propria vita.

Come esprimere un apprezzamento che funziona

Ancora seguendo Rosenberg, ecco come esprimere un apprezzamento che funziona: utile e chiaro per chi lo riceve.

  1. Contesto
  2. Emozioni e sensazioni
  3. Desideri soddisfatti

Esempi:

Quando ho letto il tuo ultimo messaggio, ho provato sollievo, speranza. Quelle parole mi hanno dato uno spunto per risolvere la situazione che sto vivendo.

Il lancio che hai fatto mi ha galvanizzata! Grande, avevo bisogno di vedere una bella azione!

Che cena squisita! Questo piatto, così saporito, mi fa sentire rilassata. Desideravo un momento di piacere, grazie!

Bravo! Il bel voto di oggi mi riempie di gioia! Volevo proprio festeggiare i tuoi sforzi!

Chi riceve questo tipo di apprezzamenti, ha chiaro cosa l’altra persona abbia notato di positivo e come questo abbia arricchito la sua esperienza di vita.

Questo è l’aspetto dell’apprezzamento che fa presa: l’aver contribuito ad arricchire l’esperienza di vita altrui.

Di questo tipo di apprezzamenti, secondo Rosenberg, l’essere umano e la società hanno sete.

Ebbene… tocca a te! Quale apprezzamento ti farebbe piacere ricevere oggi? Da chi?

Puoi scriverlo qui sotto nei commenti oppure condividere e commentare dove vuoi tu o, se preferisci più riserbo, puoi scriverlo a fontanella.francesca@gmail.com.

 

Riferimenti Bibliografici:

Rosenberg, M.B. Le parole sono finestre [oppure muri]. 2003, Esserci Edizioni.

 

 

Ieri sera: Maschere e Risate al Club dello Storytelling

Ogni serata è diversa al Club dello Storytelling! Ieri sera si è parlato di maschere e non sono mancate le risate grazie alla verve delle partecipanti: ebbene sì, serata al femminile!

Eccovi il racconto dell’incontro.

Dare vita alla maschera

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