Il mal di testa passa se perdi le staffe!

Perdere le staffe può essere un utile rimedio al mal di testa! Scopri come puoi ridurre o eliminare il dolore da cefalea con la Visualizzazione della Rabbia.

Stai cercando un rimedio per il mal di testa? Forse, ora, provi una certa curiosità per il titolo di questo articolo. Vorresti scoprire un rimedio che non hai ancora provato oppure ti aspetti che questo articolo faccia dell’umorismo?

Io spero che tu qui possa trovare un’idea per te nuova – da declinare a modo tuo – e al contempo che tu possa divertirti un po’!

Tutto iniziò quando…

Lo scorso anno partecipai a un interessante corso di aggiornamento sulle emozioni. Per la prima volta – paradossalmente – mi si parlò dell’importanza di distinguere tra emozioni soppresse – annullate – e represse – controllate -.

Fu anche proposta una riflessione rispetto al tipo di somatizzazioni causate dalla soppressione e dalla repressione delle emozioni e, tra queste, si parlò di mal di testa.

Mal di testa da tensione (repressione)

Alcuni dei metodi (non farmacologici) che sono utilizzati per trattare le cefalee hanno a che vedere con il rilassamento muscolare. La tensione e l’irrigidimento dei muscoli del corpo sono una componente del mal di testa e sono connessi alla repressione delle emozioni.

Ossia…

Repressione delle emozioni >> tensione e irrigidimento muscolare >> mal di testa.

Non è tutto qui, ma facciamola facile per proseguire con l’articolo e andare al dunque.

Prima possibilità: il rilassamento e le visualizzazioni

Rilassamento e visualizzazioni

Puoi iniziare a ridurre il mal di testa imparando tecniche di rilassamento e utilizzando le visualizzazioni.

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Si tratta di strumenti che diverse professioni declinano in  modi differenti tra loro. Sto pensando all’utilizzo che se ne può fare nello yoga o in incontri di meditazione, ad esempio. Se chiedi a uno psicologo di accompagnarti in un percorso specifico di questo tipo, gli esercizi e le tecniche verrano declinati in chiave psicologica. In questo caso, l’aspetto differenziale che trovo più rilevante è la collaborazione tra psicologo e cliente/paziente che porta a una co-esplorazione di significati e a una co-creazione di “soluzioni”.

Qualche volta, il rilassamento non funziona…

Di fronte a uno scorato terapeuta, alcuni confessano di non trovarsi affatto bene con il rilassamento e di non riceverne alcun giovamento.

Il rilassamento ha favorito loro il sonno, ha permesso di vivere con più agilità il quotidiano, ma il mal di testa è rimasto e si ripresenta con la stessa frequenza – o quasi! – e la stessa intensità. Se non trovi giovamento dal rilassamento…

… allora è il caso di perdere le staffe!

«L’espressione ‘perdere le staffe’ viene dalla particolarità di alcuni pantaloni da uomo… perché, anticamente, erano allacciati con un tipo speciale di bretelle, le staffe, appunto… Che, una volta perse… Insomma: l’espressione vuol dire ‘trovarsi in balìa di tutto’… ‘essere indifesi’, capito?».

http://www.treccani.it

Detta così pare chiaro perché, nel quotidiano, se possibile, si preferisca non perdere le staffe.

Ebbene, chi non perde le staffe reprimendo la rabbia e, al contempo, non riesce e farsi rispettare, è a rischio mal di testa!

Usare le Visualizzazioni della Rabbia

Visualizzazione della Rabbia

Può essere utile immaginare di esprimere la rabbia e di perdere le staffe.

Immaginare, per l’appunto, di modo da non trovarsi indifesi e senza brache. 😉

Nella relazione con gli altri e con se stessi la rabbia merita di essere scaricata in un modo che non porti conseguenze negative.

Nell’immaginazione, tuttavia, si può osare qualche parolaccia e urlo di troppo, il lancio di oggetti, sfoghi fisici… ma anche ironia e sarcasmo laddove, nella “realtà” non puoi usarli, silenzi oppositivi, ripicche…

Tutte queste azioni aggressive che sei solito/a evitare per questioni etiche e di convivenza sociale, puoi agirle nell’immaginazione, permettendoti la liberazione della rabbia.

Questo potrà aiutarti in due modi, principalmente:

  1. La rabbia liberata (non più repressa) farà rilassare i muscoli che il solo rilassamento non risuciva a far rilassare;
  2. La rabbia, una volta scaricata la sua componente più impulsiva, potrà essere usata come motore all’azione e consentirti di ottenere ciò che è importante per te.

Nella pratica…

Lo sai già, per fare un lavoro accurato potrebbe essere necessario l’aiuto di uno psicologo che utilizzi le visualizzazioni  e le immaginazioni guidate.

Intanto, se vuoi provare a sperimentare da te, puoi fare così.

  • Scegli una canzone che, per te, rappresenti la rabbia;
  • Chiediti che tipo di rabbia rappresenti la canzone che hai scelto: aggressiva, oppositiva, difensiva…
  • Chiediti come si manifesterebbe quel tipo di rabbia in una questione della tua vita che ti fa provare rabbia: quali gesti, quali parole…
  • Fai suonare la canzone e visualizza te stesso/a mentre fai quei gesti e quelle parole.
  • Interrompi la canzone quando vuoi tu.
  • Ripeti, se necessario.

Allenati con questo esercizio una volta al giorno, pensando a qualcosa che ti ha fatto provare rabbia e utilizzalo dopo aver vissuto episodi in cui hai represso la rabbia.

In questo modo dovresti prevenire i mal di testa.

Qualcuno si trova bene a svolgere l’esercizio mentre ha mal di testa. Può essere più difficile e richiedere la capacità di fare spazio al “dolore pulito”. Ma questa è un’altra storia.

Soffri di mal di testa? Prova la Visualizzazione della Rabbia e poi fammi sapere come ti trovi! Il tuo contributo è prezioso!

Scrivi a fontanella.francesca@gmail.com

 

Riferimento bibliografico essenziale:

Porges, S.W. The Polyvagal Theory: Neurophysiological Foundations of Emotions, Attachment, Communication, and Self-regulation. W W Norton & Co Inc, 2011.

 

 

 

 

 

Vivere con il dolore cronico: 4 (+1) strategie

Una recentissima ricerca offre 4 (+1) strategie per ridurre il dolore cronico e i suoi effetti collaterali emotivi e relazionali.

Il dolore cronico è frequente: in Europa si stima l’incidenza del dolore cronico non oncologico al 22% della popolazione.

Cosa si intende per dolore cronico?

La IASP (International Association for the Study of Pain – 1986) definisce il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno.

E’ un esperienza individuale e soggettiva, a cui convergono sensoriali, esperenziali e affettive.

Il dolore cronico è duraturo, spesso determinato dal persistere dello stimolo dannoso e/o da fenomeni di automantenimento, che mantengono la stimolazione nocicettiva anche quanto la causa iniziale si è limitata. Si accompagna ad una importante componente emozionale e psicorelazionale e limita la performance fisica e sociale del paziente. E’ rappresentato soprattutto dal dolore che accompagna malattie ad andamento cronico (reumatiche, ossee, oncologiche, metaboliche..). E’ un dolore difficile da curare: richiede un approccio globale e frequentemente interventi terapeutici multidisciplinari, gestiti con elevato livello di competenza e specializzazione.

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=3769&area=curePalliativeTerapiaDolore&menu=terapia

Gli effetti psicologici del dolore cronico

Il dolore cronico può generare ansia, tristezza e depressione, diminuzione della fiducia in se stessi e calo dell’interesse nelle relazioni interpersonali.

Questo può avere ripercussioni in ambito familiare e lavorativo amplificando il disagio emotivo e, ahimè, anche il livello di dolore cronico!

Infatti, avendo il dolore una componente affettiva, una situazione di disagio emotivo può accentuare la percezione del dolore, aumentandone, di fatto, il livello.

Le strategie per vivere con il dolore cronico

Una recentissima ricerca – dettagli in bibliografia – di L. Phillips, ha esplorato le strategie di resistenza al dolore cronico, identificandone 4 tipi principali:

  1. Strategie di distrazione: svolgere attività di interesse che, distraendo, alleviano il dolore;
  2. Strategie di spostamento del focus: simili alle precedenti, con la differenza che la persona sposta volutamente l’attenzione su altro rispetto al dolore. Tra queste strategie potremmo annoverare la mindfulness e altre tecniche di rilassamento e immaginative;
  3. Strategie di indagine: esplorazioni delle cause del dolore e approfondimento delle soluzioni per ridurre il dolore;
  4. Ri-negoziazione relazionale: azioni volte a restituire equilibrio alle relazioni interpersonali, messe in discussione dal terzo incomodo del dolore cronico.

Ce n’è una quinta…

Phillips propone, anche, un’altra stategia. Ella ritiene utile porre, a chi soffre di dolore cronico e le chiede un aiuto terapeutico, la  questa domanda:

“Vuoi parlare del dolore o c’è qualcos’altro che ti preme di più?”

Phillips ha osservato che, quando le persone preferiscono parlare di altri temi (di altre difficoltà)  connessi e non al dolore cronico, si crea uno spazio terapeutico in cui sperimentano la possibilità di essere attive nella risoluzione delle difficoltà – con conseguente aumento dell’autostima positiva e del senso di autoefficacacia —

Inoltre, il tema di cui preme loro parlare, si rivela  premere – metaforicamente – anche sul dolore, accentuandolo. Talora, se ne rivela una delle cause. Parlare di altre questioni e difficoltà e trovare soluzioni, influenza positivamente anche la percezione del dolore, il cui livello diminuisce.

Cosa suggerisce questo studio?

Lo studio di Phillips offre due spunti di riflessione:

  1. L’importanza di trovare strategie personali in almeno una della categorie proposte;
  2. L’utilità di indirizzare le proprie energie a parlare di temi e questioni alternativi al dolore cronico.

Lo studio ci dice che, attraverso queste due modalità, è possibile ridurre il dolore, ridurne gli effetti collaterali psicologici e scoprirne cause inesplorate.

Soffri di dolore cronico e vuoi allenarti a ridurre il dolore?

Parliamone e cerchiamo le domande e le risposte più utili a te!

Fonti:

Phillips, L. (2017). A Narrative Therapy Approach to Dealing with Chronic Pain. The International Journal of Narrative Therapy and Community Work, 1, 21-30.

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=3769&area=curePalliativeTerapiaDolore&menu=terapia

Il labirinto emotivo del lutto: trovare nuove direzioni dopo la perdita di una persona cara

Dopo un lutto, recente o passato, ci si può trovare in un labirinto emotivo. Un delicato sostegno psicologico e attività mirate per trovare la propria direzione.

Vivere l’esperienza di perdita di una persona cara è uno degli eventi di vita che più coinvolge la salute psico-fisica di chi si trova a convivere con l’accaduto, a prenderne atto e a cercare di darsi opportunità per continuare la propria vita.

Non è facile per gli adulti, non è facile per i bambini.

Un labirinto emotivo

Il labirinto emotivo del lutto

Dopo la perdita, le persone riferiscono di non riuscire a capire bene cosa provino: talora rabbia, talora tristezza, talora dolore e disperazione.

Qualcuno riferisce sensi di colpa – per cose non fatte e parole non dette – , sconcerto per la perdita, senso di ingiustizia.

Oppure ansia e paura che possa capitare un altro lutto, rassegnazione e perdita della voglia di vivere.

Frequente è anche la sensazione di non provare alcuna emozione.

Queste emozioni e sensazioni si intrecciano tra loro, vanno e vengono creando confusione e disorientamento, come in un labirinto.

Percorsi e direzioni diversi

Per trovare l’uscita dal labirinto e, quindi, mettere ordine tra pensieri e emozioni e riuscire a riprendere a vivere nonostante la perdita, non c’è un percorso unico, ma incroci e biforcazioni in cui ognuno può scegliere la direzione da prendere e il percorso più in linea con i suoi valori e le sue caratteristiche.

Un passaggio utile è restituire – a chi resta – il legame con la persona cara affinché possa essere una guida nelle scelte di vita e un punto di riferimento, sebbene su un piano diverso da quello fisico. Questo passaggio può richiedere il sostegno di uno psicologo, in particolare per i familiari stretti e per i bambini.

Ti può interessare anche: Il Lutto: legami continui e relazioni che restano

Fotografie, Storie, Canzoni, Ricordi e un Gioco Psicologico

Ho imparato ad accogliere professionalmente il lutto attraverso attività che permettono di ricordare e restituire consistenza alla relazione e al legame con la persona cara.

Guardando qua e là in questo blog, potete trovare articoli e appunti che descrivono gli strumenti che utilizzo di più:

Recentemente, nella cornice teorica della Terapia Narrativa, ho scelto di utilizzare un Gioco Psicologico che, attraverso un’attività strutturata – sebbene flessibile -, integra tutto quanto sopra in modo creativo e delicato.

Per i bambini

Il labirinto emotivo del lutto 2

I bambini possono reagire al lutto in molti modi: possono mostrare tranquillità e indifferenza, possono mostrare il dolore con comportamenti di chiusura e/o aggressività, possono avere un calo del rendimento scolastico, un calo dell’appetito, faticare a dormire o riprendere abitudini di quando erano più piccoli.

Tutti questi comportamenti nascondono una sofferenza intensa che merita attenzione.

Non lasciare che i bimbi elaborino il lutto senza un sostegno professionale!

La morte, per chi sta iniziando a vivere  – come un bambino – , appare come qualcosa che non ha senso.

Se ti va, accompagnalo in questo percorso: sarà utile anche a te.

Per gli adulti

L’adulto, dopo un lutto, a volte riprende in fretta le sue attività, in particolare se ha un lavoro, una famiglia …

In altre occasioni capita che la persona resti aggrappata al dolore per tenere vicina la persona cara:  il dolore diventa un mezzo per non perderla del tutto.

Il labirinto emotivo si fa così più intricato con ripercussioni sullo stato di salute psicologico e fisico. Qualche volta evidenti nel lungo termine.

Si può alleggerire il dolore per dare spazio a ciò che, della persona cara, resta in chi le è sopravvissuto, valorizzare il legame, celebrarlo nelle proprie giornate e andare avanti tutelando il proprio stato di salute.

Quando cercare la direzione nel labirinto emotivo

Elenco, qui, alcune situazioni di lutto in cui puoi considerare di cercare la direzione per uscire dal labirinto emotivo:

  • Perdita recente di una persona cara
  • Perdita di una persona cara, tempo fa, che ha lasciato una ferita che non rimargina
  • Interruzione di gravidanza spontanea e/o indotta
  • Situazione di malattia terminale in famiglia
  • Perdita di un animale domestico

Puoi venire da solo/a o con chi vuoi tu

Parlo per me anche se penso che diversi colleghi appoggino questa riflessione.

Puoi venire da sola/o per aiutarti in questa situazione di lutto. Puoi, anche, venire con chi vuoi tu: sei e siete benvenuti!

Ti ringrazio per la condivisione!

Se sei arrivato/a a leggere fino a qui, forse hai trovato questo articolo utile: fallo leggere a chi sta vivendo un lutto e aiutalo a cercare la direzione per uscire dal labirinto emotivo.

Dal canto mio, ti ringrazio, sin d’ora.

Riferimenti Bibliografici:

Giusti E., Milone A. Terapia del Lutto. La cura delle perdite significative 2015, Sovera.

Hogan N.S., DeSantis L. (1992). Adolescent sibling bereavement: An ongoing attachment Qualitative Health Research 2(2):159-177.

Pesci, S. (2017). The Grief Maze Game. Edizioni Scientifiche Isfar.

Schützenberg A.A., Jeufroy E.B. Uscire dal lutto. Superare la propria tristezza e imparare di nuovo a vivere 2014, Di Renzo Editore.

Silverman P.R., Nickman S.L. & Worden J.W. (1992). Detachment revisited: The child’s reconstruction of a dead parent American Journal of Orthopsychiatry 62(4):494-503.

 

Via la Stanchezza con un pezzetto di burro!

La tua giornata inizia con Stanchezza? Stai pensando che il burro non ti piace? Fà nulla, tanto non lo dovrai mangiare. E nemmeno toccare, a dire il vero. Insomma è una faccenda di visualizzazioni e rilassamento. Ma via, si parte, senz’altra prefazione! (cit.G.Rodari).

Stanchezza e Irrigidimento muscolare…

Prova a farci caso: l’Irrigidimento muscolare accompagna la Stanchezza. Potresti notare di avere un dolore alle spalle o una loro contrattura, mal di schiena, dolori cervicali o agli arti.

Può essere difficile dire se sia l’uno a causare l’altra o viceversa, sta di fatto che questi due si auto-alimentano.

L’Irrigidimento muscolare genera Stanchezza perché fa consumare molte energie extra all’organismo e la Stanchezza può generare Irrigidimento muscolare. La ragione è che l’organismo, per sopravvivenza, cerca di ‘tenersi su’ e, in alcuni casi, lo fa irrigidendo i muscoli.

… e Stress

La tensione causata dall’Irrigidimento muscolare e lo sforzo per svolgere le proprie attività nonostante la Stanchezza producono Stress. Questo terzo protagonista della triade interagisce con gli altri due amplificandoli.

Ti riconosci in questa triade? Stress, Stanchezza e Irrigidimento muscolare?

Se sì, potrebbe interessarti quanto segue.

Passo 1: Accertamenti organici

Il primo passo è consultare il medico di base. Sarà opportuno accertarsi che, ad esempio, i valori dell’analisi del sangue rientrino nei parametri e che non vi siano alterazioni della pressione sanguigna. Il medico saprà indicarti gli accertamenti utili.

Passo 2: Auto-aiuto per la Stanchezza

Idratarsi, mangiare sano e dare spazio al riposo sono metodi di auto-aiuto per alleviare la Stanchezza. La ragione è semplice: un corpo trattato bene è un corpo rilassato; un corpo rilassato è meno stanco.

Passo 3: Usare tecniche di rilassamento anti-Stanchezza

stile-di-vita

Qui siamo nel mio settore. Vi sono diversi tipi di attività utilizzabili per produrre rilassamento e aiutare l’organismo a ridurre via via tensioni e stanchezza. Si possono utilizzare tecniche corporee e immaginative e integrarle a conversazioni terapeutiche che consentano di conoscere meglio il significato della propria Stanchezza.

[Può interessarti anche: Riscaldare mani e piedi con l’aiuto della mente]

Vorrei proporvi un esercizio che spero possa esservi utile per rilassarvi e, magari, addormentarvi meglio. Lo scopo di questo esercizio è aiutarvi ad allentare le tensioni e ridurre l’Irrigidimento muscolare.

È inteso che, da solo, non può essere risolutivo. Nonostante questo, è di facile attuazione e va bene anche per i bambini.

L’esercizio del pezzetto di burro

Mettiti in posizione comoda, meglio se in posizione sdraiata supina

Separa leggermente i piedi, di modo da non avere le gambe incrociate

Tieni le braccia lungo il corpo

Respira lentamente, se possibile gonfiando la pancia durante l’inspirazione e sgonfiandola durante l’espirazione

Concentrati sul tuo corpo e immagina di essere un pezzetto di burro, appoggiato su una fetta di pane calda

Nota che, lentamente, ogni parte del tuo corpo diventa morbida, come il burro a contatto con il pane caldo

Mentre cominci a rilassarti, osserva che le gambe, la pancia, le spalle, il collo, le braccia, la schiena sono più morbidi

Le tensioni si sciolgono

Ora provi un senso di calma e ti senti riposato/a

Cogli la positività del rilassamento muscolare e godi del momento di pace

Ora:

  • Se stai svolgendo l’esercizio durante la giornata, fai tre respiri profondi, muovi leggermente i piedi e le mani prima di aprire gli occhi e riprendere le attività della giornata.
  • Se stai svolgendo questo esercizio per addormentarti, tieni gi occhi chiusi e continua respirare seguendo i movimenti della tua pancia.

Ti è piaciuto l’esercizio è vuoi conoscerne altri? Puoi leggere il mio e-book Kairòs oppure puoi contattarmi…

… Ecco l’indirizzo! fontanella.francesca@gmail.com

Una canzone… “d’Oro!”

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Ogni anno, da tradizione, in questo mese va in onda Lo Zecchino d’Oro e bambini con senso del ritmo e dolci voci cantano i brani prodotti da autori eccellenti.

La musiche, vivaci o malinconiche, ninnananne o scatenate, sono accompagnate da testi che meritano di essere ascoltati.

I pipistrelli con il punto di vista strambo che invitano a cambiare punto di vista, il principe fannullone che ciondola qua e là e non vuole responsabilità, la ranocchia coraggiosa che parte all’avventura senza essersi preparata abbastanza…

Ascoltando brani più indietro nel tempo, ascoltiamo la storia di matite colorate che sono fatine pronte a colorare il tuo mondo, di una polenta per recuperare le tradizioni antiche e il piacere della compagnia delle persone care…

Tra queste canzoni, oggi vi propongo “Prendi un’emozione“di L.Saccol: ascoltiamola insieme per poi darle un’occhiata attraverso la psicologia e la Terapia Narrativa.

Attraverso le lenti della psicologia e della Terapia Narrativa

Passo 1: riconoscere che l’emozione si sente nel corpo.

Certe volte il viso cambia colore ed il cuore prende velocità,
Nella pancia c’è qualcosa di strano, non è fame, ma chissà che sarà.

Le emozioni hanno manifestazioni a livello fisico: alterazioni fisiologiche (battito cardiaco, pressione sanguigna, ritmo respiratorio, sudorazione, bocca secca…) e qualche volta possono dare origine a somatizzazioni (colon irritabile, cefalea, disturbi dermatologici, dolori muscolari e articolari…).

Può essere utile impararea a riconoscere e distinguere le proprie emozioni attraverso le loro manifestazioni corporee. Le tecniche di rilassamento e di focalizzazione hanno la funzione di avvicinarci alla risposta corporea che accompagna le emozioni e ad aiutarci a gestirla nel suo picco e nei suoi strascichi.

Passo 2: riconoscere che  l’emozione non sei tu e tu non sei l’emozione

Prendi un’emozione, chiamala per nome, trova il suo colore e che suono fa.

Questo processo, in Terapia Narrativa, si chiama ‘esternalizzazione‘. Esso consiste nel dare una aspetto e un’identità concrete all’emozione considerandole qualcosa di distinto da se stessi. L’esternalizzazione serve a ricordare alla persona di avere un’identità a se stante, non dipendente dall’emozione: l’emozione è solo uno degli eventi che le stanno capitando e può scegliere se e come utilizzarla per vivere meglio.

Passo 2: accogliere l’emozione

Prendila per mano, seguila pian piano, senti come nasce, guarda dove va. Prendi un’emozione e non mandarla via.

Una delle più frequenti difficoltà nella gestione delle emozioni è determinata dall’abitudine a sedare, scacciare, mettere da parte ciò che si sta provando. Apparentemente utile, questa abitudine ha una serie di effetti collaterali: ad esempio può comprimere l’emozione – con il rischio che si manifesti in seguito di intensità maggiore -; può convincerci che non siamo autorizzati a provare certe emozioni; può produrre somatizzazioni, stanchezza, spreco di energie; può lentamente annullare la capacità di sentire le emozioni.

Passo 3: condividi le esperienze emotive e raccontane la storia

Puoi spiegarla a chi non la sa e tutta la tua vita vedrai un’emozione sarà.

Alcune emozioni sono considerate tabù. Possiamo, ad esempio, aver incontrato già nell’infanzia suggerimenti del tipo: “Non ti arrabiare!”, “Non prendertela!”, “Non serve essere tristi per queste cose!”, “Non mostrarti troppo compiaciuto!”…

Tutti questi non mostrare le emozioni possono creare alcuni fraintendimenti:

  • Convinzione che le emozioni siano una cosa del tutto intima e che non vadano condivise. Tuttavia, le emozioni sono uno strumento sociale importante: le relazioni, ad esempio, ne sono intrise.
  • Convinzione di essere gli unici a provare alcuni tipi di emozione, con conseguente ulteriore riserbo rispetto a ciò che si prova e, talora, senso di inadeguatezza. Tuttavia, le emozioni sono un patrimonio biologico comune a tutti gli esseri umani e la differenza tra una persona e l’altra risiede nell’intensità emotiva e nel modo di manifestare l’emozione -dipendenti, anche, da fenomeni culturali-
  • Convinzione che sarebbe bello se alcune emozioni non ci fossero. Tuttavia, sarebbe un bel guaio! Proprio in virtù del loro retaggio biologico, esse hanno sempre un ruolo e un significato (se ti interessa saperne di più, puoi leggere i 5 articoli L’ABC delle Emozioni. Qui il primo della serie.).
Come puoi iniziare a conoscere le emozioni che provi
orientarsi
  1. Per prima cosa, la prossima volta che provi un’emozione, dalle un nome! Se riesci a identificare il nome di un’emozione, tanto meglio; se, invece, ti viene un nome di fantasia – che so, Buio profondo, Fifa blu, Elettricità… – va bene lo stesso.
  2. In secondo luogo, chiediti cosa vorrebbe tu facessi, cosa ti sta comunicando: accogli il messaggio e concedi all’emozione di esistere.
  3. In terzo luogo, parlane e racconta di questa emozione a chi ti è caro oppure scrivine o rappresentala con un disegno o una canzone: condividila e falle onore!

 

Per conoscere meglio il tuo mondo emotivo, hai tante possibilità: io te ne offro una! Dai mela-doroun’occhiata alla sezione Pacchetti del menù, curiosa nella sezione Curiosità e, se ti va contattami all’indirizzo fontanella.francesca@gmail.com.

Dott.ssa Francesca Fontanella

 

L’altro ‘Perché’: scoprire le ragioni dei propri comportamenti

investigare

C’è ‘Perché’ e ‘Perché’! In un articolo precedente descrivo i 4 tipi di ‘Perché’ identificati da Tinbergen e mi soffermo su uno specifico ‘Perché’, quello che abbiamo chiamato intenzione positiva (termine suggerito da R. Dilts).

Perché faccio così?

Quando una persona agisce un comportamento che la sorprende, la sconcerta e che vorrebbe modificare, si chiede: “Perché faccio così?”. E inizia a ricercare le cause negli eventi appena avvenuti, in eventi precedenti, nel proprio stato di salute… ne identifica, spesso, molte, creando connessioni che costruiscono una storia di quel comportamento (Per saperne di più sulle conessioni che creano storie e sulle connessioni alternative:  Kαιρός ( Kairós ) – Tecniche di auto-aiuto per trasformare le esperienze in qualcosa di speciale).

Un esempio: ho litigato con te perché…

litigio

Ad esempio, dopo aver litigato, è possibile ricercare le cause nel comportamento dell’altro, in qualcosa che è avvenuto al lavoro, nella stanchezza, in quel mal di testa che ci portiamo dietro dal  mattino, nel modo in cui siamo cresciuti… Ognuna di queste ragioni, potenzialmente, contribuisce al litigio e, al contempo, nessuna sembra significativa. Non si riesce a identificare La Causa.

‘Perché-Causa’ e ‘Perché-Fine’

Trovare l’intenzione positiva significa ricercare lo scopo – o gli scopi – anziché occuparsi delle cause. Questo non significa che le cause non abbiano la loro importanza e che non possa essere di utilità e di interesse dedicare un po’ di spazio anche alle riflessioni che le riguardano. Tuttavia, se si desidera provare sollievo dalle sensazioni ed emozioni spiacevoli legate al proprio comportamento, si può, in prima battuta, cercarne lo scopo.

Cosa mi permette di ottenere questo comportamento?

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Ogni comportamento, ogni emozione, si manifestano perché ‘vogliono‘ qualcosa. Come Sherlock Holmes, il tuo compito è identificare cosa vogliano i tuoi comportamenti e le tue emozioni. La rabbia, ad esempio, che potresti provare durante un litigio, ha il suo ‘Perché-Fine’: vuole che tu protegga il tuo valore personale e le cose in cui credi.

Stesso scopo, nuovo comportamento

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Spostando la riflessione dalla causa allo scopo, ti concedi di fare chiarezza sui vantaggi o sugli obiettivi che il tuo organismo desiderava ottenere con quel comportamento. Da qui la riflessione può spostarsi su tutti gli altri modi che hai per ottenere lo stesso vantaggio ed obiettivo attraverso un comportamento che ti piace di più.

Ti piacerebbe esplorare e investigare i tuoi ‘Perché-Fine’ in modo efficace e divertente? Puoi provare il Pacchetto Curiosità oppure il Pacchetto Esplorazione! – Anche Online –

Dott.ssa Francesca Fontanellainvestigare

Pronti, attenti, stop!

run-pixabay. wokandapix

Vi è mai capitato di osservare un insetto che resta immobile a terra e sembra morto, fino a quando, tutto ad un tratto, si allontana velocemente?

Il fenomeno ha a che vedere con la sopravvivenza: se un animale è morto e non se ne conosce la causa, gli altri animali preferiranno non mangiarlo per il rischio di malattie e si allontaneranno, lasciandolo libero di fuggire.

Di fatto, fingendosi morto, l’animale può salvarsi la vita. Il fenomeno è detto freezing, congelamento, ed ha a che fare, principalmente, con la paura. La paura è un’emozione molto funzionale perché informa della possibile presenza di un pericolo e sollecita  l’organismo ad allontanarsi dalla fonte di pericolo e/o difendersi.

Anche l’uomo può reagire con il congelamento
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Di fronte ad uno stimolo che suscita paura e, talora, anche di fronte a eventi che provocano sgomento, sconcerto, incredulità, l’essere umano può bloccarsi – congelarsi – e non riuscire a reagire. Si allerta, pronti, attenti e poi… stop!

Se ciò accade, mentre la persona si trova nel ‘congelamento’ non compie alcuna azione, non ipotizza soluzioni, non chiede aiuto.

L’organismo è biologicamente predisposto a modificare questo comportamento di blocco che si evolve, ad esempio, in fuga, attacco, resa, nella ripresa delle proprie attività, nella ricerca attiva di souzioni, nella richiesta di sostegno e conforto da parte degli altri…

Lepre o Tartaruga? È un processo veloce o lento?

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Il processo che trasforma il blocco in qualcos’altro può essere molto rapido (dell’ordine di qualche millesimo di secondo) laddove prevale un comportamento automatico, guidato da meccanismi biologici di adattamento all’ambiente. Altre volte, il processo è lento e guidato dal pensiero che, in certi casi, può addirittura rallentarlo.

Sebbene si possa ipotizzare in via teorica che, prima o poi, il blocco si sblocca, potrebbe non essere molto utile restare in attesa, congelati, senza sapere quando arriverà lo sblocco.

Lo sblocco si può facilitare, ecco la buona notizia!

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Numerose sono le tecniche che aiutano a identificare il blocco, a coglierne il senso e a trasformarlo in azione. Tra quelle che conosco c’è un elemento in comune che consiste, più o meno, nel cominciare ponendosi questa domanda:

Il blocco, da cosa vuole proteggermi?

Se stai vivendo un momento di blocco, parti da questa domanda e lascia arrivare la risposta o le risposte. Appuntale, rileggile, scegli quelle che senti più ‘giuste’. A quel punto hai già un bel pezzo di soluzione in mano.

Se ti fa piacere, puoi condividere le tue riflessioni nei commenti qui sotto oppure scrivendomi all’indirizzo fontanella.francesca@gmail.com

Dott.ssa Francesca Fontanellarun-pixabay. wokandapix

 

BodyFeedback: le emozioni nel corpo

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Dall’espressione del volto e dai  movimenti è possibile capire in che condizione psichica si trova una persona?

Si tratta di una domanda importante perché, se si sceglie di rispondervi ‘Sì’senza considerare il contesto, si rischia di generalizzare, di appoggiarsi a presunte regole oggettive e di azzardare interpretazioni dei vissuti altrui.

Se si scegliesse di rispondere ‘No’, d’altro canto, non si terrebbe in considerazione l’ampia rassegna scentifica che descrive il ruolo che assumono la postura e le espressioni facciali – ad esempio – nella gestione delle emozioni. In un paio di articoli di qualche mese fa, ho descritto un esperimento sulla posizione delle labbra e sulla postura.

Sì, anche se dipende

Durante la Seconda Guerra Mondiale, secondo l’ideologia nazista della razza era possibile dedurre la personalità altrui osservandone la postura. La supposizione di poter cogliere l’essenza altrui leggendo il linguaggio del corpo, quindi, merita una certa cautela!

L’ambiente di appartenenza, la cultura di riferimento, le esperienze personali sono fattori importanti per chi si occupa di linguaggio del corpo.

Il primo a pensarci fu Darwin

Avete letto bene: Darwin, Charles Darwin, quello della Teoria dell’Evoluzione.

In una sua opera, si occupò dell’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali chiedendosi se le espressioni facciali corrispodenti alle emozioni fossero innate o derivassero dall’apprendimento.Darwin propose che la mimica del volto non soltanto esprimesse, ma anche influenzasse le emozioni.

Persino la simulazione di un’emozione tende a suscitarla davvero nella nostra mente. Darwin

La conferma dalla scienza e le applicazioni nel mondo del teatro e del cinema

Come descritto dall’esperimento che riporto in questo articolo , la scienza ha confermato l’influenza delle espressioni facciali nel manifestarsi delle emozioni.

Quando si attivano certi muscoli del volto, si provocano delle modifiche analoghe nel sistema nervoso e si suscita l’emozione corrispondente. Ekman

Il teatro e il cinema, invece, la applicano.Gli attori, utilizzano le espressioni facciali e la postura come strumento per evocare le emozioni per inerpretare la loro parte.

Fa’ il gesto e l’emozione viene dopo! Stanislavskij

L’importanza dell’espressione facciale: emozioni e botulino

Wollmer e colleghi hanno iniettato del botulino nella fronte dei loro pazienti, all’altezza della ‘ruga della collera’, il solco – o i solchi – che si creano se corrugate la fronte.

Questi pazienti, dopo l’iniezione, non potevano più corrugare la fronte e, pertanto, non avevano più lo sguardo corrucciato. Metà di loro ne trasse un beneficio a livello emotivo, provando meno tristezza e meno collera, ma…

effetto collaterale! I pazienti dei due medici, parvero aver perduto la loro competenza a comprendere le emozioni e i sentimenti altrui!

Se imito la tua espressione facciale, ti capisco di più

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Evolution of Neonatal Imitation. Gross L, PLoS Biology Vol. 4/9/2006, e311 doi:10.1371/journal.pbio.0040311

Le emozioni degli altri sono condivisibili anche grazie ad un processo di mimica che porta l’essere umano a emulare, spesso inconsapevolmente, l’espressione facciale degli interlocutori. Questo meccanismo consente di condividere emozioni e sentimenti e di provare empatia, aspetti importanti per un ‘animale sociale’.

Usare il corpo per stare bene

Con questo articolo, la nostra attenzione va al ruolo del corpo per il proprio benessere personale: sorridiamo abbastanza? Camminiamo con la schiena diritta? Quale espressione del volto è più frequente? Quale postura o movimento? I movimenti sono veloci o lenti? Quali fanno stare meglio?

Il BodyFeedback invita a esplorarsi e a scoprire quali movimenti vi possano aiutare a vivere meglio e a superare le difficoltà quotidiane.

Per saperne di più?

Scrivimi, senza impegno! fontanella.francesca@gmail.com

Dott.ssa Francesca Fontanellagirl-1733349_960_720

Riferimenti bibliografici essenziali

Darwin, C. (1872). The Expression of Emotion in Man and Animals.

Ekman, P. (1992). An Argument for Basic Emotions. Cognition and Emotion, 6/3,4, 169-200.

Wollmer M. et al. (2012). Facing Depression with Botulinum Toxin: A Randomzed Controlled Trial. Journal of Psychiatric Research, 46/5, 574-81.

 

 

CreAttività e Genio

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Archimede Pitagorico – Walt Disney

In questo articolo scomodiamo etimologie, Antichi Romani, Rinascimento e Illuminismo.

Cosa hanno a che fare con la creatività (CreAttività) e con il Genio?

Il Genio Creativo

Si narra che, per gli Antichi Romani, esistesse un ‘genius‘ che visitava coloro che si mettevano al lavoro per esprimere creativamente le loro idee. La persona occupata ad esprimere un’idea creattivamente era detta ‘avere un genio‘, aver ricevuto la visita del ‘genius‘.

In seguito, durante il Rinascimento e l’Illuminismo, le cose sono cambiate e si è cominciata ad usare una nuova espressione: non più ‘avere un genio’ , ma ‘essere un genio‘. Si è passati, cioè, dall’esternalizzazione all’internalizzazione.

Attraverso questo processo internalizzante si è potuta, ahimè, sviluppare una narrazione dominante per cui ho si è un genio, o no. Di conseguenza, o si è un genio creativo, o no.

Eppure, etimologicamente…
Se andiamo a curiosare nel dizionario etimologico, scopriamo che l’etimologia della parola ‘creare’è riferita alla radice sanscrita kar- (fare), alla radice zendo kere (fare) e al greco κραίνω (kraino,  fare, compiere, realizzare).
Secondo queste etimologie, ‘creare’ significa ‘fare’. Ne consegue che chiunque faccia qualcosa, crea; chiunque si impegni in un’attività, sta creando (creAttività).
Stop complaining and get working – E. Gilbert
Basta protestare, comincia a fare!
 Come si fa? 3 strategie
  1. Impegnati in attività che ti riescono meglio di altre:  Sai cucinare? Canti? Prepari un ottimo caffè? Come stiri tu non stira nessuno? Sai correre? Nuotare? Giochi a Risiko come nessuno mai? Dedicati, ogni giorno, alle tue attività preferite, quelle in cui riesci bene: concediti di sperimentare successi.
  2. Parla ad altri di come ti senti (oppure scrivine): provi gioia, rabbia, paura, ansia? Stanchezza, entusiasmo, delusione, curiosità? Raccontane ad una persona cara o, se preferisci, scrivine su un quaderno da tenere aggiornato.
  3. Prendi in prestito dagli altri le caratteristiche che ti piacciono: vorresti la determinazione del tuo amico? La vitalità della tua insegnante? La serietà del barista all’angolo? L’onestà di tuo padre? La dolcezza di tuo fratello? Il sorriso di nonna? … Che ne dici di prendere in prestito queste caratteristiche? Come cambierebbe la tua vita se lo facessi?

Dai spazio al tuo ‘genius’ cominciando a fare qualcosa per esprimere ciò che sei, al meglio.

Dott.ssa Francesca Fontanella

Thanks to Kate Lindley for sharing a video of E. Gilbert, (TED Talk, Your elusive creative genius).

L’albero che non dava frutti…

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Immagine pixabay.com/skeeze

C’era una volta un albero. Da che se ne aveva memoria, l’albero non aveva mai dato frutti. L’albero, di questo, soffriva. Vedeva altre piante produrre frutti grandi e piccoli, succosi o croccanti, talora con colori che scaldavano il cuore.

Lui, però, nemmeno uno piccolo piccolo. Era solito pensare a se stesso come ad un albero inutile: se non poteva dare frutti, bè, allora, era inutile!

La sensazione di inutilità non giovava all’albero che godeva sempre meno di quello che lo circondava, della luce del sole, dei cieli stellati, del ciclo della luna…non notava più gli uccellini tra i suoi rami, i funghi e il muschio che crescevano sulla base del tronco, non aveva fatto caso alla tana che uno scoiattolo aveva costruito in un buco della corteccia…scacciava in malo modo i bambini che coglievano le sue foglie e gli chiedevano un ramo da poter intagliare.

L’albero, tutto preso dal non poter dare frutti e ritenendosi per questo inutile, ancora oggi, non si accorge di essere uno spazio importante per gli uccellini, un riparo per lo scoiattolo, di poter offrire foglie e rami e dare gioia offrendoli.

La sua esistenza è utile e importante, ma lui non lo sa.

Dà amore, ma non lo sa.

Dedico questa storiella a chi, dimentico del suo valore, dimentica di dare valore alla sua vita.

Se ti riconosci nell’albero, da oggi, osserva le piccole e grandi cose che ti rendono importante, utile e di valore. Se non ti vengono in mente, chiedi ad una persona cara di aiutarti a notarle e a riconoscerle. Quelle, proprio quelle, sono i tuoi frutti.

Dott.ssa Francesca Fontanellaalbero_cuore_-skeeze

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