Vivere con il dolore cronico: 4 (+1) strategie

Una recentissima ricerca offre 4 (+1) strategie per ridurre il dolore cronico e i suoi effetti collaterali emotivi e relazionali.

Il dolore cronico è frequente: in Europa si stima l’incidenza del dolore cronico non oncologico al 22% della popolazione.

Cosa si intende per dolore cronico?

La IASP (International Association for the Study of Pain – 1986) definisce il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno.

E’ un esperienza individuale e soggettiva, a cui convergono sensoriali, esperenziali e affettive.

Il dolore cronico è duraturo, spesso determinato dal persistere dello stimolo dannoso e/o da fenomeni di automantenimento, che mantengono la stimolazione nocicettiva anche quanto la causa iniziale si è limitata. Si accompagna ad una importante componente emozionale e psicorelazionale e limita la performance fisica e sociale del paziente. E’ rappresentato soprattutto dal dolore che accompagna malattie ad andamento cronico (reumatiche, ossee, oncologiche, metaboliche..). E’ un dolore difficile da curare: richiede un approccio globale e frequentemente interventi terapeutici multidisciplinari, gestiti con elevato livello di competenza e specializzazione.

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=3769&area=curePalliativeTerapiaDolore&menu=terapia

Gli effetti psicologici del dolore cronico

Il dolore cronico può generare ansia, tristezza e depressione, diminuzione della fiducia in se stessi e calo dell’interesse nelle relazioni interpersonali.

Questo può avere ripercussioni in ambito familiare e lavorativo amplificando il disagio emotivo e, ahimè, anche il livello di dolore cronico!

Infatti, avendo il dolore una componente affettiva, una situazione di disagio emotivo può accentuare la percezione del dolore, aumentandone, di fatto, il livello.

Le strategie per vivere con il dolore cronico

Una recentissima ricerca – dettagli in bibliografia – di L. Phillips, ha esplorato le strategie di resistenza al dolore cronico, identificandone 4 tipi principali:

  1. Strategie di distrazione: svolgere attività di interesse che, distraendo, alleviano il dolore;
  2. Strategie di spostamento del focus: simili alle precedenti, con la differenza che la persona sposta volutamente l’attenzione su altro rispetto al dolore. Tra queste strategie potremmo annoverare la mindfulness e altre tecniche di rilassamento e immaginative;
  3. Strategie di indagine: esplorazioni delle cause del dolore e approfondimento delle soluzioni per ridurre il dolore;
  4. Ri-negoziazione relazionale: azioni volte a restituire equilibrio alle relazioni interpersonali, messe in discussione dal terzo incomodo del dolore cronico.

Ce n’è una quinta…

Phillips propone, anche, un’altra stategia. Ella ritiene utile porre, a chi soffre di dolore cronico e le chiede un aiuto terapeutico, la  questa domanda:

“Vuoi parlare del dolore o c’è qualcos’altro che ti preme di più?”

Phillips ha osservato che, quando le persone preferiscono parlare di altri temi (di altre difficoltà)  connessi e non al dolore cronico, si crea uno spazio terapeutico in cui sperimentano la possibilità di essere attive nella risoluzione delle difficoltà – con conseguente aumento dell’autostima positiva e del senso di autoefficacacia —

Inoltre, il tema di cui preme loro parlare, si rivela  premere – metaforicamente – anche sul dolore, accentuandolo. Talora, se ne rivela una delle cause. Parlare di altre questioni e difficoltà e trovare soluzioni, influenza positivamente anche la percezione del dolore, il cui livello diminuisce.

Cosa suggerisce questo studio?

Lo studio di Phillips offre due spunti di riflessione:

  1. L’importanza di trovare strategie personali in almeno una della categorie proposte;
  2. L’utilità di indirizzare le proprie energie a parlare di temi e questioni alternativi al dolore cronico.

Lo studio ci dice che, attraverso queste due modalità, è possibile ridurre il dolore, ridurne gli effetti collaterali psicologici e scoprirne cause inesplorate.

Soffri di dolore cronico e vuoi allenarti a ridurre il dolore?

Parliamone e cerchiamo le domande e le risposte più utili a te!

Fonti:

Phillips, L. (2017). A Narrative Therapy Approach to Dealing with Chronic Pain. The International Journal of Narrative Therapy and Community Work, 1, 21-30.

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=3769&area=curePalliativeTerapiaDolore&menu=terapia

L’ansia ha lo sguardo rapido: facci caso…

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Immagine pixabay.com/OpenClipart-Vectors

Il rientro dalle vacanze ha portato richieste di consulenza per questioni di ansia. Che abbiate già letto qualche articolo di questo blog o no, immagino abbiate avuto esperienza del fatto che “le ansie non sono tutte uguali“.

Esse variano per intensità e frequenza, per gli ambienti in cui si verificano e per tutta una serie di fattori variabili legati al contesto e alla fase di vita. Ne consegue che non esiste una regola, uno strumento, una pillola che va bene per tutti. Ogni storia porta con sé  caratteristiche uniche  di quel tipo d’ansia e, di seguito, soluzioni e strategie uniche per quel tipo d’ansia.

Qualche elemento in comune c’è!smiley-163510_960_720

Per regolare l’ansia (non va eliminata!), qualche trucchetto inziale, valido per molti, esiste. Ad esempio, uno strumento utile è la respirazione consapevole.

In questo articolo, di poche righe, vorrei portare la vostra attenzione su un altro comportamento corporeo spesso associato all’ansia: il movimento rapido degli occhi.

Fateci caso: quando provate ansia o qualcuno che conoscete la prova, gli occhi scansionano l’ambiente più rapidamente (spesso senza attenzione consapevole), muovendosi da un lato all’altro, dall’alto in basso e, qualche volta, costringendo a muovere la testa in modo parimenti rapido.

Questi movimenti rapidi, probabilmente evolutisi come strumento per vagliare l’ambiente e valutare i possibili pericoli, nella quotidianità hanno l’effetto, ahimè, di aumentare l’ansia!

Provate!

Attenzione! Svolgere l’esercizio da seduti!attention-1294600_960_720

NON svolgere la Versione Strong dell’esercizio in caso di pressione molto bassa, dolori cervicali, vertigini, gravidanza, alterazioni dello stato di salute.

Versione Light: Svolgete l’esercizio in posizione seduta. Muovete gli occhi rapidamente da un lato all’altro della stanza in cui vi trovate e dall’alto in basso. Fatelo il più rapidamente possibile, per 10-15 secondi.

Versione Strong: Svolgete l’esercizio in posizione seduta. Con gli occhi aperti, scuotete la testa rapidamente da un lato all’altro (come se diceste no). Fatelo per 10-15 secondi.

Dopo aver provato, potreste provare una sensazione sgradevole, di nausea, di stordimento; potrebbe girare la testa o essersi presentata una sensazione spiacevole al petto.

Per far rientrare questa sensazione potete chiudere gli occhi, abbassare il capo e respirare lentamente per qualche secondo.

La sensazione provata dopo i movimenti oculari e/o lo scuotimento del capo ha attivato il sistema vestibolare – che presiede l’equilibrio – e indotto l’organismo ad attivarsi per prevedere le conseguenze del cambiamento percettivo. Questa attivazione è una forma d’ansia, adattiva e utile per invitare l’organismo a riportarsi allo stato di equilibrio.

Tuttavia, cosa accade se il movimento rapido dello sguardo

si verifica per ore e, magari, giorni?

Può accadere che la persona si percepisca, costantemente, in ansia. L’ansia potrebbe indurre a ulteriori movimenti rapidi, acutizzando gli effetti d’ansia e creando un circolo vizioso.

Avete già intuito dove sta una soluzione?

Potreste provare a fare attenzione alla velocità dei vostri movimenti oculari e allenarvi a rallentarli. Svolgete questo esercizio ogni giorno, per una settimana; osservate se notate dei benefici, a livello fisico, nei momenti in cui muovete lo sguardo lentamente.

Ricordate: l’ansia ha lo sguardo rapido; voi, anche no! 🙂

 

Dott.ssa Francesca Fontanellaeyes-149670_960_720

Se vi fa piacere, potete condividere con me le vostre considerazioni rispetto a questo esercizio contattandomi all’indirizzo e-mail fontanella.francesca@gmail.com

Questo esercizio sarà descritto nell’E-book in uscita a fine autunno.

Le origini del mio Esercizio del Limone

Era il 1991 e frequentavo la seconda media. Lezione di narrativa, una delle mie preferite: si leggevano storie e si conoscevano nuovi libri, si poteva fantasticare, raccontare le proprie esperienze…la lezione di narrativa non era una lezione come le altre!baikal-1355436_960_720

Quel giorno, sul banco, avevo ‘Aurora sul Baikal’ di Sandra Frizzera. Da qualche settimana, in classe, a turno, ognuno leggeva un brano del libro e ormai cominciavamo ad affezionarci ai personaggi, tra cui Pavel e Wivjiana, una ragazza non vedente.

Proprio in quel giorno nacque in me la passione per le immagini e la multisensorialità, che mi accompagna nella vita e nella professione.

Se vi va, vorrei (ri)leggere con voi le parole che si scambiano Pavel e Wivjiana.

Nel brano, Pavel sta osservando con meraviglia un gioco di colori nel paesaggio e vorrebbe condividere la meraviglia e il piacere con Wivjiana, ma non sa come fare, perché la sua amica non vede…

E, allora, cosa fa?

-Hai un’idea di come sia il colore rosso?

– No, non riesco ad immaginare i colori.

-Capisco, più che logico… però… io dico che dobbiamo inventare qualcosa, un codice, dei punti di riferimento per riuscire a capirci. Io vorrei tanto che quando ti dico che un fiore è rosso, o azzurro, tu riuscissi a sentire…

-Volevi dire “vedere”?

-Insomma io vorrei tanto che tu riuscissi a farti un’idea. Vorrei che tu riuscissi a sapere come sono i colori. Wivjiana, stendi una mano, senti il calore del sole?

-Sì, certo che lo sento ed è anche molto piacevole.

-Ti fa pensare al caldo del fuoco?

-Sì.

-Allora tu riesci a collegare il caldo del sole con il caldo del fuoco ed entrambe le sensazioni sono piacevoli. Ti prego, segui il mio ragionamento, perché non è facile da spiegare… se tu, quando io ti parlo di una cosa rossa, pensassi al fuoco?

-Oh, Pavel… certo, certo è tutto chiaro: quando tu mi dirai che un fiore è rosso, che un vestito è rosso io penserò: rosso uguale calore, calore uguale fuoco, perciò è una cosa bella, piacevole.

-Brava, bravissima. Per ogni colore, i più importanti almeno, troveremo un punto di riferimento, un rumore…

-O un sapore.

-Giusto. Prendi questa e mangiala, poi dimmi.

-È una mora, una grossa mora matura. Mi piace.

-Wivj, quando io vorrò farti pensare ad una cosa di colore blu scuro ti dirò: è del colore-sapore delle more.

-Che cosa interessante hai inventato. Ma come ti è venuta, questa idea? Colore-sapore, colore-rumore, colore-sensazione. E il vento? di che colore è il vento?

-È del colore dell’acqua. Acqua, vento. Il vento arriva, ti accarezza o ti colpisce, lo senti, ma non lo puoi trattenere. Così l’acqua: la senti, è tanta, immergi le mani, ma quando le ritiri…

-Il vento, l’acqua, le carezze hanno colori-sensazioni. Pavel, hai inventato una cosa bellissima. Questo deve essere il nostro segreto, non ne parleremo con nessuno, vero? Gli altri non potrebbero capire!

[…]

-Quando senti il vento pensa all’acqua: l’acqua ha lo stesso colore del vento, il colore dei nontiscordardimé, il colore del cielo, al mattino presto o poco dopo il tramonto.

-E le stelle, Pavel, le stelle di che colore sono?

(Da Aurora sul Baikal, 1990)

Wivjiana sarebbe stata sorpresa, forse, nel vedere i miei occhi lucidi.

Pavel e Wivjiana insegnano a vivere il mondo sfruttando tutti i sensi: apprezzando forme e colori, odori e sapori, consistenze, temperatura, suoni…

Insegnano, anche, ad usare l’immaginazione per arricchire la propria percezione del mondo e ad allenare il cervello a costruire rappresentazioni multisensoriali della realtà. Questo allenamento sembra avere ripercussioni favorevoli sulla memoria, l’attenzione, la concentrazione, l’apprendimento, il tono dell’umore, lo stress, i disturbi psicosomatici.

Ecco un esercizio per allenarsi: l’Esercizio del Limone

Chiudete gli occhi e immaginate un limone.

Immaginatene la forma, la buccia porosa, il colore giallo acceso o maculato di verde… immaginate di toccarlo e sentirne le irregolarità della superficie… Immaginate di annusarlo e di sentire il profumo della buccia… di tagliarlo in due e odorarne il profumo della polpa… immaginate di metterlo in bocca e percepirne il sapore acidulo, la consistenza… mentre state creando questa immagine sensoriale così ricca, vi sentite rilassati e curiosi verso la vita… ora associate all’immagine un suono, una musica, una canzone, che ritenete si adatti bene alla vostra unica e personale rappresentazione del limone… restate per un minuto con il vostro limone e le sensazioni che vi procura, concedetevi di mettere insieme ed integrare tutte le percezioni che avete associato al limone. Quando siete pronti, fate due respiri profondi e aprite gli occhi.

Terminato l’esercizio, provate a rispondere a queste domande:

  • Che sensazione avete provato? Che sensazione provate ora?
  • Il limone, dopo questo esercizio, vi sembra diverso dal limone che conoscevate? Se sì, in cosa?
  • Il limone vi piace?
  • Quale suono/musica/canzone avete associato? Che tipo di emozione e sensazione associate a questo suono/musica/canzone?
  • Cosa vi ha donato questo esercizio?
  • In che modo potreste usare questo esercizio nella vostra vita?

Questo esercizio è stato creato da me tre anni fa, sulla scia degli esercizi di immaginazione guidata e di alcuni esercizi di mindfulness e coniugando le conoscenze in neuroscienze (acquisite durante la mia formazione universitaria) e il ricordo della conversazione tra Pavel e Wivjiana. Nel tempo è stato arricchito da nuove conoscenze e si è sfoltito di alcune parti.

Trattandosi di uno strumento in divenire, mi farebbe piacere conoscere le vostre impressioni e, se vi va, le vostre risposte alle domande: sarebbe un contributo prezioso!

Potete farlo qui, su facebook, oppure scrivendomi una mail all’indirizzo fontanella.francesca@gmail.com o un messaggio (SMS o WhatsApp) al numero 345 3741840.

Nota ai professionisti: se l’esercizio vi piace, potete utilizzarlo liberamente e apportare le modifiche che ritenete opportune. Vi chiedo la disponibilità a citarne la fonte, per colleganza e fair play.

Dott.ssa Francesca Fontanellalemon-1269979_960_720

 

Riferimenti Bibliografici

Bandler, R. & Grinder, J. (1980). La metamorfosi terapeutica; principi di Programmazione Neurolinguistica. Astrolabio, Roma.

Frizzera, S. (1990). Aurora sul Baikal. Salani narrativa distribuzione Le Monnier. Cap. 5, pp. 45-47.

Giusti, E. (2007). Le tecniche immaginative. Il teatro interiore nelle relazioni d’aiuto. Collana di Edoardo Giusti.

Kabat Zinn, J. (2006). Coming to our senses: Healing ourselves and the world through Mindfulness. Hacette Books.

Kjaer T.W. et al. (2002 Apr). Increased dopamine tone during meditaztion-induced chiange of consciousness. Brain Res Cogn Brain Res; 13(2), 255-9.

Wagstaff G.F., (2004 Oct). Facilitating memory with hypnosis, focused meditation, and eye closure. Int J Clin Exp Hypn, 52(4), 434-55.

Imparare a surfare pensieri ed emozioni

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Immagine pixabay.com/Prawny

Non è possibile controllare il mare ed impedire che ci siano le onde. Si può, tuttavia, imparare a surfare sulle onde. Questo è uno degli obiettivi degli esercizi di rilassamento e mindfulness.

Alla base di questa riflessione vi è l’assunto che emozioni e pensieri sono fenomeni limitati nel tempo – con durata limitata – e capaci di mutare forma, come nuvole nel cielo. Essi raggiungono rapidamente un picco di intensità, per poi scemare.

Surfare il pensiero o l’emozione significa notarne la presenza, restare presenti e consapevoli dell’onda di pensiero (o emotiva) e lasciarla scemare.

Senza cercare di fermarla – fermare un onda non è possibile… Anche creando un ostacolo per bloccarla, essa ha un impatto, a volte forte, sull’ostacolo e poi continua ad essere un’onda.

Senza essere travolti dall’onda – il surfista, con la tavola, cavalca l’onda.

A cosa serve surfare?

Ad osservare le onde, ad essere consapevoli dei propri pensieri ed emozioni appena si manifestano e ad avere una possibilità di scelta rispetto al  comportamento da agire. Surfando, è meno probabile che veniate trascinati dalle vostre emozioni o da quelle altrui.

Va detto che è possibile non si riesca sempre a surfare e che, in alcune occasioni, ci si ritrovi travolti dall’onda oppure che si faccia di tutto per scacciarlaVa bene così, capita. Può capitare anche più volte in uno stesso periodo di vita. Quel che conta è ricordare che si tratta di onde, che vanno e vengono, scemano, possono cambiare di intensità.

Imparare a surfare

Per prima cosa, un bravo surfista, osserva le onde.

Concedersi una pausa per osservare la situazione crea una sorta di cuscinetto tra l’emozione – o il pensiero – e l’azione, che permette di non agire innescando il pilota automatico.

Mica facile!

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Immagine pixabay.com

No, surfare, non è uno sport facile e richiede adattamento: le onde sono quelle che sono e hanno la loro ampiezza e il loro ritmo; a volte sono frequenti, a volte sporadiche.

Un aiuto al ‘surfista delle emozioni‘ e dei pensieri viene dal respiro consapevole, un primo step per avvicinarsi al rilassamento e alla mindfulness.

Un altro aiuto può essere, per le prime volte, non surfare e, a posteriori, trascrivere l’accaduto, i pensieri, le emozioni e i comportamenti.

In questo esercizio, lo scopo è cominciare a riconoscere se vi siano emozioni o pensieri ricorrenti, quando arrivano e come influenzano il proprio comportamento.

L’esercizio

Prendete un foglio di carta e dividetelo in 4 colonne che compilerete a fatto avvenuto:

  • Prima colonna: cosa è successo?
  • Seconda colonna: cosa ho pensato?
  • Terza colonna: che sensazione ho provato?
  • Quarta colonna: come potrebbe chiamarsi questa emozione?

Monitorate per qualche giorno quello che accade e appuntate gli eventi significativi, piacevoli o spiacevoli, compilando tutte le colonne del foglio per ogni evento. Cercate di elencare e descrivere almeno 6 eventi.

Poi chiedetevi:

  • Ci sono pensieri che si ripetono?
  • Quale sensazione è più frequente?
  • Quale emozione è più frequente?
  • Gli eventi accaduti hanno qualcosa in comune tra loro?

A questo punto avrete una nuova prospettiva dei vostri comportamenti, saprete riconoscere l’emozione e il pensiero sul nascere e potrete cominciare ad allenarvi a surfare. people-1316402_960_720

Cosa ne dite? Avete già voglia di provare a surfare?

Dott.ssa Francesca Fontanella