Cosa hai fatto di buono oggi?

La domanda della sera aiuta a liberare dopamina e serotonina e, ora, anche a scoprire qualcosa di nuovo.

Di buono, di bello, di piacevole – scegli tu – … cosa hai fatto oggi?

La domanda della sera

cosa hai fatto di buono oggi _la domanda della sera

Molti approcci psicologici -e non- suggeriscono di porsi questa domanda, la sera.

Cosa ho fatto di buono oggi?

L’obiettivo è portare l’attenzione su qualcosa di positivo della propria giornata per liberare dopamina e serotonina, due neurotrasmettitori che hanno a che fare con soddisfazione, piacere, gratifica, obiettivi raggiunti, sensazione di avere valore.

Alcuni suggeriscono di tenere sul comodino un quaderno su cui scrivere alcune righe per ricordare e, in qualche modo, celebrare, l’evento positivo o meglio riuscito della giornata.

Un’idea in più

La domanda della sera può essere usata anche per scoprire qualcosa in più rispetto alle proprie risorse e competenze e rispetto ai valori che guidano la propria vita.

Ho idea che le cose si imparino meglio facendole quindi, per mostrarti questo utilizzo della domanda della sera, ti propongo un esercizio. Puoi farlo anche se la giornata di oggi non è stata un granché o se ti pare di non aver combinato nulla di buono (bello, piacevole…).

L’esercizio

fai una prova

Primo passo

Ripercorri con il pensiero la tua giornata e identifica un momento in cui hai detto o fatto qualcosa che ti sembra ben detto o ben fatto.

Esempi:

  • Ti sei ricordato/a di dire a un familiare di passare a fare la spesa e prendere il dentifricio;
  • Hai saputo finire la relazione in tempo per la riunione;
  • Hai fatto una flessione in più di ieri;
  • Hai preparato una torta favolosa;
  • Hai chiacchierato 10 minuti con la vicina di casa;
  • Hai letto due pagine di quel libro che vorresti finire;

Come vedi, il menu è variegato: puoi trovare qualsiasi tipo di evento durante la giornata che ti faccia dire “Ok, bene!”

Il trucchetto è non avere pretese e sapersi premiare per ciò che si è fatto.

Secondo passo

Nota cosa ti è stato di aiuto per fare o dire quello che hai fatto o detto.

Esempi:

  • Contesto, ambiente
  • Persone presenti o non presenti
  • Clima
  • Tempo a disposizione
  • Stato di salute

Terzo passo

Chiediti qual è stato il tuo contributo, ossia quali competenze e caratteristiche ti sono servite per farcela.

Esempi:

  • Pazienza
  • Coraggio
  • Capacità di leggere in fretta
  • Concentrazione

Quarto passo

Chiudi in bellezza con una domanda- proposito:

Come posso usare queste informazioni per vivere al meglio la giornata di domani o quella situazione difficile che mi aspetta?

A quel punto non ti resta che applicare!

Hai provato l’esercizio e vuoi condividere le tue riflessioni?

Hai provato l’esercizio e vuoi saperne di più?

In entrambi casi, puoi scrivere a fontanella.francesca@gmail.com

oppure puoi usare il modulo di contatto:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come dare conforto e supporto a una persona cara

Quando una persona cara soffre, si desidera darle conforto e supporto. Come fare affinché il supporto sia utile e efficace per chi lo riceve? Un suggerimento da Tristezza.

Quando una persona cara soffre, si desidera darle conforto e supporto. Come fare affinché il supporto sia utile e efficace per chi lo riceve?

Usato a casaccio, serve a zero!

Date un’occhiata a questo pezzo del film Disney Inside-Out. Gioia tenta in diversi modi di rassicurare il suo amico Bing Bong, ma non ci riesce. A riuscire è Tristezza che, a contrario di Gioia, si sofferma sul dispiacere e sulla sofferenza.

 

La conseguenza dell’aiuto offerto da Tristezza è che l’amico si sente capito e ascoltato, piange e accoglie la sua sofferenza, condividendola con Tristezza e, a un tratto, sentendosi meglio.

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Il comportamento di Tristezza può dare tre informazioni pratiche utili:

  1. Restare con l’emozione dell’altro
  2. Valorizzare l’emozione dell’altro
  3. Arricchire la storia dell’emozione dell’altro

Restare con l’emozione dell’altro

Bing Bong è triste, pertanto, l’emozione che meglio si addice  a fargli compagnia è Tristezza. Si può dare conforto a una persona triste, accettando la tristezza che prova e riflettendola, mostrando di capirla. Fare come Gioia, qui, non dà i risultati sperati.

Valorizzare l’emozione dell’altro

Tristezza non si limita a stare accanto a Bing Bong facendogli da specchio: riconosce il suo dolore, lo convalida, lo autorizza. L’autorizzazione a provare emozioni è importante: ognuno può imparare a concedersela, riconoscendo la legittimità delle proprie risposte emotive; talora è utile riceverla dagli altri. Tristezza legittima la tristezza di Bing Bong, che ha la libertà di esprimerla.

Arricchire la storia dell’emozione dell’altro

Tristezza fa qualcosa di speciale: chiede a Bing Bong di ricordare un momento bello passato con il suo carro. Il ricordo si fa struggente e nostalgico e arricchisce la storia dell’emozione che sta provando Bing Bong.

Ora egli prova tristezza, nostalgia, struggimento, commozione e ricorda le emozioni piacevoli dei momenti passati insieme al suo carro. Sente di aver contribuito alla vita del carro come il carro ha contribuito alla vita di Bing Bong e questo funge da spinta vitale per sfogarsi e poi alzarsi e ricominciare.

In situazioni di difficoltà e, in particolare, in caso di lutto, questi 3 passaggi rappresentati da Tristezza danno una mappa per orientarsi e per offrire conforto e supporto in modo utile.

Ti è capitato di dare o ricevere un tipo di supporto che è servito poco e non capire perché? Tristezza, in questa scena, potrebbe averti dato un perché!

 

 

 

 

Cosa ho portato con me dalle mie vacanze…

Quest’anno, al rientro dalle vacanze, mi porto a casa tra fotografie, prodotti tipici e ricordi, l’incontro con un artista e con il suo tempo.

Martedì 4 luglio sono rientrata dalle vacanze. Splendida settimana di relax, bei luoghi e buon cibo e, come mi è solito, tanta curiosità nel vedere persone nuove e scoprire abitudini nuove.

[Immagine di copertina tratta da italiamagazineonline.it]

Tra ricordi, fotografie e souvenirs gastronomici…

Quando torno dalle vacanze mi porto a casa fotografie, buoni prodotti tipici da godere al rientro e tanti ricordi. Mi porto a casa, spesso, anche qualche spunto di riflessione, frequentemente suscitatomi dall’osservazione degli altri.

Lo spunto di riflessione di quest’anno…

Il tempo. Il tempo da dare e il tempo da ricevere. Il tempo vissuto e quello che scappa. Il tempo che non passa mai e quello che, ops, è già passato?

Il tempo in cui si incontra la vita e il tempo in cui si incontra la morte. Sarà che recentemente questo tema mi è stato riproposto  altre 3 volte.

#Volta 1

Un collega, durante un’esercitazione pratica, dice:

Dalla vita, lo sai, si dice che non se ne esca vivi…

#Volta 2

Rileggendo uno dei miei clinici preferiti, Irvin Yalom, incontro la frase:il dono della terapia

Eppure esistono molte buone ragioni per cui affrontare  [il tema de] la morte nel corso della terapia. In primo luogo è un ‘esplorazione profonda e esaustiva del corso e del significato della vita.

Da “Il dono della terapia”

#Volta 3

Ho condiviso con due care persone il seguente passaggio tratto da un libro di Jostein Gaarder: La ragazza delle arance.la ragazza delle arance

Dissi:”Immagina di trovarti sulla soglia di questa favola, in un momento imprecisato di miliardi di anni fa, quando tutto fu creato. Avevi la possibilità di scegliere se un giorno avresti voluto nascere e vivere su questo pianeta. Non avresti saputo quando saresti vissuto e non avresti saputo neppure per quanto tempo saresti potuto rimanere qui, ma non si trattava comunque che più di qualche anno. Avresti solo saputo che, se avessi scelto di venire al mondo un giorno, quando i tempi fossero stati maturi, come si dice, allora un giorno avresti anche dovuto staccarti da esso e lasciare tutto dietro di te. Forse questo ti avrebbe ferito violentemente, poiché molte persone pensano che la vita sia così meravigliosa che vengono le lacrime agli occhi al solo pensiero che un giorno debba finire. Può essere tutto così bello qui, che fa un male terribile pensare che prima o poi non ci saranno più altri giorni da vivere.”

[…]
Te lo chiedo di nuovo. Cosa avresti scelto? Avresti scelto di vivere per un breve
momento sulla terra, per poi, dopo pochi anni, venire strappato da tutto quanto e non
tornare mai più? Avresti rifiutato? Hai solo queste due alternative. Perché queste sono
le regole. Se scegli di vivere, scegli anche di morire. Ma ora promettimi che ti prenderai
il tempo necessario per riflettere bene prima di rispondere.

[…]
Devo essere onesto con te, Georg. Io stesso avrei rifiutato l’offerta di una visita
panoramica fulminea della grande favola[..]. Lo ammetto. E se la pensi come me, mi
sento in colpa per quanto ho contribuito a mettere in moto. Mi sono lasciato sedurre
dalla Ragazza delle arance, mi sono lasciato tentare dall’amore, mi sono lasciato
adescare dall’idea di avere un bambino. Ora arrivano la rabbia e il bisogno di
conciliazione. Ho fatto qualcosa di sbagliato? penso. La domanda pesa come un
cruento conflitto all’interno della propria coscienza. Poi arriva anche il bisogno di fare
ordine dentro di sé. […] Ma, Georg, se tu ora rispondi che nonostante tutto avresti
scelto di vivere, anche se solo per un breve momento, allora in fondo io non ho il diritto
di desiderare di non essere nato. Così si arriva almeno a un pareggio, cosi i fattori si
possono annullare.”

#Volta 4, in vacanza

Ho incontrato un artista – che non cito per questioni di privacy – che ha saputo mostrare a me e al mio compagno, la disponibilità a vivere il tempo e stare nel tempo, per quello che dura.

Ci ha dedicato tempo, sa usare il tempo, gode del tempo, sta in silenzio nel tempo, per ogni cosa ci vuole il suo tempo, il tempo finisce, il tempo dura quel che dura…

Mica una novità!

Eppure non lo avevo mai visto fare con tanta naturalezza. Lo ho già visto ostentare, lo ho sentito narrare, ho visto lo sforzo di riuscirvi, ma non avevo mai visto farlo così, semplicemente: stare nel tempo e basta, come fosse un carissimo amico con cui si può sorseggiare un aperitivo in silenzio.

E quando finirà, finirà!

I progetti di vita che mi stimola questo incontro

Ho usato la parola progetti, che fa tanto “grande obiettivo”, in realtà… i progetti a cui mi riferisco, sono piccole azioni. Perché una scala si sale a gradini.

Ecco alcuni gradini:

  • Scrivere un nuovo libro
  • Ascoltare suoni e rumori
  • Sorridere quando cade un bicchiere e va in frantumi
  • Cucire nuove tende per la mia casa
  • Cucinare piatti con pochi ingredienti
  • Qualche volta, fare una videochiamata con whatsapp anzichè mandare un messaggio vocale
  • Scattare una fotografia anche se viene brutta
  • Ogni giorno, chiedere a chi mi è caro e chiedermi come posso rendere migliore la giornata

Ho cominciato subito, appena rientrata dalle vacanze e, sì, sto continuando! 🙂

Anche tu hai imparato qualcosa durante le vacanze? Se ti va, condividilo qui sotto! Può essere utile ad altri!

 

 

 

 

 

La risposta è dentro di te?

Domande e risposte, uno sketch di qualche anno fa, un esperimento vintage e un’idea personale.

Chissà quanti anni hai… io ne ho 37, anche se sono del 1979. Compio gli anni in novembre e amo godermi tutto l’anno senza anticipare i conti. Se sei molto più giovane di me potresti non conoscere Quèlo. Lui è quello che diceva: “La risposta è dentro di te. Epperò, è sbagliata!“.

La risposta è dentro di te?

Si è soliti usare una metafora secondo la quale le risposte sono dentro le persone. Penso che, come tutte le metafore, anche questa sia una possibile descrizione di ciò che si vuole rappresentare.

Il senso è più o meno: non cercare chissà dove le risposte ai tuoi problemi perché, alla fin fine, la risposta ce l’hai tu.

In effetti, chi mai potrebbe avere le risposte e la capacità di rispondere (respons-abilità) per la propria vita se non la persona stessa?

Io, ‘sta risposta, non la trovo!

Questo commento lo ricevo, più o meno, una volta al giorno! Qualche volta me lo dico pure io stessa: ‘sta risposta, non la trovo!

Le risposte arrivano se ci sono le domande.

Una persona correva per le strade gridando:

“Ho le risposte! Ho le risposte! Chi ha una domanda?”

Storia Ebraica

Le domande, per dare risposte utili, debbono essere parimenti utili. Il compito della domanda è suscitare una risposta: più la domanda è volta a stimolare una risposta utile, più sarà importante porla.

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Dove origina la risposta

La risposta è data da un’elaborazione da parte dell’organismo degli stimoli che riceve nel presente, dalle esperienze già fatte e dalle aspettative rispetto al futuro. In questo senso, la produzione della risposta è interiore: cervello e altri componenti del sistema nervoso cooperano per produrre una risposta: verbale, emotiva, d’azione…

La risposta, per la stessa ragione – ossia perché dipende dall’elaborazione di stimoli -, potrebbe essere definita esteriore.

Ti racconto di un esperimento del 1931, condotto da Norman Meier.

Quanti  modi riesci a immaginare per legare due funi?

Meier appese due lunghe funi al soffitto di una stanza. La stanza era piena di oggetti, mobili, attrezzi e arnesi e le corde erano posizionate in modo che, tenendo l’estremità di una corda, non si riuscisse ad afferrare l’altra.

A chi entrava nella stanza era chiesto:

Quanti modi riesci a immaginare per legare le estremità delle funi?

Le soluzioni possibili, per questo compito, sono quattro:

  1. Tirare una fune verso l’altra, ancorarla a un oggetto e poi andare a prendere la seconda fune;
  2. Ricorrere a una terza fune da legare a una delle due per farla diventare più lunga e permettere a chi la afferra di raggiungere anche l’altra fune;
  3. Afferrare una fune con una mano e con l’altra usare un arnese (ad esempio un bastone) per tirare a sé l’altra fune;
  4. ?

La soluzione 4 consiste in: far oscillare una fune verso l’altra per avvicinarle e riuscire ad afferrarle.

Questa soluzione venne in mente solo ad alcuni partecipanti all’esperimento, inizialmente. Poi…

Il gesto “casuale”

Meier introdusse una variabile. Lasciò le persone riflettere per alcuni minuti e poi, senza dire nulla, si spostò muovendosi verso la finestra e, “casualmente“, sfiorò l’estremità di una fune facendola dondolare.

Accadde che quasi tutti a quel punto seppero identificare l’oscillazione come quarta soluzione possibile.

Faccenda curiosa, nessuno seppe riferire al gesto appena visto la propria risposta: tutti si trovarono a dare narrazioni della loro risposta legate a esperienze e conoscenze passate e a previsioni sul moto fisico delle funi in oscillazione.

La soluzione n.4 pare quindi emergere dall’elaborazione sensoriale dello stimolo presente + ricordi (passato) + capacità di prevedere (futuro).

La risposta è dentro il tempo?

Ecco la mia curiosità: la risposta – che dipende dalle domande – è dentro il tempo?

Più faccio questo lavoro, più vivo la mia vita personale e più penso che la risposta alle  domande sia dentro il tempo e si crei nell’intreccio di passato, presente e futuro…

… E più penso che dipenda dalla qualità delle domande che mi pongo.

D. Epston

Riferimenti bibliografici:

Maier, N.R.F. (1931). Reasoning in Humans: The Solution of a Problem and Its Appearance in Consciousness. Journal of Comparative Psychology, 12, 181-194.

Psico-Recensione: Famiglia all’improvviso

Una breve recensione di un film al cinema in queste settimane: Famiglia all’improvviso.

Sabato sera ho visto un film, al cinema: Famiglia all’improvviso, del regista parigino Hugo Gélin. Ho pensato di farne una psico-recensione, sperando di stare alla larga da antipatici effetti spoiler!

Recensisco perché…

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Ho scelto di fare una psico-recensione a questo film per 3 motivi:

  1. Offre una rappresentazione della vita come spazio-tempo ricco di emozioni
  2. Descrive un modo bello – per me – di fare il genitore
  3. Ammette la possibilità che i lieti fine non siano lieti fine e che un finale non lieto possa portare con sé anche una parte lieta (un discorso così bello intrecciato non ve lo ho mai fatto vero?)

Probabilmente finirò con l’intingere questo articolo in una colata di melassa. Non è il mio stile, ma ogni tanto ci sta che ci si lasci andare ai sentimentalismi! 😉

Spazio-tempo emotivo (come se non ci fosse un domani)

Sin dall’inizio del film ci si trova in un tourbillon emotivo: stupore, sdegno, gioia, euforia, paura, rabbia, tristezza, dolore, senso di ingiustizia, senso di impotenza, gratitudine…

I personaggi della storia e gli spettatori vivono la legittimità di provare emozioni diverse, anche “contrastanti” e di farne buon uso per concedersi una vita piena.

Rapidamente le scene passano da un’emozione all’altra e raccontano, ad esempio, l’esperienza di usare la rabbia per reagire al dolore e di usare la tenerezza per affrontare la paura.

Si narra anche di rese e di riscatti, di amore e di coraggio, di sacrificio e sensi di colpa. Un mix di tutto rispetto che fa onore a ciò che accade nella vita.

Un genitore che dona vita

Il genitore che si incontra con questo film è un genitore vivace, disponibile, creativo, generoso, apparentemente poco apprensivo, eppure attento – attentissimo -.

Sa prendersi cura, sa essere disimpegnato; sa essere ardentemente impegnato; sa mentire per amore; sa usare la sincerità per amore.

Mi piace vedere questo modello di genitorialità perché porta con sé vitalità che, a ben vedere, è un altro modo di donare la vita.

Lieto fine, finale non lieto, chissà!

Qui sono in allarme spoiler quindi dico solo che, quando è finito il film non mi era chiaro quante emozioni stessi provando e così è capitato a chi era con me.

Non so quale parola userete voi per riassumere la trama del film: io scelgo Vita.

Istruzioni non incluse.

[Per chi ha già visto il film, penso potrebbe essere utile collegare la conclusione  a questo articolo oppure a questo.]

 

Storie di lacrime: il racconto sorprendente di una bambina

Una bambina racconta cosa ne pensa delle lacrime: ne esce una storia sorprendente!

Le lacrime hanno una storia!

Così esordisce una bambina e inizia a raccontare quello che ora intitolo:

“Storie di Lacrime”

Le lacrime sono una cosa intima e ci si vergogna a mostrarle alla gente. Ma non è stato sempre così!

Nella storia dell’evoluzione abbiamo perso la possibilità di leccare le lacrime. Gli animali, quando esce una lacrima, la leccano. Tutti dicono che lo fanno per il sale, ma lo fanno per assaggiare la lacrima e capire di quale emozione è!

Così si comunica come ci si sente e le cose si fanno più facili.

Gli uomini invece nascondono le emozioni e se piangono sono casi rari!

Mio fratello è piccolo e quando piange non si capisce perché: basterebbe assaggiare la lacrima!

La tristezza non ha lo stesso sapore di quando si è arrabbiati! E esistono le lacrime di gioia…

Non dico che io ora assaggerei le lacrime degli altri però abbiamo un altro modo: ci sono delle persone speciali, nel mondo, che sanno assaggiare le lacrime degli altri senza assaggiarle davvero.

Sono quelli che ti lasciano piangere senza dire: “Non piangere!” Sono davvero interessati alle lacrime e, magari, ti chiedono perché piangi. Quello è assaggiare le lacrime.

Quando una lacrima esce è come se fosse una parola trasparente.

Ti faccio un esempio: se qualcuno mi tratta male e piango, quelle lacrime dicono parole. “Triste”, “Dispiacere”, “Non è giusto!”, “Pace”… però queste parole non si sentono e non si leggono e per questo non si capiscono subito. Però puoi chiedere a chi piange quali parole gli stanno uscendo dagli occhi e cambia tutto.

Ho scoperto questa cosa qui da te e la ho provata fuori. Fa smettere di litigare e fa voler bene. Funziona con tutti eccetto con mio fratello che non parla ancora. Ma parlerà.

I miei occhi nel frattempo si fanno lucidi e penso a queste lacrime trattenute, divenute intime per l’evoluzione – come suggerisce questa bambina sensibile e brillante – e che portano parole trasparenti…

Credo dicano “Grazie…”.

 

 

Cambiare un ricordo di una ventina di anni fa…

Un ricordo di vent’anni fa, per curiosare nella mia vita e tirarne fuori una sopresa.

Capita così, sono sul divano e sto cancellando con una gomma una scritta a matita sull’agenda. Lo faccio con cura, in una sola direzione, per non rischiare di strappare la pagina e arriva il ricordo, di una ventina di anni fa…

Quando arriva una richiesta che fa sentire speciali

Torniamo indietro di questa ventina d’anni, quindi. Mi vedo con i capelli un poco crespi, occhiali di metallo e un abbigliamento casual(e) – molto casual(e).

Al termine di un compito di latino, quando avevo finito e guardavo il vuoto aspettando esausta lo scadere del tempo, il professore richiamò la mia attenzione:

Franceschina [abitudine del professore chiamarci con i diminutivi, non prendetevela con me!], vieni un attimo da me per favore. Ho un compito da darti.

Certo, arrivo! [Mi dava un non so che di prestigioso questa richiesta inattesa e forte era la curiosità del compito che immaginavo parimenti prestigioso e nobilitante agli occhi degli altri]

Quando la richiesta suscita delusione

Avvicinatami alla cattedra, il professore estrasse dalla sua borsa un tomo spesso, ben rilegato. Lo aprì e mi mostrò la filigrana, i caratteri greci ben stampati, accarezzando le pagine. Non posso dirvi di aver apprezzato, ma posso dire che capivo che il professore apprezzava.

Ora ti mostro quale compito desidero tu svolga per me.

Sussurrò il professore.

Penso che questo sussurro abbia contribuito al fraintendimento e a farmi pensare vi fosse qualcosa di segreto e particolarmente esclusivo nel compito che stavo per affrontare.

Il professore prese una gomma nuova di zecca da un astuccio e mi disse:

Allora Franceschina… la gomma è perfettamente bianca, quindi dovrebbe facilitarti le cose. Purtroppo ho fatto delle sottolineature a matita in questo libro che non merita questo trattamento.

Ti chiedo questo: sfoglia le pagine, una a una con delicatezza – la vedi la filigrana! – e dove vi sono segni a matita cancellali.

Un’accortezza: quando cancelli, fai il movimento solo in una direzione altrimenti rischi di stropicciare o strappare la carta e… la vedi che filigrana è!

Tieni, prova!

Mi passò la gomma e io, diligentemente sebbene presa da una specie di imbarazzo, mostrai di saper cancellare muovendo il polso in una sola direzione.

Soddisfatto, il professore mi diede il suo tomone – immenso -, la gomma e io andai al mio posto.

Qualcuno rise, qualcuno simpatizzò con me per il compito “ingrato”.

Dal canto mio, ahimè, pensai di valere poco e di essere buona solo per cancellare qualche segno da un libro.

Vent’anni dopo…

Vent’anni dopo, mentre cancello, sulla mia agenda, una scritta in matita, ricordo l’episodio che, a dirla tutta, ora mi sembra raccontare una storia diversa.

  1. So cancellare senza rovinare una pagina
  2. Per farlo serve un certo livello di cura, pazienza
  3. Farlo su un tomo richiede ancora più pazienza
  4. Farlo su un tomo prezioso richiede ancora più cura
  5. Il professore si fidò di me

A guardare bene, il ricordo cambia!

E così, a distanza di vent’anni, riconosco nell’adolescente con gli occhiali di metallo e il look casual(e), alcune caratteristiche che mi accompagnano tutt’ora, anche nel mio lavoro: cura, pazienza, affidabilità.

Alla fine, quello, è un bel ricordo!

Hai un ricordo da raccontare?

Scrivilo qui sotto oppure puoi raccontarmene la storia per mail: fontanella.francesca@gmail.com