(Psico) Intervista a un musicista che ha imparato a sognare in grande: Niccolò Sovilla

Una nuova (Psico) Intervista: musica, canzoni e psicologia si incontrano e aiutano a realizzare sogni!

È arrivato il momento di una nuova (Psico) Intervista! L’ospite di oggi è musicista e cantante: vi presento Niccolò Sovilla

Musica, canzoni e songtherapy

La musica – e le canzoni in particolar modo – mi sono utili nel lavoro di psicologa per conoscere e esplorare i mondi individuali e scovare lì, nella nota e nel testo, narrazioni alternative di problemi e difficoltà e soluzioni inedite, inaspettate, in cui vibra la sorpresa.

Lo strumento d’eccellenza, in questo senso, è la songtherapy, la terapia con le canzoni.

Qualche mese ho intervistato uno scrittore per fare onore allo storytelling – un altro strumento di lavoro che trovo creativo e potenziante -; oggi, per fare onore all’utilizzo di musica e canzoni in terapia, intervisto un musicista e cantante, Niccolò Sovilla.

Lo psico-intervisto, naturalmente: questi ospiti speciali non li lascio andare senza che abbiano raccontato qualcosa di sé! 😊

Quando la cover è una signora-cover!

Dream a Big Dream_Niccolò_Sovilla

Niccolò ha pubblicato a dicembre 2016 un album di covers totalmente riarrangiate e reinterpretate con eleganza, originalità, calore e rispetto per i pezzi originali. Ascoltando i brani si respirano l’amore per la musica e il coraggio di raccontarla a modo proprio.

L’album si intitola Dream a Big Dream e potete ascoltarlo su SoundCloud e su YouTube.

I sogni meritano di essere ascoltati!

Nel frattempo, conosciamo Niccolò!

La (Psico) Intervista

Ciao Niccolò, grazie per aver accolto il mio invito alla (Psico) Intervista! Ti va di raccontare qual è per te la funzione della musica?

Secondo me la musica ha funzioni infinite, come l’arte in generale. Partendo dal presupposto che l’arte è completamente soggettiva, queste funzioni possono essere di puro intrattenimento, di espressione personale o di un gruppo di persone, possono essere politiche, spirituali, e così via.

Nella musica coesistono sempre due funzioni: quella che dà chi la fa e quella che dà chi l’ascolta.

Per quel che mi riguarda, la musica che faccio ha lo scopo di intrattenere. Al momento suono in due gruppi: sono il pianista ed una delle voci de LesMagots, sestetto swing, e canto e suono l’ukulele e il banjo nel gruppo The Riverboys, quartetto country e rock’n’roll. Capita spesso che dopo un concerto qualcuno del pubblico venga a dirmi che si è commosso grazie alla nostra musica… questa è la funzione che la musica ha avuto per quella persona.

La musica che ascolto, poi, ha lo scopo di emozionarmi, creare delle immagini nella mia mente, comunicarmi qualcosa. La musica che ascolto dev’essere sempre un po’ malinconica, anche se spesso sono io stesso che le do questa interpretazione.

Quali canzoni metteresti nella tua Carta d’Identità Musicale?

Domanda difficilissima, e non sono certo di dare una risposta che varrà anche per il futuro. Al momento, i brani che mi vengono in mente sono questi:

Leaving on a Jet Plane, scritta da John Denver nel 1966. Da anni la canzone che amo ascoltare e reinterpretare: malinconica, ha rispecchiato il mio stato d’animo in più occasioni.

Your Song, famosa ballata del 1970 di Elton John (con le parole di Bernie Taupin). È una delle prime canzoni che ho cantato accompagnandomi al pianoforte, uno dei miei “cavalli di battaglia”, una bellissima canzone d’amore… e d’amicizia, secondo me.

It’s a little bit funny this feeling inside, I’m not one of those who can easely hide, I don’t have much money but boy, If I did, I’d buy a big house where we both could live.

Ci sono alcune parti del testo di Piano Man di Billy Joel che adoro, perché evocano delle immagini estremamente realistiche, ritraendo sentimenti semplici, piuttosto comuni, quel tipo di descrizioni che adoro anche nella letteratura (Carver, Salinger…):

There’s an old man sitting next to me / Makin’ love to his tonic and gin (un vecchio uomo sta facendo l’amore con il suo gin tonic… e poi si girerà e dirà al pianista di suonargli un brano della sua giovinezza, che sapeva a memoria “quando indossava gli abiti di un uomo più giovane”).

Ci sono degli uomini d’affari che stanno bevendo qualcosa: Yes, they’re sharing a drink they call loneliness / But it’s better than drinkin’ alone (“Stanno condividendo un drink che chiamano solitudine / ma è meglio che bere da soli”).

Non è una canzone, ma la Pastorale di Beethoven è una musica che mi trasporta, se così si può dire, e mi fa sentire vivo. Quando l’ascolto mi sento proprio come dovevano sentirsi gli artisti del romanticismo: questa tensione positiva e al contempo struggente verso un qualcosa di imprecisato

C’è una canzone che ha segnato un cambiamento nella tua vita?

Nessuna canzone, finora, è stata così importante nella mia vita. Ci sono stati brani, album e gruppi musicali che hanno fatto da colonna sonora ad alcuni passaggi della mia vita, e ne cito alcuni.

L’album “Jazz” dei Queen ha segnato il mio ingresso nel mondo della musica non classica verso la fine della prima media. Ecco, questo lo considero un passaggio importante!

Fino a quel momento avevo ascoltato solamente Beethoven, Bizet, Mozart (all’infinito… soprattutto Le nozze di Figaro, che ormai conoscevo a memoria), Offenbach, Tchaikovsky e così via. Grazie a quell’album, uno dei mille vinili dei miei genitori, ho iniziato ad ascoltare il rock ed il pop, e da lì sarebbero poi nate la passione per i Beatles, i Creedence Clearwater Revival, i Bad Company

Cosa ti ha insegnato questo passaggio, questo momento di vita?

Se non fosse capitato questo passaggio, probabilmente non avrei mai iniziato a suonare e cantare dal vivo (è stato sognando di essere come Freddie Mercury che mi è venuta la voglia di cantare – e alla fine, di Freddie Mercury, ho solamente i baffi).

E poi, più avanti, sono arrivati Buddy Holly e Don McLean, entrambi un’infinita fonte di ispirazione, ancora adesso tra i miei preferiti. Buddy Holly, in soli tre anni di attività (è morto a 22 anni), ha dato un contributo incredibile alla storia della musica, influenzando ed ispirando tutti: dai Beatles a Bob Dylan, dai Rolling Stones a Eric Clapton.

Questi momenti e questi artisti mi hanno insegnato a sognare. [NdR: mica male, dato che il titolo dell’album di Niccolò è Dream a Big Dream – Sogna un Grande Sogno]

C’è qualcuno con cui vorresti condividere questo insegnamento?

Almeno per ora, ho soltanto da imparare, figuriamoci se posso pensare di insegnare qualcosa! Mi giustifico dicendo che… ho solo ventun anni! Sono piuttosto certo che un giorno arriverà una canzone che mi cambierà la vita, che mi insegnerà qualcosa, e che vorrò trasmettere questo insegnamento a qualcuno.

Hai la possibilità di fare una dedica speciale: a chi dedicheresti  il tuo album Dream a Big Dream?

Il musicista grazie al quale mi sono avvicinato allo swing è John Pizzarelli, chitarrista e cantante jazz statunitense. Da subito mi è piaciuto il timbro della sua voce, poi ho avuto l’onore di conoscerlo e di essere suo ospite ad un paio di concerti al Blue Note di Milano ed al Ronnie Scott’s Jazz Club di Londra. Una persona piacevolissima con cui chiacchierare e scherzare.

Quindi è grazie a lui ed al suo quartetto che ho voluto registrare Dream a Big Dream, ed è a lui che vorrei dedicare l’album.

Ancora una domanda Niccolò! Nel tuo album hai tre ruoli importanti: vocals, piano e ukulele… ti senti più vocals, piano o ukulele?

Il pianoforte è il primo strumento che ho imparato a suonare, la voce il secondo, l’ukulele il terzo, e poi mi piace strimpellare il banjo.

L’ukulele è il mio grande amore, non so il perché, in parte potrebbe essere una questione di trasporto (portare avanti e indietro la tastiera è più faticoso…).

Perciò, mi sento più ukulele, uno strumento allegro e portatore di felicità e serenità (…in netto contrasto con la malinconia delle canzoni che interpreto!).

Ciao Niccolò, grazie per questa condivisione così delicata. Mi ricorda i pezzi che interpreti. Mi ricorda, anche, la delicatezza che offrono le canzoni – e la musica – come strumento psicologico: fanno danzare i pensieri e fanno risuonare le emozioni, lievemente, aprendo spazio alle riflessioni, a nuove consapevolezze e alla realizzazione di sogni.

Ti è piaciuta questa intervista?

Puoi conoscere meglio Niccolò Sovilla nella sua pagina facebook

Puoi conoscere se la songtherapy fa per te scrivendo a fontanella.francesca@gmail.com

Il labirinto emotivo del lutto: trovare nuove direzioni dopo la perdita di una persona cara

Dopo un lutto, recente o passato, ci si può trovare in un labirinto emotivo. Un delicato sostegno psicologico e attività mirate per trovare la propria direzione.

Vivere l’esperienza di perdita di una persona cara è uno degli eventi di vita che più coinvolge la salute psico-fisica di chi si trova a convivere con l’accaduto, a prenderne atto e a cercare di darsi opportunità per continuare la propria vita.

Non è facile per gli adulti, non è facile per i bambini.

Un labirinto emotivo

Il labirinto emotivo del lutto

Dopo la perdita, le persone riferiscono di non riuscire a capire bene cosa provino: talora rabbia, talora tristezza, talora dolore e disperazione.

Qualcuno riferisce sensi di colpa – per cose non fatte e parole non dette – , sconcerto per la perdita, senso di ingiustizia.

Oppure ansia e paura che possa capitare un altro lutto, rassegnazione e perdita della voglia di vivere.

Frequente è anche la sensazione di non provare alcuna emozione.

Queste emozioni e sensazioni si intrecciano tra loro, vanno e vengono creando confusione e disorientamento, come in un labirinto.

Percorsi e direzioni diversi

Per trovare l’uscita dal labirinto e, quindi, mettere ordine tra pensieri e emozioni e riuscire a riprendere a vivere nonostante la perdita, non c’è un percorso unico, ma incroci e biforcazioni in cui ognuno può scegliere la direzione da prendere e il percorso più in linea con i suoi valori e le sue caratteristiche.

Un passaggio utile è restituire – a chi resta – il legame con la persona cara affinché possa essere una guida nelle scelte di vita e un punto di riferimento, sebbene su un piano diverso da quello fisico. Questo passaggio può richiedere il sostegno di uno psicologo, in particolare per i familiari stretti e per i bambini.

Ti può interessare anche: Il Lutto: legami continui e relazioni che restano

Fotografie, Storie, Canzoni, Ricordi e un Gioco Psicologico

Ho imparato ad accogliere professionalmente il lutto attraverso attività che permettono di ricordare e restituire consistenza alla relazione e al legame con la persona cara.

Guardando qua e là in questo blog, potete trovare articoli e appunti che descrivono gli strumenti che utilizzo di più:

Recentemente, nella cornice teorica della Terapia Narrativa, ho scelto di utilizzare un Gioco Psicologico che, attraverso un’attività strutturata – sebbene flessibile -, integra tutto quanto sopra in modo creativo e delicato.

Per i bambini

Il labirinto emotivo del lutto 2

I bambini possono reagire al lutto in molti modi: possono mostrare tranquillità e indifferenza, possono mostrare il dolore con comportamenti di chiusura e/o aggressività, possono avere un calo del rendimento scolastico, un calo dell’appetito, faticare a dormire o riprendere abitudini di quando erano più piccoli.

Tutti questi comportamenti nascondono una sofferenza intensa che merita attenzione.

Non lasciare che i bimbi elaborino il lutto senza un sostegno professionale!

La morte, per chi sta iniziando a vivere  – come un bambino – , appare come qualcosa che non ha senso.

Se ti va, accompagnalo in questo percorso: sarà utile anche a te.

Per gli adulti

L’adulto, dopo un lutto, a volte riprende in fretta le sue attività, in particolare se ha un lavoro, una famiglia …

In altre occasioni capita che la persona resti aggrappata al dolore per tenere vicina la persona cara:  il dolore diventa un mezzo per non perderla del tutto.

Il labirinto emotivo si fa così più intricato con ripercussioni sullo stato di salute psicologico e fisico. Qualche volta evidenti nel lungo termine.

Si può alleggerire il dolore per dare spazio a ciò che, della persona cara, resta in chi le è sopravvissuto, valorizzare il legame, celebrarlo nelle proprie giornate e andare avanti tutelando il proprio stato di salute.

Quando cercare la direzione nel labirinto emotivo

Elenco, qui, alcune situazioni di lutto in cui puoi considerare di cercare la direzione per uscire dal labirinto emotivo:

  • Perdita recente di una persona cara
  • Perdita di una persona cara, tempo fa, che ha lasciato una ferita che non rimargina
  • Interruzione di gravidanza spontanea e/o indotta
  • Situazione di malattia terminale in famiglia
  • Perdita di un animale domestico

Puoi venire da solo/a o con chi vuoi tu

Parlo per me anche se penso che diversi colleghi appoggino questa riflessione.

Puoi venire da sola/o per aiutarti in questa situazione di lutto. Puoi, anche, venire con chi vuoi tu: sei e siete benvenuti!

Ti ringrazio per la condivisione!

Se sei arrivato/a a leggere fino a qui, forse hai trovato questo articolo utile: fallo leggere a chi sta vivendo un lutto e aiutalo a cercare la direzione per uscire dal labirinto emotivo.

Dal canto mio, ti ringrazio, sin d’ora.

Riferimenti Bibliografici:

Giusti E., Milone A. Terapia del Lutto. La cura delle perdite significative 2015, Sovera.

Hogan N.S., DeSantis L. (1992). Adolescent sibling bereavement: An ongoing attachment Qualitative Health Research 2(2):159-177.

Pesci, S. (2017). The Grief Maze Game. Edizioni Scientifiche Isfar.

Schützenberg A.A., Jeufroy E.B. Uscire dal lutto. Superare la propria tristezza e imparare di nuovo a vivere 2014, Di Renzo Editore.

Silverman P.R., Nickman S.L. & Worden J.W. (1992). Detachment revisited: The child’s reconstruction of a dead parent American Journal of Orthopsychiatry 62(4):494-503.

 

Psicologia quotidiana: come fare bene la pausa caffè

Una psico-idea per fare bene le tue pause e riprendere le attività con energia e entusiasmo.

Molti lettori mi hanno chiesto di dedicare spazio alla quotidianità. Ho pensato alla pausa caffè: che tu beva il caffè, un tè o mangi uno yogurt, con questo articolo desidero aiutarti a fare bene le tue pause.

Cosa non ti dirò

Non ti dirò di allontanarti da pc e cellulare, di impegnarti in una conversazione distraente, di fare due passi.

La ragione per cui non dirò queste cose è che: un supporto informatico potrebbe esserti utile; le conversazioni non possono essere distraenti a comando; è possibile che tu non possa assentarti dal lavoro qualche minuto per sgranchire le gambe.

Qui ci tengo a darti un’idea per una pausa caffè accessibile e diversa, che ti faccia stare bene e recuperare energie, davvero.

Materiale occorrente

  • Smartphone o altro supporto portatile (+ cuffie)
  • Caffè, tè o altra bevanda/cibo
  • Un bicchiere d’acqua
  • Te stesso/a

Ora facciamo le prove generali, quindi procurati il necessario: hai tutto?

Pausa caffè: ciak, si prova

pausa-caffe

#Scena 1: Ora della pausa. Come ti ha trattato questa parte della giornata? Hai bisogno di rilassarti, di ridere, di muoverti?

Concentrati bene, la prima risposta che ti viene è quella giusta.

Mentre ci pensi, prendi il caffè, il tè o quello che sei solito prendere e non consumarlo, aspetta. Ti sei risposta/o?

#Scena 2: Mettiamo che tu ti sia detto/a che hai bisogno di muoverti. Prendi lo Smartphone e scegli una canzone che ti faccia pensare al movimento. Io, oggi, ti propongo questa, di Sam Cooke:

#Scena 3: Mentre ascolti questo brano, sorseggia il tuò caffè (o quant’altro tu abbia scelto per la tua pausa) e concentrati sulle belle sensazioni che ti offrono, insieme, la musica e il sapore, l’aroma, il calore… respira lentamente e goditi l’atmosfera di positività.

#Scena 4: Quandò sarà finita la canzone, consolida queste sensazioni con un rituale utile: bevi un bicchiere d’acqua e immagina di bere, insieme all’acqua, tutta la positività appena evocata, in un gesto di idratazione del tono dell’umore, dell’entusiamo e della motivazione a fare.

Hai appena goduto di 5 minuti di positività!

Stai pensando che ti sembrano pochi?

Pensa che di solito ti dici che non hai tempo per la pausa caffè! Che 5 minuti sono molti da ritagliare!

Ebbene, se sei riuscito/a a trovare questi 5 minuti tutti per te, ti sei appena fatto un dono prezioso. Il tuo organismo ringrazia.

[Ti può interessare anche Un bar, un latte macchiato e Morricone]

Fai diventare virale la tua pausa caffè

Condividi la tua esperienza con i colleghi e i familiari, fai provare anche a loro questo tipo di pausa caffè!

E, se ti va, fammi sapere quali canzoni preferisci per la tua pausa!

Scrivimi a: fontanella.francesca@gmail.com

Un lutto in famiglia:il ruolo positivo della musica

Un nuovo articolo pubblicato ne Lo Psicologo del Rock

Un lutto in famiglia: il ruolo positivo della musica

La storia di una famiglia in lutto che utilizza la musica per raccontare le sue emozioni e ricominciare a vivere.

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Il Lutto: legami continui e relazioni che restano

Re-Membering e Club di Vita: ruoli, connessioni, relazioni

Ricordi da narrare, storie da ricordare

Coppia, intimità e canzoni terapeutiche

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Come anticipato qualche giorno fa, ecco il mio articolo su Lo Psicologo del Rock che racconta di coppia, intimità e musica!

Come migliorare l’intimità di coppia grazie alla Songtherapy

Sebbene l’immagine mostri una coppia uomo-donna… l’articolo è per tutte le coppie! 🙂

Buona lettura!

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Il Bastone e la Carota -Relazione di coppia, Prima Puntata

Nutri la Giraffa che c’è in te! Relazione di Coppia, Seconda Puntata

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Profumo di mandorla…Relazione di coppia, quarta e ultima puntata

5 Canzoni ‘Terapeutiche’ per una Donna che Mangiava Troppa Cioccolata

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Vi racconto di Fiona, del suo giorno libero e delle abbuffate.

Vi racconto di come, grazie alle canzoni,

ha costruito una soluzione personale e ha iniziato a creare energia positiva!

Siete curiosi di leggere questo mio articolo?

Lo trovate nel blog de ‘Lo Psicologo del Rock’, con il quale collaboro! Cliccate qui per leggere l’articolo 🙂

 

 

SongTherapy silente, coinvolgente

songtherapy-silente

Da qualche mese, ho integrato nel mio lavoro la SongTherapy. Si tratta di una disciplina che pone le radici nella musicoterapia e nell’utilizzo della musica per produrre benessere e cambiamenti e aggiunge qualcosa in più.

Tante possibilità

La SongTherapy lavora con il suono e con le parole, con la musica e il testo. Puoi scegliere i brani che senti più rappresentativi della tua situazione attuale e di quella desiderata, oppure puoi proporre il brano che ti dà energia, motivazione, che rappresenta la tristezza che provi, la rabbia, la gioia… Puoi scegliere un inno personale, un inno per la tua storia d’amore; puoi cambiare le parole alle canzoni o dedicare un brano ad altri.

E tanto altro ancora. Di fatto, non c’è limite di utilizzo e si può dare spazio alla creatività.

Qualche settimana fa, è uscito un mio articolo sul blog de Lo Psicologo del Rock, che descrive alcuni utilizzi di questo strumento nella pratica clinica. Puoi leggerlo cliccando qui.

PS. Prossimamente, sullo stesso blog, ci sarà un nuovo mio articolo che racconta di SongTherapy e abbuffate.

Auto-aiuto o strumento professionale?

La SongTherapy è entrambe le cose. Puoi usare la musica per aiutarti a vivere meglio oppure puoi appoggiarti ad un professionista che la pratichi e inserirla in un percorso terapeutico.

Music is my therapy.

Ad esempio, quale canzone sceglieresti per questo specifico momento? Proprio questo, in cui stai leggendo. Che genere è? Quali movimenti ti fa fare? Quali emozioni e pensieri ti evoca?

Musica da guardare

Qualche giorno fa, una cliente mi ha chiesto se la SongTherapy possa essere usata anche da persone non udenti: certo che sì!

Esistono brani tradotti in lingua dei segni e una persona non udente che desideri avviare un percorso  terapeutico che coinvolga la musica può utilizzare questi brani. Il ritmo e le parole sono percepite attraverso la gestualità e offrono lo stesso tipo di spunti di riflessione di un brano ascoltato.

Eccone un coinvolgente esempio.

Musica che vibra

In alcuni casi, può essere più accessibile o preferita, una modalità di ‘ascolto’ dei brani attraverso le vibrazioni prodotte dalla musica. Esistono specifiche applicazioni (ad esempio Vibetunes) che traducono i brani in vibrazioni, consentendone una rappresentazione alternativa.

Cosa significa per te?

Il terapeuta è attivamente coinvolto nell’ ascolto del brano, sia esso udito oppure rappresentato in modo nuovo. Il cliente porta la narrazione di ciò che, quel brano, significa per lui. Non è importante come lo si ascolti: è importante che rappresenti qualcosa che il cliente desidera raccontare.

Ci interessano i significati, i pensieri, le emozioni, le sensazioni fisiche, le storie che la persona associa al brano per dare il via a nuove riflessioni e, se il cliente lo vorrà, a cambiamenti positivi.

Questo è il principio base della SongTherapy e della SongTherapy silente.

Dott.ssa Francesca Fontanellasongtherapy-silente

Una canzone… “d’Oro!”

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Ogni anno, da tradizione, in questo mese va in onda Lo Zecchino d’Oro e bambini con senso del ritmo e dolci voci cantano i brani prodotti da autori eccellenti.

La musiche, vivaci o malinconiche, ninnananne o scatenate, sono accompagnate da testi che meritano di essere ascoltati.

I pipistrelli con il punto di vista strambo che invitano a cambiare punto di vista, il principe fannullone che ciondola qua e là e non vuole responsabilità, la ranocchia coraggiosa che parte all’avventura senza essersi preparata abbastanza…

Ascoltando brani più indietro nel tempo, ascoltiamo la storia di matite colorate che sono fatine pronte a colorare il tuo mondo, di una polenta per recuperare le tradizioni antiche e il piacere della compagnia delle persone care…

Tra queste canzoni, oggi vi propongo “Prendi un’emozione“di L.Saccol: ascoltiamola insieme per poi darle un’occhiata attraverso la psicologia e la Terapia Narrativa.

Attraverso le lenti della psicologia e della Terapia Narrativa

Passo 1: riconoscere che l’emozione si sente nel corpo.

Certe volte il viso cambia colore ed il cuore prende velocità,
Nella pancia c’è qualcosa di strano, non è fame, ma chissà che sarà.

Le emozioni hanno manifestazioni a livello fisico: alterazioni fisiologiche (battito cardiaco, pressione sanguigna, ritmo respiratorio, sudorazione, bocca secca…) e qualche volta possono dare origine a somatizzazioni (colon irritabile, cefalea, disturbi dermatologici, dolori muscolari e articolari…).

Può essere utile impararea a riconoscere e distinguere le proprie emozioni attraverso le loro manifestazioni corporee. Le tecniche di rilassamento e di focalizzazione hanno la funzione di avvicinarci alla risposta corporea che accompagna le emozioni e ad aiutarci a gestirla nel suo picco e nei suoi strascichi.

Passo 2: riconoscere che  l’emozione non sei tu e tu non sei l’emozione

Prendi un’emozione, chiamala per nome, trova il suo colore e che suono fa.

Questo processo, in Terapia Narrativa, si chiama ‘esternalizzazione‘. Esso consiste nel dare una aspetto e un’identità concrete all’emozione considerandole qualcosa di distinto da se stessi. L’esternalizzazione serve a ricordare alla persona di avere un’identità a se stante, non dipendente dall’emozione: l’emozione è solo uno degli eventi che le stanno capitando e può scegliere se e come utilizzarla per vivere meglio.

Passo 2: accogliere l’emozione

Prendila per mano, seguila pian piano, senti come nasce, guarda dove va. Prendi un’emozione e non mandarla via.

Una delle più frequenti difficoltà nella gestione delle emozioni è determinata dall’abitudine a sedare, scacciare, mettere da parte ciò che si sta provando. Apparentemente utile, questa abitudine ha una serie di effetti collaterali: ad esempio può comprimere l’emozione – con il rischio che si manifesti in seguito di intensità maggiore -; può convincerci che non siamo autorizzati a provare certe emozioni; può produrre somatizzazioni, stanchezza, spreco di energie; può lentamente annullare la capacità di sentire le emozioni.

Passo 3: condividi le esperienze emotive e raccontane la storia

Puoi spiegarla a chi non la sa e tutta la tua vita vedrai un’emozione sarà.

Alcune emozioni sono considerate tabù. Possiamo, ad esempio, aver incontrato già nell’infanzia suggerimenti del tipo: “Non ti arrabiare!”, “Non prendertela!”, “Non serve essere tristi per queste cose!”, “Non mostrarti troppo compiaciuto!”…

Tutti questi non mostrare le emozioni possono creare alcuni fraintendimenti:

  • Convinzione che le emozioni siano una cosa del tutto intima e che non vadano condivise. Tuttavia, le emozioni sono uno strumento sociale importante: le relazioni, ad esempio, ne sono intrise.
  • Convinzione di essere gli unici a provare alcuni tipi di emozione, con conseguente ulteriore riserbo rispetto a ciò che si prova e, talora, senso di inadeguatezza. Tuttavia, le emozioni sono un patrimonio biologico comune a tutti gli esseri umani e la differenza tra una persona e l’altra risiede nell’intensità emotiva e nel modo di manifestare l’emozione -dipendenti, anche, da fenomeni culturali-
  • Convinzione che sarebbe bello se alcune emozioni non ci fossero. Tuttavia, sarebbe un bel guaio! Proprio in virtù del loro retaggio biologico, esse hanno sempre un ruolo e un significato (se ti interessa saperne di più, puoi leggere i 5 articoli L’ABC delle Emozioni. Qui il primo della serie.).
Come puoi iniziare a conoscere le emozioni che provi
orientarsi
  1. Per prima cosa, la prossima volta che provi un’emozione, dalle un nome! Se riesci a identificare il nome di un’emozione, tanto meglio; se, invece, ti viene un nome di fantasia – che so, Buio profondo, Fifa blu, Elettricità… – va bene lo stesso.
  2. In secondo luogo, chiediti cosa vorrebbe tu facessi, cosa ti sta comunicando: accogli il messaggio e concedi all’emozione di esistere.
  3. In terzo luogo, parlane e racconta di questa emozione a chi ti è caro oppure scrivine o rappresentala con un disegno o una canzone: condividila e falle onore!

 

Per conoscere meglio il tuo mondo emotivo, hai tante possibilità: io te ne offro una! Dai mela-doroun’occhiata alla sezione Pacchetti del menù, curiosa nella sezione Curiosità e, se ti va contattami all’indirizzo fontanella.francesca@gmail.com.

Dott.ssa Francesca Fontanella

 

Un’esperienza coinvolgente: vi racconto com’è andato il workshop di StoryTelling del 27 ottobre!

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Mi capita sempre così: sono affascinata da ciò che le persone sanno raccontare di se stesse. E resto lì, a bocca aperta, emozionata, elettrizzata, curiosa, di fronte alle loro riflessioni, parole e suggestioni.

È capitato anche giovedì 27 ottobre, al workshop di StoryTelling che si è tenuto presso Légein – Trento.

Un’incontro durato poco più di due ore, che ha coinvolto 6 partecipanti.

Ho scelto un ambiente informale, creando, nella sala Eftrapelia, uno spazio a terra con tappetini e cuscini, fogli, penne, pennarelli colorati.

Presentazioni come una trama narrativa
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Dopo il racconto di un aneddoto della mia infanzia che ha introdotto la mia passione per le storie prima e per lo StoryTelling professionale poi, ogni partecipante si è presentato attraverso il gioco del gomitolo con il quale abbiamo creato una trama narrativa, una connessione tra i membri del gruppo.

Ogni partecipante si è descritto attraverso il suo nome, la sua attività, il personaggio preferito, le aspettative rispetto al workshop.

Nel vivo della narrazione

Ogni partecipante ha ricevuto un foglio con una storia workshop_la-storia, che abbiamo letto insieme seguendo i movimenti e le parole dei protagonisti e la loro interazione. Ci siamo soffermati sulla possibilità che Blu, il personaggio che brontola, possa accettare o no l’invito che gli viene rivolto, notando che, per produrre un cambiamento, è necessario fare qualcosa di diverso dal solito.

Se fai ciò che hai sempre fatto, otterrai ciò che hai sempre ottenuto. (A. Robbins)

Partecipare al workshop… è stato qualcosa di diverso dal solito! I partecipanti si sono dati un’opportunità di cambiamento!

Per ‘sentire’ la storia, servono le domande ‘giuste’

Girando il foglio della storia, i partecipanti hanno trovato una serie di domande – molte domande per un solo workshop! L’obiettivo è stato mostrare più sfaccettature dello StoryTelling -.

Accompagnati dalle musiche di Ennio Morricone, tutti hanno risposto, in autonomia, alle domande proposte. Ogni domanda guidava all’esplorazione della storia e alle implicazioni pratiche ed emotive nella propria vita.

 

Una storia va condivisa!

I partecipanti al workshop hanno condiviso tra loro una parte delle riflessioni maturate rispondendo alle domande.

La condivisione è stata libera, lasciando ad ognuno la possibilità di intervenire solo rispetto a ciò che desiderava condividere. Un partecipante ha preferito tenere per sè le sue riflessioni, ad esempio, concentrandosi sulle suggestioni portate dagli altri.

Le riflessioni sono state arricchite da brani e suoni che i membri del gruppo hanno scelto per celebrare il momento:

Le parole chiave

Al termine dell’incontro, le parole chiave sono state:

  • Sorpresa
  • Condivisione
  • Confronto
  • Riflessione
  • Ricordo
  • Consapevolezza

Lo StoryTelling ha piacevolmente sorpreso i partecipanti, dando loro la possibilità di scoprire qualcosa di utile di sé senza raccontarsi in prima persona. Il valore della narrazione e della metafora è stato colto in pieno, creando un’atmosfera carica di emozioni.

Seduta ad ascoltare i loro racconti, mi hanno attraversata sensazioni di calore e l’emozione di quando accade qualcosa di speciale.

Ci vediamo al prossimo incontro!st2

Ringraziando chi ha partecipato al workshop, invito tutti ai prossimi incontri del Club dello StoryTelling.

Per i nuovi partecipanti, il primo incontro è gratuito.

Per chi c’è stato giovedì, l’iscrizione prevede un pacchetto di 4 incontri (rinnovabili), al costo di 50 euro.

Gli incontri avranno cadenza mensile, il giovedì, dalle 20:00 ale 21:30.

Prossimo incontro, giovedì 10 novembre 2016. Necessaria prenotazione.

Per partecipare? Scrivete a fontanella.francesca@gmail.com oppure a eventi.tn@legein.it!

Vi aspetto, per raccontarci in modo nuovo!colored-pencils-1761449_960_720

Dott.ssa Francesca Fontanella

 

 

Come un uomo ha ricominciato a credere in se stesso: un albero, una storia-canzone e una sbirciatina al cielo azzurro

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Neil (nome di fantasia), è un uomo di 40 anni che non trova più stimoli nella sua vita: le vecchie passioni lo annoiano, le amicizie si sono allontanate e, mi dice: “Non ho uno straccio di relazione damore!”. Trascorre gran parte del suo tempo libero in casa, giocando con il computer e guardando la televisione.

“È una vita ridicola per un uomo giovane! Capisco che va fatto qualcosa, ma non so cosa! Non mi piace niente!”

Proprio niente?

Neil sta bene con se stesso durante le sue lunghe passeggiate nei boschi, l’unica attività che lo ha accompagnato in tutta la vita, sin da bambino, senza stancarlo. Osserva la natura e apprezza la serenità che gli trasmettono gli alberi:

“che stanno fermi e nessuno chiede loro niente! Vorrei essere un albero!”

Siamo partiti da qui. Abbiamo dedicato tre incontri alla creazione del suo “Albero della Vita” usando pennarelli colorati e pezzi di stoffa: l’albero diveniva via via più rigoglioso e Neil cominciò ad aggiungervi dettagli – fiori, frutti, un uccellino, farfalle …-. Secondo il modello della pratica narrativa, l’albero è stato impreziosita da contenuti importanti nella vita di Neil: le  origini, le attività preferite, le persone significative, i valori, i desideri…

“È un albero vitale!”

Neil trova la canzone giusta

Neil associa all’albero una canzone che gli ricorda la sua situazione di vita e sceglie Favola, di Eros Ramazzotti.

 

Neil riflette su queste parole del testo:

“[…] fu per scelta sua che si fermò, e stava lì a guardare la terra partorire fiori nuovi.”

“[…] Ho tutto il tempo per me, non ho più bisogno di nessuno”

Neil non vuole fermarsi a guardare il mondo e gli altri ‘partorire fiori nuovi’, vuole concedersi di agire e ricominciare a vivere. Ritiene, inoltre, di avere bisogno della compagnia di altri e di desiderare uscite con gli amici e la possibilità di conoscere persone nuove.

Neil coglie un suggerimento, anzi, due!

L’ascolto della canzone, offre  a Neil un duplice suggerimento, più o meno a questo punto:

“[…] ma un giorno passarono di lì due occhi di fanciulla, due occhi che avevano rubato al cielo un po’ della sua vernice. E sentì tremar la sua radice.”

Suggerimento 1 :L’azzurro

Suggerimento 2: L’amore

Neil comincia a lanciare più spesso sguardi verso l’azzurro del cielo -il suo colore preferito da sempre- acquista una maglietta turchese, organizza una gita al lago con vecchi amici, vuole conoscere nuove persone e trovare l’amore.

Il giro di boa

A metà estate, Neil si iscrive ad un corso di vela:

“Desidero l’aria sul viso, essere circondato dall’azzurro, sentire il sole sulla pelle.”

Neil ha ricominciato a vivere e a frequentare persone, tra cui diverse nuove conoscenze. Da qualche settimana, frequenta una ragazza, dagli occhi azzurri.

“Mi sento bene ed ora voglio vivere. Avevo paura: sono passato dalla paura di vivere alla gioia di vivere!”

Puoi fare anche tu un percorso simile! Hai mai pensato di concedertelo?

Dott.ssa Francesca Fontanellauomo_felice