Se tu fossi in prima pagina… [Un esercizio di scrittura terapeutica]

Un esercizio terapeutico di scrittura: 10 minuti di cura di sé.

La scrittura ha funzione terapeutica. Molti sono gli esercizi ideati per valorizzarne questa funzione e molti altri se ne possono ideare. Conosci quello che si chiama: “Se tu fossi in prima pagina…“?

Iniziare l’esercizio

Carta e penna

Attrezzati con carta e penna. Andrà bene anche un pc, un tablet o altro con cui tu possa scrivere comodamente.

Immagina di avere davanti un giornale o una rivista, una qualsiasi, del genere che preferisci immaginare.

In prima pagina – in copertina, negli articoli di apertura, vedi tu… – c’è un articolo che racconta di te.

Per cosa ti piacerebbe ti venisse dedicato un articolo?

Per qualcosa che hai fatto? Per qualcosa che hai detto? Per qualcosa che hai fatto o detto in passato o che hai fatto e detto ieri? O che stai facendo e dicendo ora?

Per il tuo aspetto? Per un’esperienza vissuta? Per il modo in cui sai fare qualcosa?

Oppure vorresti che l’articolo raccontasse di qualcosa che non hai fatto e non hai detto? Per qualcosa che non hai provato?

Lascia spazio alla fantasia!

Regola essenziale: non pórti regole  e scrivi quello che ti pare!

Fare l’esercizio

Ora è il momento di fare. Di scrivere.

Comincia a scrivere la notizia del giornale o della rivista.

Eccoti qualche esempio di incipit, per aiutarti a iniziare:

Eccezionale risultato culinario per X!

Ancora non ci si può credere: X  ha saputo rispondere a Y nonostante il batticuore!

Strana impresa sportiva che rovescia il punto di vista di X sulle sue capacità atletiche!

Stanotte niente pipì a letto per X!

Dieci anni fa, X ha saputo prendere una decisione che le/gli ha cambiato la vita!

Come vedi, le possibilità sono infinite e dipendono solo dalla tua esperienza di vita.

Ti lascio qualche minuto per scrivere. Di solito, si predilige dare un tempo preciso, per evitare di perdersi nella scrittura. Puoi sempre aggiungere dettagli e scriverne un romanzo in un secondo momento. Per ora concediti, diciamo, 10 minuti!

Cosa trarre dall’esercizio

scoperta

Fatto? 🙂 Com’è stato scrivere? Com’è rileggere ciò che hai scritto?

Con un esercizio come questo puoi fare davvero tante cose, da un punto di vista tecnico. Qui te ne propongo alcune, sotto forma di domande.

  • Prova a dare un nome alle sensazioni e alle emozioni che provi, sia che ti piacciano, sia che non ti piacciano. Appuntati il nome che hai dato loro: che cosa, di ciò che hai scritto, suscita quelle sensazioni e emozioni?
  • A chi vorresti far leggere questa notizia? Cosa direbbe? Cosa farebbe?
  • Se la notizia passasse in un servizio televisivo o radiofonico, quale colonna sonora vi abbinerebbero? Perché?
  • Leggendo la notizia, che insegnamento potrebbe trarne un bambino? E un adulto?

A cosa può servire questo esercizio

Dal punto di vista della Terapia Narrativa, qualsiasi pensiero, emozione, sensazione tu ne abbia tratto è utile e può darti informazioni per costruire la vita a modo tuo, realizzando sogni e obiettivi.

Da un punto di vista spicciolo, questo esercizio ti può essere utile per:

  • Ricordare un evento della tua esperienza di vita degno di nota, in un verso o in un altro;
  • Raccontare l’evento come merita, ossia come evento-notizia;
  • Immaginare la condivisione dell’esperienza con  altri;
  • Valorizzare ciò che, dall’esperienza, puoi trarne, in positivo o anche no.

 

Dedico questo articolo a un uomo che, abituato a fare e a dare per tenere a bada il dolore, sta iniziando a scoprire il valore terapeutico della scrittura.

Se ti piace la scrittura e vorresti conoscere qualche altro esercizio, contattami!

fontanella.francesca@gmail.com

Possiamo organizzare uno spazio di apprendimento tutto per te o per te e altre persone che desideri invitare.

 

 

(Psico) Intervista a un musicista che ha imparato a sognare in grande: Niccolò Sovilla

Una nuova (Psico) Intervista: musica, canzoni e psicologia si incontrano e aiutano a realizzare sogni!

È arrivato il momento di una nuova (Psico) Intervista! L’ospite di oggi è musicista e cantante: vi presento Niccolò Sovilla

Musica, canzoni e songtherapy

La musica – e le canzoni in particolar modo – mi sono utili nel lavoro di psicologa per conoscere e esplorare i mondi individuali e scovare lì, nella nota e nel testo, narrazioni alternative di problemi e difficoltà e soluzioni inedite, inaspettate, in cui vibra la sorpresa.

Lo strumento d’eccellenza, in questo senso, è la songtherapy, la terapia con le canzoni.

Qualche mese ho intervistato uno scrittore per fare onore allo storytelling – un altro strumento di lavoro che trovo creativo e potenziante -; oggi, per fare onore all’utilizzo di musica e canzoni in terapia, intervisto un musicista e cantante, Niccolò Sovilla.

Lo psico-intervisto, naturalmente: questi ospiti speciali non li lascio andare senza che abbiano raccontato qualcosa di sé! 😊

Quando la cover è una signora-cover!

Dream a Big Dream_Niccolò_Sovilla

Niccolò ha pubblicato a dicembre 2016 un album di covers totalmente riarrangiate e reinterpretate con eleganza, originalità, calore e rispetto per i pezzi originali. Ascoltando i brani si respirano l’amore per la musica e il coraggio di raccontarla a modo proprio.

L’album si intitola Dream a Big Dream e potete ascoltarlo su SoundCloud e su YouTube.

I sogni meritano di essere ascoltati!

Nel frattempo, conosciamo Niccolò!

La (Psico) Intervista

Ciao Niccolò, grazie per aver accolto il mio invito alla (Psico) Intervista! Ti va di raccontare qual è per te la funzione della musica?

Secondo me la musica ha funzioni infinite, come l’arte in generale. Partendo dal presupposto che l’arte è completamente soggettiva, queste funzioni possono essere di puro intrattenimento, di espressione personale o di un gruppo di persone, possono essere politiche, spirituali, e così via.

Nella musica coesistono sempre due funzioni: quella che dà chi la fa e quella che dà chi l’ascolta.

Per quel che mi riguarda, la musica che faccio ha lo scopo di intrattenere. Al momento suono in due gruppi: sono il pianista ed una delle voci de LesMagots, sestetto swing, e canto e suono l’ukulele e il banjo nel gruppo The Riverboys, quartetto country e rock’n’roll. Capita spesso che dopo un concerto qualcuno del pubblico venga a dirmi che si è commosso grazie alla nostra musica… questa è la funzione che la musica ha avuto per quella persona.

La musica che ascolto, poi, ha lo scopo di emozionarmi, creare delle immagini nella mia mente, comunicarmi qualcosa. La musica che ascolto dev’essere sempre un po’ malinconica, anche se spesso sono io stesso che le do questa interpretazione.

Quali canzoni metteresti nella tua Carta d’Identità Musicale?

Domanda difficilissima, e non sono certo di dare una risposta che varrà anche per il futuro. Al momento, i brani che mi vengono in mente sono questi:

Leaving on a Jet Plane, scritta da John Denver nel 1966. Da anni la canzone che amo ascoltare e reinterpretare: malinconica, ha rispecchiato il mio stato d’animo in più occasioni.

Your Song, famosa ballata del 1970 di Elton John (con le parole di Bernie Taupin). È una delle prime canzoni che ho cantato accompagnandomi al pianoforte, uno dei miei “cavalli di battaglia”, una bellissima canzone d’amore… e d’amicizia, secondo me.

It’s a little bit funny this feeling inside, I’m not one of those who can easely hide, I don’t have much money but boy, If I did, I’d buy a big house where we both could live.

Ci sono alcune parti del testo di Piano Man di Billy Joel che adoro, perché evocano delle immagini estremamente realistiche, ritraendo sentimenti semplici, piuttosto comuni, quel tipo di descrizioni che adoro anche nella letteratura (Carver, Salinger…):

There’s an old man sitting next to me / Makin’ love to his tonic and gin (un vecchio uomo sta facendo l’amore con il suo gin tonic… e poi si girerà e dirà al pianista di suonargli un brano della sua giovinezza, che sapeva a memoria “quando indossava gli abiti di un uomo più giovane”).

Ci sono degli uomini d’affari che stanno bevendo qualcosa: Yes, they’re sharing a drink they call loneliness / But it’s better than drinkin’ alone (“Stanno condividendo un drink che chiamano solitudine / ma è meglio che bere da soli”).

Non è una canzone, ma la Pastorale di Beethoven è una musica che mi trasporta, se così si può dire, e mi fa sentire vivo. Quando l’ascolto mi sento proprio come dovevano sentirsi gli artisti del romanticismo: questa tensione positiva e al contempo struggente verso un qualcosa di imprecisato

C’è una canzone che ha segnato un cambiamento nella tua vita?

Nessuna canzone, finora, è stata così importante nella mia vita. Ci sono stati brani, album e gruppi musicali che hanno fatto da colonna sonora ad alcuni passaggi della mia vita, e ne cito alcuni.

L’album “Jazz” dei Queen ha segnato il mio ingresso nel mondo della musica non classica verso la fine della prima media. Ecco, questo lo considero un passaggio importante!

Fino a quel momento avevo ascoltato solamente Beethoven, Bizet, Mozart (all’infinito… soprattutto Le nozze di Figaro, che ormai conoscevo a memoria), Offenbach, Tchaikovsky e così via. Grazie a quell’album, uno dei mille vinili dei miei genitori, ho iniziato ad ascoltare il rock ed il pop, e da lì sarebbero poi nate la passione per i Beatles, i Creedence Clearwater Revival, i Bad Company

Cosa ti ha insegnato questo passaggio, questo momento di vita?

Se non fosse capitato questo passaggio, probabilmente non avrei mai iniziato a suonare e cantare dal vivo (è stato sognando di essere come Freddie Mercury che mi è venuta la voglia di cantare – e alla fine, di Freddie Mercury, ho solamente i baffi).

E poi, più avanti, sono arrivati Buddy Holly e Don McLean, entrambi un’infinita fonte di ispirazione, ancora adesso tra i miei preferiti. Buddy Holly, in soli tre anni di attività (è morto a 22 anni), ha dato un contributo incredibile alla storia della musica, influenzando ed ispirando tutti: dai Beatles a Bob Dylan, dai Rolling Stones a Eric Clapton.

Questi momenti e questi artisti mi hanno insegnato a sognare. [NdR: mica male, dato che il titolo dell’album di Niccolò è Dream a Big Dream – Sogna un Grande Sogno]

C’è qualcuno con cui vorresti condividere questo insegnamento?

Almeno per ora, ho soltanto da imparare, figuriamoci se posso pensare di insegnare qualcosa! Mi giustifico dicendo che… ho solo ventun anni! Sono piuttosto certo che un giorno arriverà una canzone che mi cambierà la vita, che mi insegnerà qualcosa, e che vorrò trasmettere questo insegnamento a qualcuno.

Hai la possibilità di fare una dedica speciale: a chi dedicheresti  il tuo album Dream a Big Dream?

Il musicista grazie al quale mi sono avvicinato allo swing è John Pizzarelli, chitarrista e cantante jazz statunitense. Da subito mi è piaciuto il timbro della sua voce, poi ho avuto l’onore di conoscerlo e di essere suo ospite ad un paio di concerti al Blue Note di Milano ed al Ronnie Scott’s Jazz Club di Londra. Una persona piacevolissima con cui chiacchierare e scherzare.

Quindi è grazie a lui ed al suo quartetto che ho voluto registrare Dream a Big Dream, ed è a lui che vorrei dedicare l’album.

Ancora una domanda Niccolò! Nel tuo album hai tre ruoli importanti: vocals, piano e ukulele… ti senti più vocals, piano o ukulele?

Il pianoforte è il primo strumento che ho imparato a suonare, la voce il secondo, l’ukulele il terzo, e poi mi piace strimpellare il banjo.

L’ukulele è il mio grande amore, non so il perché, in parte potrebbe essere una questione di trasporto (portare avanti e indietro la tastiera è più faticoso…).

Perciò, mi sento più ukulele, uno strumento allegro e portatore di felicità e serenità (…in netto contrasto con la malinconia delle canzoni che interpreto!).

Ciao Niccolò, grazie per questa condivisione così delicata. Mi ricorda i pezzi che interpreti. Mi ricorda, anche, la delicatezza che offrono le canzoni – e la musica – come strumento psicologico: fanno danzare i pensieri e fanno risuonare le emozioni, lievemente, aprendo spazio alle riflessioni, a nuove consapevolezze e alla realizzazione di sogni.

Ti è piaciuta questa intervista?

Puoi conoscere meglio Niccolò Sovilla nella sua pagina facebook

Puoi conoscere se la songtherapy fa per te scrivendo a fontanella.francesca@gmail.com

Il labirinto emotivo del lutto: trovare nuove direzioni dopo la perdita di una persona cara

Dopo un lutto, recente o passato, ci si può trovare in un labirinto emotivo. Un delicato sostegno psicologico e attività mirate per trovare la propria direzione.

Vivere l’esperienza di perdita di una persona cara è uno degli eventi di vita che più coinvolge la salute psico-fisica di chi si trova a convivere con l’accaduto, a prenderne atto e a cercare di darsi opportunità per continuare la propria vita.

Non è facile per gli adulti, non è facile per i bambini.

Un labirinto emotivo

Il labirinto emotivo del lutto

Dopo la perdita, le persone riferiscono di non riuscire a capire bene cosa provino: talora rabbia, talora tristezza, talora dolore e disperazione.

Qualcuno riferisce sensi di colpa – per cose non fatte e parole non dette – , sconcerto per la perdita, senso di ingiustizia.

Oppure ansia e paura che possa capitare un altro lutto, rassegnazione e perdita della voglia di vivere.

Frequente è anche la sensazione di non provare alcuna emozione.

Queste emozioni e sensazioni si intrecciano tra loro, vanno e vengono creando confusione e disorientamento, come in un labirinto.

Percorsi e direzioni diversi

Per trovare l’uscita dal labirinto e, quindi, mettere ordine tra pensieri e emozioni e riuscire a riprendere a vivere nonostante la perdita, non c’è un percorso unico, ma incroci e biforcazioni in cui ognuno può scegliere la direzione da prendere e il percorso più in linea con i suoi valori e le sue caratteristiche.

Un passaggio utile è restituire – a chi resta – il legame con la persona cara affinché possa essere una guida nelle scelte di vita e un punto di riferimento, sebbene su un piano diverso da quello fisico. Questo passaggio può richiedere il sostegno di uno psicologo, in particolare per i familiari stretti e per i bambini.

Ti può interessare anche: Il Lutto: legami continui e relazioni che restano

Fotografie, Storie, Canzoni, Ricordi e un Gioco Psicologico

Ho imparato ad accogliere professionalmente il lutto attraverso attività che permettono di ricordare e restituire consistenza alla relazione e al legame con la persona cara.

Guardando qua e là in questo blog, potete trovare articoli e appunti che descrivono gli strumenti che utilizzo di più:

Recentemente, nella cornice teorica della Terapia Narrativa, ho scelto di utilizzare un Gioco Psicologico che, attraverso un’attività strutturata – sebbene flessibile -, integra tutto quanto sopra in modo creativo e delicato.

Per i bambini

Il labirinto emotivo del lutto 2

I bambini possono reagire al lutto in molti modi: possono mostrare tranquillità e indifferenza, possono mostrare il dolore con comportamenti di chiusura e/o aggressività, possono avere un calo del rendimento scolastico, un calo dell’appetito, faticare a dormire o riprendere abitudini di quando erano più piccoli.

Tutti questi comportamenti nascondono una sofferenza intensa che merita attenzione.

Non lasciare che i bimbi elaborino il lutto senza un sostegno professionale!

La morte, per chi sta iniziando a vivere  – come un bambino – , appare come qualcosa che non ha senso.

Se ti va, accompagnalo in questo percorso: sarà utile anche a te.

Per gli adulti

L’adulto, dopo un lutto, a volte riprende in fretta le sue attività, in particolare se ha un lavoro, una famiglia …

In altre occasioni capita che la persona resti aggrappata al dolore per tenere vicina la persona cara:  il dolore diventa un mezzo per non perderla del tutto.

Il labirinto emotivo si fa così più intricato con ripercussioni sullo stato di salute psicologico e fisico. Qualche volta evidenti nel lungo termine.

Si può alleggerire il dolore per dare spazio a ciò che, della persona cara, resta in chi le è sopravvissuto, valorizzare il legame, celebrarlo nelle proprie giornate e andare avanti tutelando il proprio stato di salute.

Quando cercare la direzione nel labirinto emotivo

Elenco, qui, alcune situazioni di lutto in cui puoi considerare di cercare la direzione per uscire dal labirinto emotivo:

  • Perdita recente di una persona cara
  • Perdita di una persona cara, tempo fa, che ha lasciato una ferita che non rimargina
  • Interruzione di gravidanza spontanea e/o indotta
  • Situazione di malattia terminale in famiglia
  • Perdita di un animale domestico

Puoi venire da solo/a o con chi vuoi tu

Parlo per me anche se penso che diversi colleghi appoggino questa riflessione.

Puoi venire da sola/o per aiutarti in questa situazione di lutto. Puoi, anche, venire con chi vuoi tu: sei e siete benvenuti!

Ti ringrazio per la condivisione!

Se sei arrivato/a a leggere fino a qui, forse hai trovato questo articolo utile: fallo leggere a chi sta vivendo un lutto e aiutalo a cercare la direzione per uscire dal labirinto emotivo.

Dal canto mio, ti ringrazio, sin d’ora.

Riferimenti Bibliografici:

Giusti E., Milone A. Terapia del Lutto. La cura delle perdite significative 2015, Sovera.

Hogan N.S., DeSantis L. (1992). Adolescent sibling bereavement: An ongoing attachment Qualitative Health Research 2(2):159-177.

Pesci, S. (2017). The Grief Maze Game. Edizioni Scientifiche Isfar.

Schützenberg A.A., Jeufroy E.B. Uscire dal lutto. Superare la propria tristezza e imparare di nuovo a vivere 2014, Di Renzo Editore.

Silverman P.R., Nickman S.L. & Worden J.W. (1992). Detachment revisited: The child’s reconstruction of a dead parent American Journal of Orthopsychiatry 62(4):494-503.

 

Giornata libera, ma questa ve la voglio proprio raccontare!

Venerdì mattina, ore 7:30. Oggi giornata libera dal lavoro e arriva un inaspettato messaggio!

Venerdì mattina, ore 7:30. Mi sveglio sorridete pronta per la mia giornata libera dal lavoro! Avete presente quando c’è bisogno di staccare, di fare cose che rilassano e di non pensare a nulla? Ebbene, per me quel momento è oggi.

In programma ho una passeggiata lungo le belle ciclabili della mia città, un giretto in un negozio che vende cose carine; vorrei anche cucinare una torta e, se avrò tempo, leggere sul terrazzo.

Torniamo alle 7:30: risveglio

Non so voi, ma ho la – pessima -abitudine di guardare il cellulare appena sveglia e leggere mail, post di facebook, messaggi e altro.

Anche oggi.

Tra le varie notifiche, una attrae la mia attenzione!

Un commento da Judy Weiser

Ohibò! Non ci potevo credere!

Quasi un anno fa ho scritto questo articolo in cui descrivo brevemente l’utilizzo della fotografia terapeutica nel mio lavoro. Mai avrei pensato che lo avrebbe letto Judy Weiser, guru del settore, che si trova anche citatissima in testa all’articolo!

Condivido con voi il mio entusiasmo

Tecnicamente, quella che sto provando è euforia: gioia intensa per aver raggiunto un risultato importante e desiderio di condividerlo.

In effetti, è quello che sto facendo! 🙂

Ho trasgredito e mi sono messa al pc, per raccontarvi il mio inizio di giornata. Ora torno ai programmi leggeri per questa giornata libera.

Giornata di vacanza cominciata bene!

(Psico) Intervista ad uno Scrittore e Storyteller bellunese: Francesco Bristot

Gli scrittori sono Storyteller! Oggi ho il piacere di presentare Francesco Bristot, copywriter, scrittore e storyteller bellunese.

Perché uno scrittore è uno storyteller? 

Lo Storytelling è l’arte della narrazione. Ne abbiamo esempi antichi in miti e leggende, nelle parabole dei profeti, nei racconti attorno al focolare. L’utilizzo professionale dello Storytelling implica preparazione, conoscenza di regole precise e allenamento . Oggi quest’arte è usata in modo professionale in diversi ambiti: giornalismo, pubblicità, educazione scolastica, psicologia…

[Ti può interessare anche: Intervista Storytelling in Psicologia – La voce del Trentino – Ottobre 2016]

Un ospite speciale!

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Mind Drive-In è una raccolta di storie saporite, profumate, colorate. Attraverso la narrazione in prosa e in versi, l’autore ricorda la varietà del pensiero umano e la molteplicità di storie che le persone vivono e con cui possono raccontarsi.

Leggendolo, si fa l’esperienza di un viaggio magico in ambientazioni che mutano ora rapidamente, ora sfumando l’una nell’altra. La tenerezza de “Il Mio posto preferito”, lascia il posto al ritmo divertente con finale a sorpresa de “L’incubo arriva”; l’atmosfera surreale di “Yon” si contrappone alla concretezza cupa di “Bosco Nero”. Ogni storia evoca emozioni diverse e invita a scoprire la successiva.

L’autore di questo libro è Francesco Bristot, scrittore bellunese!

Prendo al volo l’occasione di un’Intervista!

Una (Psico) Intervista, a dire il vero, perché faccio raccontare a Francesco qualcosa di sé!

Ciao Francesco, Mind Drive-In è un concentrato puro di Storytelling, sei d’accordo?

D’accordissimo! Storie molto diverse fra loro, raccontate con tecniche di scrittura diverse e rivolte a differenti pubblici.

Come descriveresti lo Storytelling?

Con un’immagine che lo riassume nella sua accezione più ancestrale: Nonna Papera che racconta storie alla sua famiglia raccolta intorno al fuoco, cioè ad un pubblico eterogeneo (maschi e femmine, giovani e vecchi) ma reso omogeneo dal fascino della storia. E tutto il mondo intorno svanisce…

racconti-intorno-al-fuoco
Tratta da: Nonna Papera e i racconti intorno al fuoco – Ombretta e l’angolo dei salici, Topolino 1809, R.Cimino e G.Cavazzano.

Ricordi quando hai usato per la prima volta lo Storytelling? Puoi raccontarci la storia di quel momento?

Può sembrare presuntuoso, ma la prima volta ero in quarta elementare e non ero nemmeno del tutto conscio di quello che facevo… Su un foglietto ho buttato giù una scaletta per un romanzo horror (in realtà mai più scritto) i cui titoli dei capitoli erano copiati di peso da titoli di film horror che avevo letto sulla guida tv e che mi avevano suggestionato. Il mio creare una storia che li legasse è stato il primo embrione di scaletta narrativa della mia vita… e ripenso con molto affetto a quel bambino.

Quali sono le 5 storie che sceglieresti per il tuo Passaporto da Storyteller e quali emozioni colleghi a ciascuna di loro?

Solo 5 e in poche righe? Wow, sarà dura!

Pinocchio” perché è il libro che in assoluto ho esplorato di più e perché ricordo con nostalgia quando mi veniva letto da mio nonno, vicino al camino… In pratica l’atmosfera che ho descritto nella seconda domanda, quindi tutto ritorna!

IT” di Stephen King perché è superlativo sotto ogni punto di vista: la struttura, la prosa, la costruzione minuziosissima di ogni personaggio, la Vita e la Morte e l’Amicizia e l’Amore che pulsano ad ogni pagina…

Il popolo dell’autunno” di Ray Bradbury perché mi ha illuminato su un altro modo di comunicare, basato sull’evocazione, la suggestione, la ripetizione quasi poetica di elementi che coinvolgono i cinque sensi.

La canzone “The River” di Bruce Springsteen: la struggente storia di una vita racchiusa in cinque minuti. Una capacità di sintesi quasi inarrivabile, soprattutto per me che sono prolisso. 😉  [Ascolta The River]

Il film “Edward mani di forbice”. La prima volta che l’ho visto (e anche le successive in realtà) mi ha così addolorato che non riuscivo a smettere di piangere. Tratta con poesia temi a me molto cari: la diversità, l’incomunicabilità che ad essa è legata, la creatività come via d’uscita

A chi dedicheresti la tua storia preferita?

Scelgo “IT” e lo dedico alla mia compagna Martina e a mio figlio Tommaso, cioè a una adulta e a un bambino, perché è una storia che parla di adulti e bambini e di quanto riesca a sopravvivere nell’adulto del bambino che è stato.

Quale messaggio e quali valori veicola questa storia?

Il messaggio per me più importante: non mollare mai! Cito testualmente una frase fra le più toccanti:

«Parti e cerca di continuare a sorridere. Trovati un po’ di rock and roll alla radio e vai verso tutta la vita che c’è con tutto il coraggio che riesci a trovare e tutta la fiducia che riesci ad alimentare. Sii valoroso, sii coraggioso, resisti. Tutto il resto è buio.»

Come vedi, si parla anche di ascoltare un po’ di rock’n’roll e fra le righe io ci leggo un percorso analogo, anche se qui è inconsapevole, a quello che fai tu con la songtherapy.

Come vorresti usare questi valori nel tuo futuro di scrittore? E di uomo?

Io ripenso molto spesso alla mia infanzia, in particolare al periodo che circa coincide con le scuole elementari. Ne ho dei ricordi meravigliosi ed è dove ha trovato le fondamenta la persona che sono ora.

Quel bambino, come ogni bambino, aveva davanti a sé infinite possibilità. Anche se, col passare degli anni, la vita restringe drasticamente le possibilità e anche se alle volte si imboccano strade che sembrano non lasciarci più margini di scelta, io credo che nessuna strada sia mai senza uscita. E che quando non si trova l’uscita da soli ci sia chi ci può aiutare: un familiare, un amico, un terapeuta…

“IT” non è di certo l’unica opera a veicolare questo messaggio, ma è la prima a cui ritorno con la mente in determinate situazioni.

Sono convinto che un’opera d’arte ti possa davvero cambiare la vita, forse perché la lasci entrare in te “a barriere abbassate” più di quando invece hai a che fare con le persone, perciò ti può scendere più in profondità. Fino a diventare parte di te.

Grazie, Francesco, per questa condivisione intima e stimolante. Condivido appieno la tua riflessione: l’arte è un utile mediatore per stare in contatto con se stessi. L’arte della narrazione è un atto di condivisione che illumina strade alternative in chi narra una storia e in chi la riceve.

Ti è piaciuta questa intervista e vuoi conoscere meglio l’arte della narrazione e della scrittura creativa?

Scrivimi a: fontanella.francesca@gmail.com

Oppure contatta direttamente Francesco Bristot

Riferimenti biliografici:

Bristot F., Mind Drive-In. 2009. Edizione Del Faro.

Hai fatto l’Albero? Quale? – L’Albero della Vita, un modo creativo per conoscerti davvero

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Ti conosci già abbastanza: stai con te stesso/a tutto il giorno e sono diversi anni che ogni giorno godi di una posizione privilegiata per conoscerti.

Stai a contatto con il tuo corpo e i tuoi movimenti, odi la tua voce anche attraverso le risonanze della cassa toracica; sai cosa ti piace e cosa non ti piace; percepisci emozioni, stress, stanchezza; puoi notare le contraddizioni tra ciò che pensi e ciò che fai o dici…

Tanti stimoli 

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In questa posizione privilegiata il numero di stimoli diversi che possono arrivare in ogni istante sono davvero molti. Ti basti pensare a questo momento specifico: dove sei? Cosa c’è intorno a te? Che colori vedi? Che rumori senti? Stai mangiando o bevendo qualcosa? Ti sta piacendo quello che leggi?

L’accumulo di stimoli e la possibilità di percepire contraddizioni, di ‘ascoltare’ i pensieri che non piacciono, di provare emozioni che danno sensazioni sgradevoli, possono creare dei blocchi che suscitano domande del tipo: “Perché mi comporto così?”, “Perché mi sento così?”; “Perché non riesco a decidere?”, “Perché ho cambiato idea?”…

Conoscerti davvero con L’Albero della Vita

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Per dare una risposta a questo tipo di domande hai bisogno di dedicare del tempo a fare ordine tra gli stimoli, per conoscerti di più, per conoscerti meglio, per conoscerti davvero.

Tra i modi, gli strumenti e le tecniche che il mio lavoro offre per aiutare a conoscersi davvero, mi piace molto l’Albero della Vita. 

Mi piace perché è creativo e permette di toccare se stessi senza forzare la mano.

Mi piace perché è del tutto personalizzato e offre sempre (sempre!) delle sorprese.

Mi piace perché consente di riconoscere nei propri eventi di vita ciò che nutre e ciò che può essere lasciato andare.

Mi piace perché equilibra l’autostima e sa mostrarti il meglio di te.

Mi piace perché è un trampolino di lancio per sogni, desideri, obiettivi.

Mi piace perché offre dei significati, dei “perché”.

Mi piace perché è un’istantanea della propria vita sino ad ora e ti permette di scoprire cosa puoi usare, adesso, per andare avanti a modo tuo.

Possono bastare un paio di incontri: se non hai fatto l’Albero, pensaci! 🙂

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SongTherapy silente, coinvolgente

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Da qualche mese, ho integrato nel mio lavoro la SongTherapy. Si tratta di una disciplina che pone le radici nella musicoterapia e nell’utilizzo della musica per produrre benessere e cambiamenti e aggiunge qualcosa in più.

Tante possibilità

La SongTherapy lavora con il suono e con le parole, con la musica e il testo. Puoi scegliere i brani che senti più rappresentativi della tua situazione attuale e di quella desiderata, oppure puoi proporre il brano che ti dà energia, motivazione, che rappresenta la tristezza che provi, la rabbia, la gioia… Puoi scegliere un inno personale, un inno per la tua storia d’amore; puoi cambiare le parole alle canzoni o dedicare un brano ad altri.

E tanto altro ancora. Di fatto, non c’è limite di utilizzo e si può dare spazio alla creatività.

Qualche settimana fa, è uscito un mio articolo sul blog de Lo Psicologo del Rock, che descrive alcuni utilizzi di questo strumento nella pratica clinica. Puoi leggerlo cliccando qui.

PS. Prossimamente, sullo stesso blog, ci sarà un nuovo mio articolo che racconta di SongTherapy e abbuffate.

Auto-aiuto o strumento professionale?

La SongTherapy è entrambe le cose. Puoi usare la musica per aiutarti a vivere meglio oppure puoi appoggiarti ad un professionista che la pratichi e inserirla in un percorso terapeutico.

Music is my therapy.

Ad esempio, quale canzone sceglieresti per questo specifico momento? Proprio questo, in cui stai leggendo. Che genere è? Quali movimenti ti fa fare? Quali emozioni e pensieri ti evoca?

Musica da guardare

Qualche giorno fa, una cliente mi ha chiesto se la SongTherapy possa essere usata anche da persone non udenti: certo che sì!

Esistono brani tradotti in lingua dei segni e una persona non udente che desideri avviare un percorso  terapeutico che coinvolga la musica può utilizzare questi brani. Il ritmo e le parole sono percepite attraverso la gestualità e offrono lo stesso tipo di spunti di riflessione di un brano ascoltato.

Eccone un coinvolgente esempio.

Musica che vibra

In alcuni casi, può essere più accessibile o preferita, una modalità di ‘ascolto’ dei brani attraverso le vibrazioni prodotte dalla musica. Esistono specifiche applicazioni (ad esempio Vibetunes) che traducono i brani in vibrazioni, consentendone una rappresentazione alternativa.

Cosa significa per te?

Il terapeuta è attivamente coinvolto nell’ ascolto del brano, sia esso udito oppure rappresentato in modo nuovo. Il cliente porta la narrazione di ciò che, quel brano, significa per lui. Non è importante come lo si ascolti: è importante che rappresenti qualcosa che il cliente desidera raccontare.

Ci interessano i significati, i pensieri, le emozioni, le sensazioni fisiche, le storie che la persona associa al brano per dare il via a nuove riflessioni e, se il cliente lo vorrà, a cambiamenti positivi.

Questo è il principio base della SongTherapy e della SongTherapy silente.

Dott.ssa Francesca Fontanellasongtherapy-silente

Vi presento Kαιρός ( Kairós )

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Kαιρός ( Kairós ), in greco antico, significa:

‘momento in cui accade qualcosa di speciale’.

Kαιρός ( Kairós ) è il significato che ha, per me, la psicologia.

Con il cuore che batte forte, vi presento, Kαιρός ( Kairós )!

Le origini del mio Esercizio del Limone

Era il 1991 e frequentavo la seconda media. Lezione di narrativa, una delle mie preferite: si leggevano storie e si conoscevano nuovi libri, si poteva fantasticare, raccontare le proprie esperienze…la lezione di narrativa non era una lezione come le altre!baikal-1355436_960_720

Quel giorno, sul banco, avevo ‘Aurora sul Baikal’ di Sandra Frizzera. Da qualche settimana, in classe, a turno, ognuno leggeva un brano del libro e ormai cominciavamo ad affezionarci ai personaggi, tra cui Pavel e Wivjiana, una ragazza non vedente.

Proprio in quel giorno nacque in me la passione per le immagini e la multisensorialità, che mi accompagna nella vita e nella professione.

Se vi va, vorrei (ri)leggere con voi le parole che si scambiano Pavel e Wivjiana.

Nel brano, Pavel sta osservando con meraviglia un gioco di colori nel paesaggio e vorrebbe condividere la meraviglia e il piacere con Wivjiana, ma non sa come fare, perché la sua amica non vede…

E, allora, cosa fa?

-Hai un’idea di come sia il colore rosso?

– No, non riesco ad immaginare i colori.

-Capisco, più che logico… però… io dico che dobbiamo inventare qualcosa, un codice, dei punti di riferimento per riuscire a capirci. Io vorrei tanto che quando ti dico che un fiore è rosso, o azzurro, tu riuscissi a sentire…

-Volevi dire “vedere”?

-Insomma io vorrei tanto che tu riuscissi a farti un’idea. Vorrei che tu riuscissi a sapere come sono i colori. Wivjiana, stendi una mano, senti il calore del sole?

-Sì, certo che lo sento ed è anche molto piacevole.

-Ti fa pensare al caldo del fuoco?

-Sì.

-Allora tu riesci a collegare il caldo del sole con il caldo del fuoco ed entrambe le sensazioni sono piacevoli. Ti prego, segui il mio ragionamento, perché non è facile da spiegare… se tu, quando io ti parlo di una cosa rossa, pensassi al fuoco?

-Oh, Pavel… certo, certo è tutto chiaro: quando tu mi dirai che un fiore è rosso, che un vestito è rosso io penserò: rosso uguale calore, calore uguale fuoco, perciò è una cosa bella, piacevole.

-Brava, bravissima. Per ogni colore, i più importanti almeno, troveremo un punto di riferimento, un rumore…

-O un sapore.

-Giusto. Prendi questa e mangiala, poi dimmi.

-È una mora, una grossa mora matura. Mi piace.

-Wivj, quando io vorrò farti pensare ad una cosa di colore blu scuro ti dirò: è del colore-sapore delle more.

-Che cosa interessante hai inventato. Ma come ti è venuta, questa idea? Colore-sapore, colore-rumore, colore-sensazione. E il vento? di che colore è il vento?

-È del colore dell’acqua. Acqua, vento. Il vento arriva, ti accarezza o ti colpisce, lo senti, ma non lo puoi trattenere. Così l’acqua: la senti, è tanta, immergi le mani, ma quando le ritiri…

-Il vento, l’acqua, le carezze hanno colori-sensazioni. Pavel, hai inventato una cosa bellissima. Questo deve essere il nostro segreto, non ne parleremo con nessuno, vero? Gli altri non potrebbero capire!

[…]

-Quando senti il vento pensa all’acqua: l’acqua ha lo stesso colore del vento, il colore dei nontiscordardimé, il colore del cielo, al mattino presto o poco dopo il tramonto.

-E le stelle, Pavel, le stelle di che colore sono?

(Da Aurora sul Baikal, 1990)

Wivjiana sarebbe stata sorpresa, forse, nel vedere i miei occhi lucidi.

Pavel e Wivjiana insegnano a vivere il mondo sfruttando tutti i sensi: apprezzando forme e colori, odori e sapori, consistenze, temperatura, suoni…

Insegnano, anche, ad usare l’immaginazione per arricchire la propria percezione del mondo e ad allenare il cervello a costruire rappresentazioni multisensoriali della realtà. Questo allenamento sembra avere ripercussioni favorevoli sulla memoria, l’attenzione, la concentrazione, l’apprendimento, il tono dell’umore, lo stress, i disturbi psicosomatici.

Ecco un esercizio per allenarsi: l’Esercizio del Limone

Chiudete gli occhi e immaginate un limone.

Immaginatene la forma, la buccia porosa, il colore giallo acceso o maculato di verde… immaginate di toccarlo e sentirne le irregolarità della superficie… Immaginate di annusarlo e di sentire il profumo della buccia… di tagliarlo in due e odorarne il profumo della polpa… immaginate di metterlo in bocca e percepirne il sapore acidulo, la consistenza… mentre state creando questa immagine sensoriale così ricca, vi sentite rilassati e curiosi verso la vita… ora associate all’immagine un suono, una musica, una canzone, che ritenete si adatti bene alla vostra unica e personale rappresentazione del limone… restate per un minuto con il vostro limone e le sensazioni che vi procura, concedetevi di mettere insieme ed integrare tutte le percezioni che avete associato al limone. Quando siete pronti, fate due respiri profondi e aprite gli occhi.

Terminato l’esercizio, provate a rispondere a queste domande:

  • Che sensazione avete provato? Che sensazione provate ora?
  • Il limone, dopo questo esercizio, vi sembra diverso dal limone che conoscevate? Se sì, in cosa?
  • Il limone vi piace?
  • Quale suono/musica/canzone avete associato? Che tipo di emozione e sensazione associate a questo suono/musica/canzone?
  • Cosa vi ha donato questo esercizio?
  • In che modo potreste usare questo esercizio nella vostra vita?

Questo esercizio è stato creato da me tre anni fa, sulla scia degli esercizi di immaginazione guidata e di alcuni esercizi di mindfulness e coniugando le conoscenze in neuroscienze (acquisite durante la mia formazione universitaria) e il ricordo della conversazione tra Pavel e Wivjiana. Nel tempo è stato arricchito da nuove conoscenze e si è sfoltito di alcune parti.

Trattandosi di uno strumento in divenire, mi farebbe piacere conoscere le vostre impressioni e, se vi va, le vostre risposte alle domande: sarebbe un contributo prezioso!

Potete farlo qui, su facebook, oppure scrivendomi una mail all’indirizzo fontanella.francesca@gmail.com o un messaggio (SMS o WhatsApp) al numero 345 3741840.

Nota ai professionisti: se l’esercizio vi piace, potete utilizzarlo liberamente e apportare le modifiche che ritenete opportune. Vi chiedo la disponibilità a citarne la fonte, per colleganza e fair play.

Dott.ssa Francesca Fontanellalemon-1269979_960_720

 

Riferimenti Bibliografici

Bandler, R. & Grinder, J. (1980). La metamorfosi terapeutica; principi di Programmazione Neurolinguistica. Astrolabio, Roma.

Frizzera, S. (1990). Aurora sul Baikal. Salani narrativa distribuzione Le Monnier. Cap. 5, pp. 45-47.

Giusti, E. (2007). Le tecniche immaginative. Il teatro interiore nelle relazioni d’aiuto. Collana di Edoardo Giusti.

Kabat Zinn, J. (2006). Coming to our senses: Healing ourselves and the world through Mindfulness. Hacette Books.

Kjaer T.W. et al. (2002 Apr). Increased dopamine tone during meditaztion-induced chiange of consciousness. Brain Res Cogn Brain Res; 13(2), 255-9.

Wagstaff G.F., (2004 Oct). Facilitating memory with hypnosis, focused meditation, and eye closure. Int J Clin Exp Hypn, 52(4), 434-55.