Una decisione da prendere…

Ho una decisione da prendere e, mentre utilizzo questo strumento creativo che conosco, lo condivido con te…

La questione mi pare stia in quella parola: “prendere“. Una volta che si è presa la decisione, la si è presa. La si può anche mollare?

In molte situazioni sì. Sto pensando alle piccole e grandi decisioni quotidiane che possono essere modificate o, addirittura, reversibili.

Per questo tipo di decisioni potrebbe interessarti Decidere di decidere: il dilemma della scelta.

Tuttavia, mi trovo in un situazione personale in cui debbo scegliere per la mia salute. Ohibò… qui la faccenda si fa multi-sfaccettata e prendere la decisione implica prenderla e tenermela.

Premetto che non ho ancora deciso anche se…

Volendo metterci tutta la sincerità, mi ci sto dedicando poco e sto rimandando la decisione con quel fare un poco buffo che ha l’essere umano in alcune occasioni: evita, procrastina, aspetta… Strategia poco utile, come immaginerai!

Nonostante questo, è arrivato il momento di mettermici con impegno.

Porsi domande che possano aiutare

Per prendere una decisione, ci sono alcune domande che può valere la pena porsi e che, qualche volta, sono la chiave per decidere. Ad esempio puoi chiederti:

  1. Qual è la storia della situazione?
  2. Quali obiettivi ho?
  3. Quali valori ho?
  4. Chi è importante per me? Cosa direbbe?
  5. Per ogni opzione di scelta:

    1. Cosa mi trattiene?
    2. Cosa mi attrae?

Se non basta o se questo ti sembra un esercizio che ti porta a rimuginare senza arrivare alla decisione, puoi provare…

Il Dialogo tra le Parti (a modo mio)

Una decisione da prendere_

Questo strumento nasce dalla descrizione di R. Dilts e lo ho incontrato per la prima volta grazie al collega Antonio Amatulli. Ho scelto, nella pratica clinica, di integrarlo alle tecniche immaginative e alla narrazione pertanto, dell’esercizio originale resta solo la scocca.

L’esercizio può essere usato nel caso in cui la decisione dipenda dalla sensazione di sentirsi in conflitto con se stessi. Mi spiego meglio.

Mettiamo che una persona debba decidere se andare a un appuntamento a piedi oppure in auto. Questa decisione potrebbe dipendere dal meteo, dal tempo a disposizione, dalle distanze, dalla disponibilità dell’auto… Queste variabili non implicano un conflitto con se stessi.

Se, invece, andare a a piedi implica la libertà perché, andando in auto, la persona sarebbe costretta a dare un passaggio a una persona che non apprezza… bè, potrebbero entrare in gioco alcuni valori che sembrano contrastarsi: libertà e rispetto di sé; disponibilità e rispetto per l’altro.

Quando entrano in gioco valori di questo tipo, la decisione può essere percepita come un conflitto.

Il Dialogo tra le Parti arriva in soccorso e aiuta a dipanare i nodi del conflitto dando spazio all’esplorazione dei valori e trasformandoli in personaggi che possono dialogare tra loro e confrontarsi rispetto alle loro risorse e alle loro aspettative.

Questo gioco comunicativo e narrativo aiuta la persona a comprendere le ragioni di entrambe le parti, trovare eventuali punti d’accordo oppure simpatizzare per una delle due.

Trasformando il conflitto da “interiore” a “esteriore”, si facilita la decisione.

Questo esercizio richiede un’ora di tempo e un po’ di pratica per essere utilizzato in modo efficace e non risultare solo un virtuosismo fine a se stesso. Una volta acquisito, potrai usarlo in autonomia in altre situazioni di conflitto decisionale.

Hai una decisione da prendere? Quale? Che ne pensi de Il Dialogo tra le Parti?

Puoi scrivermi le tue riflessioni a fontanella.francesca@gmail.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I Pre-giudizi sono utili? C’è chi dice sì!

Cosa sono i pre-giudizi? Come nascono? Quando possono essere positivi? Esempi pratici e un utile suggerimento di approfondimento

Tema caldo: i pregiudizi, i pre-giudizi. Ossia i giudizi dati prima di conoscere.

I pregiudizi possono anche essere positivi

Un giudizio può essere positivo o negativo in base a come si valuti ciò che si sta giudicando. Una cosa che piace e viene apprezzata riceve un giudizio positivo, mentre una cosa che non piace e non è apprezzata riceve un giudizio negativo.

Lo stesso vale per i pre-giudizi. Si può dare un giudizio positivo o negativo prima di conoscere e partire prevenuti in negativo o positivo:

A me i politici non piacciono!

Quello vestito così mi sembra il classico tipo che tira bidoni!

Le mamme sono apprensive.

Quelli/e che non fumano sono persone affidabili.

La ho assunta perché le donne di […] sono oneste.

Oh-Oh! Cosa noti? Comunque vada, anche quando viene data un’opinione positiva, il pre-giudizio è causato da una generalizzazione.

Le generalizzazioni

Le generalizzazioni sono una modalità linguistica (e non solo!) che tende a raggruppare in categorie persone, oggetti, fenomeni…

Questa strategia del cervello è molto utile per aiutare a risparmiare tempo. Si immagini, per esempio, la moltitudine di fiori esistenti: sebbene siano molto diversi tra loro e ognuno abbia caratteristiche e nome unici, trovandosi di fronte a un fiore sconosciuto – da qualunque prospettiva – si è in grado di dire, con un certo grado di sicurezza, che quell’oggetto appartiene alla categoria “fiore”. Vi sono molte eccezioni a questo esempio, ma prendilo per quello che è: un’esemplificazione, così come vorrebbe essere un’esemplificazione ogni generalizzazione – anche se a volte complica le cose -.

Quando le generalizzazioni traggono in inganno

Le generalizzazioni, ossia queste scorciatoie cognitive utili per far risparmiare tempo e energie, possono trarre in inganno. Come negli esempi sopra. Prendiamone uno:

Le mamme sono apprensive.

Per poter esprimere questa frase, il cervello ha fatto un raggruppamento inserendo le mamme in una categoria. Per certi versi ci può andare bene: mamma è colei che ha un figlio biologico o adottivo.

La faccenda si complica quando si arricchiscono le categorie con dettagli arbitrari. In questo caso, l’apprensione è una caratteristica attribuita alla categoria delle mamme.

Ora, che può accadere?

Si può generare il cosiddetto “stereotipo“. Uno stereotipo è una sorta di modello rappresentativo di una categoria; in questo caso, “mamma apprensiva” è lo sterotipo, il modello, di ciò che la persona si aspetta che sia una madre.

Tuttavia…

  1. Una mamma che non sia apprensiva è meno mamma?
  2. Una mamma deve sforzarsi di essere apprensiva per fare la mamma?
  3. Una mamma deve compiacersi dell’apprensione in quanto caratteristica must have di una mamma?
  4. Una mamma è sempre apprensiva?
  5. Proprio tutte le mamme sono apprensive?

Le generalizzazioni sono un tipo di pre-giudizio poco utile e poco rispettoso delle unicità individuali e, per questo, possono portare a discriminazioni.

Un esempio spicciolo di discriminazione causata da generalizzazioni e pre-giudizi? Non assumere mamme nei posti di lavoro perché la loro attenzione sarebbe rivolta ai figli anziché ai loro compiti professionali.

In tema di aspettative disconfermate, ti può interessare anche: La scatola di biscotti: una storia breve

Quando il pre-giudizio è utile

Un tipo diverso di pre-giudizio può derivare da un fenomeno chiamato thin-slicing – tagliare a fette sottili -.

Questo fenomeno descrive la capacità del cervello di identificare in modo rapido e frugale una particolare struttura di situazioni e comportamenti, basandosi su “fette sottili” dell’esperienza che si sta vivendo.

Un esempio piuttosto comune è la sensazione che qualcuno non piaccia “a pelle”: il cervello produce una scansione rapida della situazione e valuta, in via di solito prudenziale, che è opportuno stare alla larga da quella persona. In questo caso, l’informazione può rivelarsi utile e proteggere da pericoli o esperienze sgradevoli e dannose.

In un batter di ciglia

Per approfondire questo tema interessante, vi suggerisco la lettura di un libro di Malcom Gladwell, In un batter di ciglia. Il libro narra diversi esempi di stereotipi e pre-giudizi, alcuni dei quali assolutamente non funzionali. Dedica anche spazio ai pregiudizi utili che sono, di fatto, impalpabili e inesplicabili intuizioni.

Noi, come esseri umani, abbiamo questo problema […] Siamo un po’ troppo pronti a dare spiegazioni di cose per le quali in realtà non abbiamo una spiegazione.

M. Gladwell

 

Storie di lacrime: il racconto sorprendente di una bambina

Una bambina racconta cosa ne pensa delle lacrime: ne esce una storia sorprendente!

Le lacrime hanno una storia!

Così esordisce una bambina e inizia a raccontare quello che ora intitolo:

“Storie di Lacrime”

Le lacrime sono una cosa intima e ci si vergogna a mostrarle alla gente. Ma non è stato sempre così!

Nella storia dell’evoluzione abbiamo perso la possibilità di leccare le lacrime. Gli animali, quando esce una lacrima, la leccano. Tutti dicono che lo fanno per il sale, ma lo fanno per assaggiare la lacrima e capire di quale emozione è!

Così si comunica come ci si sente e le cose si fanno più facili.

Gli uomini invece nascondono le emozioni e se piangono sono casi rari!

Mio fratello è piccolo e quando piange non si capisce perché: basterebbe assaggiare la lacrima!

La tristezza non ha lo stesso sapore di quando si è arrabbiati! E esistono le lacrime di gioia…

Non dico che io ora assaggerei le lacrime degli altri però abbiamo un altro modo: ci sono delle persone speciali, nel mondo, che sanno assaggiare le lacrime degli altri senza assaggiarle davvero.

Sono quelli che ti lasciano piangere senza dire: “Non piangere!” Sono davvero interessati alle lacrime e, magari, ti chiedono perché piangi. Quello è assaggiare le lacrime.

Quando una lacrima esce è come se fosse una parola trasparente.

Ti faccio un esempio: se qualcuno mi tratta male e piango, quelle lacrime dicono parole. “Triste”, “Dispiacere”, “Non è giusto!”, “Pace”… però queste parole non si sentono e non si leggono e per questo non si capiscono subito. Però puoi chiedere a chi piange quali parole gli stanno uscendo dagli occhi e cambia tutto.

Ho scoperto questa cosa qui da te e la ho provata fuori. Fa smettere di litigare e fa voler bene. Funziona con tutti eccetto con mio fratello che non parla ancora. Ma parlerà.

I miei occhi nel frattempo si fanno lucidi e penso a queste lacrime trattenute, divenute intime per l’evoluzione – come suggerisce questa bambina sensibile e brillante – e che portano parole trasparenti…

Credo dicano “Grazie…”.

 

 

Alleggerire i pensieri stirando (i punti di domanda)

Una favola illuminante racconta come alleggerire i pensieri stirando … i punti di domanda! Avvertenza: Non leggere se non piace stirare! 😉

Questo articolo vuole giocare un po’, anche se non troppo! Vi capita di avere pensieri “pesanti”, “confusi”, “ricorrenti”? Oggi proviamo ad alleggerirli stirandoli.

Domande e risposte

Diversi anni fa lessi un libro di favole che si intitola “Fiabe di Cioccolato“. L’autrice è Laura Perassi, per i lettori Lauretta. Tra i racconti ve n’è uno che narra la storia di un punto di domanda che parte per un lungo viaggio, desideroso di trovare risposte alle sue domande. Dopo una lunga serie di avventure e un’ancor più lunga serie di domande aggiuntive raccolte durante il viaggio, il punto di domanda incontra chi trova una soluzione: viene poggiato su un asse da stiro, stirato e trasformato in un diritto punto esclamativo!

Una buona soluzione?

Questa soluzione è buona a metà: qualche volta, farsi troppe domande, può bloccare le capacità decisionali. In questo senso, meno domande è meglio.

Tuttavia, porsi delle domande è, altre volte, essenziale per trovare soluzioni a faccende quotidiane, fatti di vita, questioni relazionali; per scegliere e decidere; per cambiare qualcosa che si desidera cambiare di se stessi e della propria vita.

In questo articolo diamo spazio alle occasioni in cui può essere utile stirare i punti di domanda.

Quando può essere utile stirare punti di domanda

Come alleggerire i pensieri stirando i punti di domanda

Un’occasione in cui trovo utile stirare punti di domanda è quando ci si ritrova ricorsivamente a pensare alla stessa cosa, rischiando di rimanerne intrappolati. Di solito questo produce sofferenza. Ci sono modi diversi, riferiti a diversi approcci psicologici, che possono aiutare a lasciar andare i pensieri ricorsivi. Eccone uno.

Si può accogliere il pensiero come uno dei tanti fatti che stanno accadendo in quel preciso istante e immaginarlo come una nuvola che, per sua natura, si sposta e/o si dissolve.

Il passaggio da ? a ! sarebbe il seguente:

Perché penso a questa cosa?

Oh, penso a questa cosa! [e la lascio andare]

[Ti può interessare anche: C’era una volta un re…Liberarsi dai pensieri negativi]

Dalla ricerca di spiegazione all’accettazione

In questo caso, modificare la prima frase con il punto esclamativo sposta l’attenzione dall’ansia di trovare una spiegazione allo stupore di poter accogliere il pensiero per quello che è.

Prima, l’attenzione è sul “perché”: se la risposta al “perché” non arriva subito, l’organismo manda un segnale di allarme. La ragione è che tutto ciò che è incerto – ambiguo – in natura può essere un potenziale pericolo. Il segnale d’allarme stimola a cercare la risposta, continuamente, non lasciando riposo alla persona e privandola della possibilità di occuparsi di altro.

Dopo, l’attenzione è sull’arrivo del pensiero che, com’è arrivato, può anche andare. E magari ritornare.

A cosa serve questo esercizio?

  1. A uscire dal circuito vizioso del “perché” che può suscitare ansia, angoscia, senso d’urgenza, senso di impotenza…;
  2. A concedersi di osservare il pensiero per ciò che è: un evento tra altri;
  3. A notare il va e vieni del pensiero.

Quando il pensiero ritorna: l’altra faccia del “perché”

Più la questione è per te importante, più il pensiero ritorna, bussa, batte, interferisce. Quindi puoi pensare che, se torna, hai bisogno di conoscerne i significati e gli scopi.

Hai bisogno, più che di un “perché-causa”, di un “perché-scopo” ossia: a cosa mi serve questo pensiero? Cosa vuole dirmi? Cosa vuole ottenere? Quale conseguenza positiva ne deriva?

Mentre l’esercizio descritto sopra puoi farlo in autonomia questa parte, che coinvolge l’altro “perché”, può richiedere un aiuto, un sostegno. Qualche volta ne serve uno breve, qualche volta uno meno breve. Chiedilo e goditelo senza confronti: ogni storia è unica!

Vuoi scoprire il “perché-scopo” di un tuo pensiero?

Scrivimi a fontanella.francesca@gmail.com

 

L’Angoscia è un’emozione che fa sentire in trappola: come liberarsi?

L’angoscia è un’emozione che fa sentire in trappola. Puoi imparare a distinguerla da altre emozioni e iniziare a ridurla con un esercizio che ti richiede circa 15 secondi.

C’è un’emozione che fa sentire in trappola: l’angoscia. Merita di essere conosciuta perché spesso confusa con altre emozioni e, di conseguenza, gestita e trattata in modo inefficace.

L’angoscia non è ansia

L’angoscia non è ansia. L’ansia fa aumentare la vigilanza e la prontezza ad agire: hai presente quando ti prende il senso di urgenza di sistemare quella data cosa, di fare quella telefonata, di chiarire con una persona cara…? Ecco, lì stai provando ansia. Magari lieve, magari intensa. In ogni caso l’ansia guida al controllo dell’ambiente, alla riduzione dell’incertezza.

L’angoscia non è paura

L’angoscia non è paura. La paura, come l’ansia, fa aumentare la vigilanza di fronte a un pericolo concreto, per mettersi in salvo.

La paura guida a mettersi al sicuro e ad allontanarsi dal pericolo. Qualche volta la paura stimola alla fuga, qualche volta all’attacco, qualche volta blocca. Ma questa è un’altra storia.

L’angoscia non è tristezza

L’angoscia non è tristezza. La tristezza tende a rallentare l’organismo e a metterlo in pausa.

La tristezza guida a non sprecare altre energie, a fare tesoro dell’esperienza, a prendere atto dell’accaduto.

L’angoscia è l’angoscia è l’angoscia

Per citare Gertrude Stein:

Una rosa è una rosa è una rosa.

Anche l’angoscia è l’angoscia è l’angoscia.

Ossia, è un’emozione a sé stante, di tipo composto. Principalmente, l’angoscia è costituita da un’emozione di resa e un’emozione di ritiro. I messaggi dell’angoscia contengono paura, contengono – anche – il desiderio di trovare una soluzione e la sensazione di non poterlo fare, di non esserne capaci, di esserne in qualche modo impediti. Di essere in trappola, per la precisione.

Un metodo semplice per ridurre il picco dell’angoscia

Concentrati per qualche secondo sulla parola “angoscia“.

Non so a te, ma a me, pensare all’angoscia fa provare angoscia! Non solo a me, in realtà. A gran parte delle persone. La ragione è semplice: ogni parola ha significati che sono ben registrati dal cervello e questo fa sì che la parola “angoscia” evochi sensazioni e pensieri che hanno a che fare con l’angoscia.

Pensando alla parola “angoscia”, quindi, ci si procura un’esperienza più o meno intensa dell’emozione di angoscia.

Ora…prova a ripetere velocemente, per una decina di secondi la parola “angoscia”.

Prendi fiato e inizia: angosciaangosciaangosciaangosciaangosciaangoscia…

Ascoltati… come si trasforma la parola, dopo un po’?

A me in qualcosa tipo “sciango“.

Sciango non è una parola italiana e non mi evoca nulla. Al più mi sembra il nome di un personaggio dei cartoni animati oppure uno shampoo a base di fango  – come disse una volta una bimba -.

Cambia la parola, riduci l’angoscia

Con questo semplice esercizio – pure un po’ buffo, lo ammetto! – puoi aiutarti nel momento di picco emotivo che, ti ricordo, dura al massimo 180 secondi.

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Attraverso il linguaggio e il significato delle parole che cambia, puoi ridurre l’intensità dell’angoscia e la sensazione di trovarti in trappola.

Non basta?

Se non basta oppure se gli episodi di angoscia si fanno frequenti, potrebbe essere utile appoggiarsi a uno psicologo. Le conversazioni terapeutiche, in questo caso, vanno in due direzioni:

  • Conoscere altri strumenti per ridurre i picchi emotivi e ridurne la frequenza
  • Costruire insieme al terapeuta la soluzione o le soluzioni per uscire dalla trappola

Le proposte in tal senso variano da professionista a professionista e vanno, inoltre, del tutto personalizzate sulla situazione singola. Per iniziare, io ti propongo questo!

Avviare un cambiamento: attrezzatura base per il ‘Salto nel Vuoto’

Per alcuni, avviare un cambiamento è un ‘Salto nel Vuoto‘ (o nel Buio). Nonostante sia forte il desiderio di raggiungere un obiettivo e nonostante sia chiaro alla persona che, per ottenere il risultato atteso, le sia necessario avviare un cambiamento, manca qualcosa. Ecco alcuni attrezzi base.

Prendere atto che, per sua natura, il cambiamento è qualcosa che genera incertezza

A nulla valgono le proteste: il cambiamento non cambia la sua natura e porta con sé incertezza, esiti sconosciuti, novità e sorprese.

L’essere umano predilige situazioni in cui può avere il controllo e in cui gli indizi gli permettano di fare un pronostico rispetto a ciò che accadrà.

Quando si tratta di cambiamenti, questo può non essere possibile.

Non si può sapere come sarà un nuovo posto di lavoro – ad esempio – o come andrà una relazione d’amore, come ci si troverà in una nuova città, cosa succederà se si chiuderà quella relazione o se si deciderà di perdonare qualcuno che ha fatto un torto.

Per tutti i cambiamenti importanti dobbiamo intraprendere un salto nel buio. (W.James)

Accettare il momento di disequilibrio tra la situazione attuale e la situazione attesa

Se hai la fortuna di camminare, conosci già questa esperienza. Prova, alzati in piedi e fai un passo: noti che che per qualche millesimo di secondo sei in disequilibrio?

Per andare avanti, sei abituata/o a rinuciare alla stabilità e a fare un passo allungando un piede nel vuoto e restando in equilibrio – precario – sulla punta dell’altro.

Quel momento di disequilibrio è parte del cambiamento e del passaggio tra ciò che è ora e ciò che sarà. È parte del viaggio.

Riconoscere che il cambiamento parte da te

run-pixabay. wokandapix

Ok, sono d’accordo: gli eventi possono cambiare anche se si resta ad aspettare!

Eppure, se anche capitasse, gli eventi cambiano con i loro tempi e potrebbero non essere i tuoi.

Vale la pena attendere un tempo indefinito nell’attesa che qualcosa produca il cambiamento che tu stesso/a potresti attuare adesso?

Si può cambiare solo se stessi
Sembra poco ma se ci riuscissi
Faresti la rivoluzione

(Vasco Rossi)

[Ascolta Cambiamenti di Vasco Rossi]

Prepararsi ad accogliere con curiosità gli esiti del cambiamento

Il cambiamento porta ad esiti variabili. Cosa fare se l’esito non è quello desiderato?

Vanno ricordate tre frasi magiche che, per comodità, chiamiamo Le 3 A:

  1. Accogli l’opportunità di qualcosa di inatteso
  2. Accetta ciò che non puoi cambiare
  3. Abbi il coraggio di cambiare le cose che puoi

Oh oh! Ancora cambiamenti? Sì, è così. Ad ogni cambiamento può seguirne un altro.

[Può interessarti anche: La Paura di sbagliare: un modo per trasformarla in Coraggio di scegliere]

Qualsiasi sia l’esito, tu rimani una persona di valore

Quante cose hai fatto oggi da quando è cominciata la tua giornata? Valgono anche le cose piccole come lavarsi i denti e scaldare un piatto al microonde…

Che tu ne abbia fatte molte o poche, alcune ti saranno riuscite ed altre non ti saranno riuscite come desideravi. Durante la giornata, durante la vita, si fanno molte cose, alcune bene, altre meno. Addirittura, una stessa attività può riuscire qualche volta meglio di altre e qualche volta non riuscire affatto.

Basare il proprio valore sugli esiti delle cose che si fanno rende il tuo valore molto fluttuante: ora sì, ora  no… ora no… ora abbastanza, ora sì, ora forse…

In gergo, si è fatto un errore di attribuzione: si attribuisce all’esito dell’azione il potere di determinare il proprio valore.

In fase di cambiamento, è importante riconoscere il proprio valore a prescindere dall’esito delle azioni che si compiono.

Ecco perché molte persone, prima di attuare un cambiamento importante, scelgono di rivolgersi ad uno psicologo: in pochi incontri ri-disegnano la mappa del cambiamento, ne valutano l’opportunità e attrezzano il loro zaino da viaggio con gli strumenti utili per la loro vita.

Stai per avviare un cambiamento? Ti piacerebbe conoscere la mappa della migrazione dell’identità e iniziare bene il tuo viaggio?

Scrivimi la tua storia: fontanella.francesca@gmail.com

Recuperare una Relazione Importante

Quella relazione è importante e c’è aria di crisi. Vorresti recuperare e non sai da dove partire? Ecco un’idea semplice dritta dritta dalla Terapia Narrativa.

Il valore aggiunto

In ogni relazione importante, ciascuna persona porta qualcosa di suo che arricchisce il rapporto e lo rende unico e speciale. Ad esempio, una persona che è solita vivere con entusiasmo porterà nella relazione l’entusiasmo; una persona che usa la discrezione, porterà nel rapporto la discrezione e così via.

Possiamo dire che ognuno offre un contributo e dona qualcosa all’altro (l’entusiasmo, la discrezione…) in uno scambio reciproco.

[Ti può interessare anche: Vuoi superare il 2,9:1? Il Valore che crea Valore]

Le domande utili per… cercare il valore aggiunto nel passato

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Ti serve un momento di tranquillità per pensare a quando la relazione andava bene.

Quando è stato? Tanto tempo fa o poco tempo fa? Riesci a ricordare un momento specifico in cui la relazione è stata positiva? In quel ricordo cosa state facendo tu e l’altra persona?

Visualizza bene quel momento e nota i dettagli.

Poi soffermati sul ricordo di te stesso/a in quel momento: quali caratteristiche stai mettendo in gioco che contribuiscono a rendere positiva la relazione? Ossia: quale valore aggiunto stai portando?

Le domande utili per… applicare il valore aggiunto al presente

Ora che hai identificato il valore aggiunto che è stato utile in quel momento passato, immagina cosa accadrebbe se lo utilizzassi nella situazione attuale: cosa cambierebbe nella relazione? Gli effetti sarebbero positivi?

Quali azioni concrete potresti fare per aggiungere il tuo valore aggiunto al presente?

Le domande utili per… seminare nuovi valori aggiunti nel futuro

Immagina di portare qualcosa di nuovo nella relazione: cosa ti piacerebbe portare? Cosa vorresti offrire che non hai ancora offerto?

Se hai fatto tutto questo esercizio, avrai a disposizione:

  • Una parola che descrive il valore aggiunto che, nel passato, ha favorito il benessere della relazione;
  • Qualche idea pratica per utilizzare il valore aggiunto nel presente;
  • Una parola che descrive un nuovo, possibile e desiderato valore aggiunto da portare nella relazione.

Se hai fatto tutto questo esercizio hai costruito una connessione tra passato, presente e propositi futuri per restituire valore alla relazione per te importante e recuperarne la positività.

Questo esercizio ti è piaciuto, ma non basta?

Se vuoi approfondire come la Terapia Narrativa aiuta a recuperare le relazioni, scrivimi la tua storia a fontanella.francesca@gmail.com.

 

 

Le Juicy Words contro lo stress

Hai sentito parlare delle Juicy Words? Sono le parole succose, quelle dolci, quelle che lasciano un buon sapore in bocca. Le Juicy Words sono un ottimo alleato contro lo stress!

Parole secche e parole succose (juicy)

Quando si provano irritazione, rabbia, ansia, paura o qualche forma di nervosismo, capita di usare parole e risposte secche: il tono è alterato, le parole non sono scelte con cura e possono scappare offese e parolacce.

Il risultato, la maggiorparte delle volte, è che gli altri si innervosiscono e chi ha pronunciato la parola secca, senza forse rendersene conto, ha aumentato le sue sensazioni negative.

Un vecchio esperimento scientifico con le parole

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Immagine di incidente d’auto non legata all’esperimento descritto nell’articolo.

Nel 1974, Loftus e Palmer cominciarono a dedicare la loro attenzione all’affidabilità della memoria. Uno degli esperimenti più conosciuti ha a che vedere con un incidente automobilistico.

I ricercatori fecero assistere alcune persone alla ripresa di un incidente automobilistico simulato. Dopo la visione, ad ogni partecipante fu consegnato un questionario che conteneva domande relative al video e alle emozioni suscitate.

Schianto o Tamponamento?

Alcune domande del questionario erano volte a valutare il ricordo della gravità dell’incidente, ma sotto c’era un trucchetto!

Alcuni partecipanti ricevettero una scheda in cui era chiesta la “gravità dello schianto” e come si fossero sentiti nel vedere lo schianto.

Altri partecipanti, ricevettero una scheda in cui era chiesta la “gravità del tamponamento” e come si fossero sentiti nel vedere il tamponamento.

Le persone che lessero nel questionario la parola ‘schianto’ valutarono l’incidente più grave e più intense le loro emozioni di coloro che lessero la parola ‘tamponamento’.

Giornata pesante, parole leggere

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L’esperimento dimostra che l’utilizzo delle parole influenza la percezione della realtà. Questo fenomeno suggerisce di dare importanza alle parole che si scelgono per comunicare.

Un esempio: stai rientrando a casa dopo una giornataccia e, al tuo ingresso, i familiari ti chiedono come sia andata la giornata.

Puoi scegliere di rispondere, con tono seccato:

“Di schifo, è stata una giornata di XXX e una gran rottura di XXX”

Queste parole hanno l’effetto di modellare la realtà rendendola più spiacevole a te – che le pronunci – e a chi ascolta.

Il rischio è lo sviluppo di malumore nell’ ambiente familiare e malessere generale.

Puoi anche scegliere di rispondere:

“È stata una giornata davvero lunga e spiacevole.”

Alleggerire le parole per sentirsi meglio

Usando parole più leggere, l’impatto della frase è totalmente diverso. Chi le riceve mantiene un umore positivo e potrà essere più predisposto a portare sollievo e conforto, chi le pronuncia non aumenta il proprio malumore e ritrae una realtà più agevole da sopportare, aiutando a gestire lo stress.

[Ti può interessare anche: Che stress, somatizzo lo stress!]

Quando ce vò ce vò!

Quando parlo delle Juicy Words nel mio lavoro clinico, le persone spesso sono in disaccordo:

“Quando ce vò ce vò!”

Sono d’accordo! Inoltre, qualche volta, può essere necessario usare parole che veicolano significati più pesanti, per rispettare la portata di ciò che si sta vivendo.

Nel quotidiano, tuttavia, per comunicare meglio e gestire lo stress, le  Juicy Words sono un modo semplice e accessibile che puoi usare in modo creativo, al bisogno.

Vuoi conoscere altri modi per gestire lo stress?

Scrivimi la tua storia: fontanella.francesca@gmail.com

Coppia, intimità e canzoni terapeutiche

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Come anticipato qualche giorno fa, ecco il mio articolo su Lo Psicologo del Rock che racconta di coppia, intimità e musica!

Come migliorare l’intimità di coppia grazie alla Songtherapy

Sebbene l’immagine mostri una coppia uomo-donna… l’articolo è per tutte le coppie! 🙂

Buona lettura!

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Tu per chi tifi? Per la conquista del benessere o per la liberazione dal disagio?

 

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Flickr.com/Nazionale Calcio

Qualche settimana fa, un’indagine statistica volta a conoscere i bisogni psicologici della popolazione italiana ha identificato un interessante fattore: alcune persone preferiscono pensare all’equilibrio emotivo e cognitivo come ad una conquista, altri come ad una liberazione dagli elementi di difficoltà.

Il risultato è lo stesso, il punto di vista cambia!

Il risultato cercato e atteso è lo stesso: equilibrio emotivo e cognitivo, ossia il benessere psicologico e, per traslazione, psicofisico.

Il punto di vista, tuttavia, è diverso.

Chi pensa al risultato in termini di conquista inizia un percorso psicologico focalizzandosi in particolare sulla crescita personale, sull’autostima, sulla comunicazione e la conoscenza di sé.

Chi pensa al risultato in termini di liberazione dalla condizione di difficoltà, invece, inizia un percorso psicologico cercando strumenti e strategie per togliere ciò che suscita malessere.

Il percorso di conquista
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Flickr.com/Marina Balasini & Juan Montiel – Luz en la montana

Il percorso di conquista è volto a conoscere le proprie narrazioni automatiche e a crearne di alternative, a scoprire e riscoprire le risorse, a potenziare l’unicità individuale.

La persona sviluppa senso di autoefficacia – ossia la consapevolezza di poter vivere bene, grazie alle sue competenze -, equilibra l’autostima, si allena ad emozionarsi meglio e a comunicare in linea con i suoi valori.

Il percorso di liberazione

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Il percorso di liberazione è volto a conoscere e utilizzare strumenti di rilassamento e di regolazione emotiva, a sbloccare situazioni – ad esempio – di inibizione e conflitto, ad acquisire strategie per la gestione e il sollievo del dolore e per ridurre gli effetti psicosomatici.

La persona si libera del disagio e riacquista il benessere auspicato.

Il jukebox dello psicologo: i 4 risultati più richiesti
Jukebox
Flickr.com/phphoto2010 – Jukebox 01a

Secondo l’indagine di mercato, i 4 risultati più richiesti sono:

  • Felicità
  • Serenità
  • Sicurezza
  • Agio

La Serenità e la Sicurezza sono obiettivi desiderati, in particolare, da chi sceglie il percorso di conquista, mentre la Felicità e l’Agio sembrano essere maggiormente attesi da chi sceglie il percorso di liberazione.

Tu per chi tifi?

La tua preferenza va alla conquista o alla liberazione? O ad entrambe?

Nella mia esperienza clinica questi due percorsi e i risultati attesi non sono così distinti. Può capitare che una percorso si trasformi in un altro oppure, più spesso, che i due percorsi si intersechino.

Adoro, professionalmente, questa seconda opzione.

L’integrazione di conquista e liberazione accresce la possibilità di benessere, coniugando la conoscenza di strumenti per liberarsi di ciò che fa star male alla conoscenza di  strumenti per potenziare la propria unicità.È una chiave di benessere nel lungo termine.

Ti piacerebbe cominciare un percorso di conquista o di liberazione? O uno che integri entrambi?

Scrivimi la tua storia: fontanella.francesca@gmail.com

tifosa
Flickr.com/Nazionale Calcio

Fonte:

Indagine di mercato sulla psicologia professionale, ENPAP. Ricerca condotta da baba – Ricerche di mercato e analisi di scenario – www.babaconsulting.com