Quale tipo di Depressione hai?

Le Depressioni non sono tutte uguali, ne esistono diversi tipi, infiniti, se vogliamo. Quale tipo di Depressione hai?

Le Depressioni non sono tutte uguali, ne esistono diversi tipi, infiniti, se vogliamo. Quale tipo di Depressione hai?

“Dottoressa, sono depresso!”

“Mmm e quale tipo di Depressione ha?”

Comincia spesso così una conversazione terapeutica nel mio studio. E prosegue, più o meno, in questo modo…

Ce ne sono diversi tipi?

“Ce ne sono diversi tipi? Non me lo hanno detto!”

Oppure

“Non lo so, credo mi abbiano detto ‘Depressione maggiore'” (o ‘reattiva’, o altre etichette del caso).

A queste risposte mi capita di dire qualcosa del tipo:

“Ok, e la Depressione Maggiore che conosce com’è? Com’è fatta? Le sembra maschio o femmina? Che tipo di comportamenti adotta per influenzare la sua vita?

Questo tipo di domande sono le prime di una serie che ha l’obiettivo di aiutare a esternalizzare la Depressione o altre difficoltà/disagi/problemi che le persone incontrino nella loro vita.

Si tratta di passare dalla percezione di se stessi come depressi, alla consapevomaps of narrative practicelezza di vivere insieme alla Depressione, con la quale ci si può relazionare per riappropriarsi dello spazio vitale che lei, per natura, tende a scippare.

Questo punto di vista si rifa alle mappe narrative di Michael White.

Come scoprire quale tipo di Depressione hai

1 – Per scoprire quale tipo di Depressione accompagna la tua vita, puoi iniziare… disegnandola!

???

Sì, disegnandola oppure facendone una fotografia oppure, se ti piace scrivere, puoi raccontarne la storia, oppure puoi farne una statutetta di argilla… Qualche tempo fa una persona creò un pupazzo di pezza che rappresentava la Paura! 🙂 Quindi spazio alla creatività! Se ti va, dai anche un nome alla Depressione.

Primo Passo: dare una forma concreta. spunta

2 – Descrivi come influenza la tua vita nei vari contesti (famiglia, lavoro, scuola, amicizie, sport, speranze per il futuro…)

Questo passo offre l’opportunità di cominciare a conoscere effetti e conseguenze della Depressione sulla tua vita. Quali abitudini ha la Depressione? Quali valori persegue? In che modo agisce?

Secondo Passo: scoprire come ti influenza.

3 – Dì la tua: sei d’accordo con il comportamento di Depressione? Ti sta bene il modo in cui ti influenza?

In questo passo puoi prenderti il gusto e la responsabilità di dire la tua. Depressione ha le sue abitudini e le sue modalità di influenzarti, ora tu puoi dire se concordi con lei e in cosa oppure se sei in disaccordo e vorresti metterne in discussione alcune influenze sulla tua vita.

Tu e Depressione siete in relazione e puoi avere il tuo punto di vista, diverso dal suo.

Terzo Passo: dì la tua.

4 – Perché? (Motiva la tua risposta al terzo passo)

In questo passo puoi giustificare e spiegare la ragione per cui concordi o sei in disaccordo con Depressione. Tutte le risposte vanno bene, rispondi ciò che pensi e ciò che senti.

Quarto Passo: motiva e giustifica il tuo punto di vista.

Ok e adesso?

Se hai fatto i 4 Passi, avrai con te una rappresentazione concreta della Depressione e avrai cominciato a conoscerla meglio: le sue intenzioni e abitudini, il modo in cui ti influenza e ciò che tu pensi di lei (o lui, potresti aver scelto che Depressione è maschio!). Forse saprai anche perché hai una certa opinione rispetto a Depressione.

Ora hai il materiale di lavoro per cambiare la tua relazione con la Depressione, se lo desideri.

Hai a che fare con un personaggio unico, al di fuori delle diagnosi e molto più accessibile e vicino alla tua realtà di vita.

Questo ti dà la possibilità di cominciare a riflettere sulle modalità per riprendere lo spazio di vita che ti spetta. Ad esempio: come ti relazioneresti con un personaggio del genere se lo incontrassi? Come gli parleresti? Cosa saresti disposto a condividere con lui/lei?

Ehm… non capisco come possa essermi utile!

ok e adessoQuesta modalità esplorativa può essere controintuitiva e può essere complesso lavorarci in autonomia. L’idea migliore, a mio avviso, è cercare uno psicologo che utilizzi questo metodo e appoggiarsi a lui/lei per proseguire nell’esplorazione e costruire le soluzioni e i cambiamenti. Puoi contattarmi per conoscere i nomi di colleghi in Italia e all’estero.

Dal canto mio, se sei interessato/a a esplorare il problema, ti propongo il…

Quinto passo: inviami le tue risposte ai 4 Passi

Attenzione proposta commerciale 🙂 

Questa sezione dell’articolo ti interessa solo se desideri esplorare il problema.

Ebbene, puoi inviarmi una mail con le risposte ai 4 Passi e una fotografia della tua realizzazione concreta di Depressione (o di qualsiasi altro problema! Questa proposta vale anche per Ansia, Paura, Dolore, Rabbia… quello che vuoi tu!).

Una volta letta la tua mail, ti comunicherò se sarà possibile esplorare insieme il problema e, se sarà così, potremo procedere in questo modo:

  • 2 incontri da 60 minuti (in studio, online su Skype, telefonici)
  • 1 mail o telefonata di accompagnamento a distanza di tre settimane dal secondo incontro
  • 1 mail o telefonata di accompagnamento a distanza di tre mesi dal secondo incontro

Il costo? 125,70, con omaggio del mio libro Kairòs in versione cartacea che ti spedirò a casa.

Il costo è così calcolato:

  • 2 incontri da 60 minuti: 51 euro cadauno >> 102 euro
  • 2 mail o telefonate di accompagnamento: 10 euro cadauna >> 20 euro
  • Costi di gestione: marca da bollo, spedizione del libro >> 3,70 euro

Che ne pensi? Quale beneficio pensi ne trarresti?

Hai una storia di Depressione che ti va di condividere con altri? Puoi raccontarla nei commenti, se ti va!

 

 

 

 

 

 

Come dare conforto e supporto a una persona cara

Quando una persona cara soffre, si desidera darle conforto e supporto. Come fare affinché il supporto sia utile e efficace per chi lo riceve? Un suggerimento da Tristezza.

Quando una persona cara soffre, si desidera darle conforto e supporto. Come fare affinché il supporto sia utile e efficace per chi lo riceve?

Usato a casaccio, serve a zero!

Date un’occhiata a questo pezzo del film Disney Inside-Out. Gioia tenta in diversi modi di rassicurare il suo amico Bing Bong, ma non ci riesce. A riuscire è Tristezza che, a contrario di Gioia, si sofferma sul dispiacere e sulla sofferenza.

 

La conseguenza dell’aiuto offerto da Tristezza è che l’amico si sente capito e ascoltato, piange e accoglie la sua sofferenza, condividendola con Tristezza e, a un tratto, sentendosi meglio.

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Il comportamento di Tristezza può dare tre informazioni pratiche utili:

  1. Restare con l’emozione dell’altro
  2. Valorizzare l’emozione dell’altro
  3. Arricchire la storia dell’emozione dell’altro

Restare con l’emozione dell’altro

Bing Bong è triste, pertanto, l’emozione che meglio si addice  a fargli compagnia è Tristezza. Si può dare conforto a una persona triste, accettando la tristezza che prova e riflettendola, mostrando di capirla. Fare come Gioia, qui, non dà i risultati sperati.

Valorizzare l’emozione dell’altro

Tristezza non si limita a stare accanto a Bing Bong facendogli da specchio: riconosce il suo dolore, lo convalida, lo autorizza. L’autorizzazione a provare emozioni è importante: ognuno può imparare a concedersela, riconoscendo la legittimità delle proprie risposte emotive; talora è utile riceverla dagli altri. Tristezza legittima la tristezza di Bing Bong, che ha la libertà di esprimerla.

Arricchire la storia dell’emozione dell’altro

Tristezza fa qualcosa di speciale: chiede a Bing Bong di ricordare un momento bello passato con il suo carro. Il ricordo si fa struggente e nostalgico e arricchisce la storia dell’emozione che sta provando Bing Bong.

Ora egli prova tristezza, nostalgia, struggimento, commozione e ricorda le emozioni piacevoli dei momenti passati insieme al suo carro. Sente di aver contribuito alla vita del carro come il carro ha contribuito alla vita di Bing Bong e questo funge da spinta vitale per sfogarsi e poi alzarsi e ricominciare.

In situazioni di difficoltà e, in particolare, in caso di lutto, questi 3 passaggi rappresentati da Tristezza danno una mappa per orientarsi e per offrire conforto e supporto in modo utile.

Ti è capitato di dare o ricevere un tipo di supporto che è servito poco e non capire perché? Tristezza, in questa scena, potrebbe averti dato un perché!

 

 

 

 

Vivere con il dolore cronico: 4 (+1) strategie

Una recentissima ricerca offre 4 (+1) strategie per ridurre il dolore cronico e i suoi effetti collaterali emotivi e relazionali.

Il dolore cronico è frequente: in Europa si stima l’incidenza del dolore cronico non oncologico al 22% della popolazione.

Cosa si intende per dolore cronico?

La IASP (International Association for the Study of Pain – 1986) definisce il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno.

E’ un esperienza individuale e soggettiva, a cui convergono sensoriali, esperenziali e affettive.

Il dolore cronico è duraturo, spesso determinato dal persistere dello stimolo dannoso e/o da fenomeni di automantenimento, che mantengono la stimolazione nocicettiva anche quanto la causa iniziale si è limitata. Si accompagna ad una importante componente emozionale e psicorelazionale e limita la performance fisica e sociale del paziente. E’ rappresentato soprattutto dal dolore che accompagna malattie ad andamento cronico (reumatiche, ossee, oncologiche, metaboliche..). E’ un dolore difficile da curare: richiede un approccio globale e frequentemente interventi terapeutici multidisciplinari, gestiti con elevato livello di competenza e specializzazione.

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=3769&area=curePalliativeTerapiaDolore&menu=terapia

Gli effetti psicologici del dolore cronico

Il dolore cronico può generare ansia, tristezza e depressione, diminuzione della fiducia in se stessi e calo dell’interesse nelle relazioni interpersonali.

Questo può avere ripercussioni in ambito familiare e lavorativo amplificando il disagio emotivo e, ahimè, anche il livello di dolore cronico!

Infatti, avendo il dolore una componente affettiva, una situazione di disagio emotivo può accentuare la percezione del dolore, aumentandone, di fatto, il livello.

Le strategie per vivere con il dolore cronico

Una recentissima ricerca – dettagli in bibliografia – di L. Phillips, ha esplorato le strategie di resistenza al dolore cronico, identificandone 4 tipi principali:

  1. Strategie di distrazione: svolgere attività di interesse che, distraendo, alleviano il dolore;
  2. Strategie di spostamento del focus: simili alle precedenti, con la differenza che la persona sposta volutamente l’attenzione su altro rispetto al dolore. Tra queste strategie potremmo annoverare la mindfulness e altre tecniche di rilassamento e immaginative;
  3. Strategie di indagine: esplorazioni delle cause del dolore e approfondimento delle soluzioni per ridurre il dolore;
  4. Ri-negoziazione relazionale: azioni volte a restituire equilibrio alle relazioni interpersonali, messe in discussione dal terzo incomodo del dolore cronico.

Ce n’è una quinta…

Phillips propone, anche, un’altra stategia. Ella ritiene utile porre, a chi soffre di dolore cronico e le chiede un aiuto terapeutico, la  questa domanda:

“Vuoi parlare del dolore o c’è qualcos’altro che ti preme di più?”

Phillips ha osservato che, quando le persone preferiscono parlare di altri temi (di altre difficoltà)  connessi e non al dolore cronico, si crea uno spazio terapeutico in cui sperimentano la possibilità di essere attive nella risoluzione delle difficoltà – con conseguente aumento dell’autostima positiva e del senso di autoefficacacia —

Inoltre, il tema di cui preme loro parlare, si rivela  premere – metaforicamente – anche sul dolore, accentuandolo. Talora, se ne rivela una delle cause. Parlare di altre questioni e difficoltà e trovare soluzioni, influenza positivamente anche la percezione del dolore, il cui livello diminuisce.

Cosa suggerisce questo studio?

Lo studio di Phillips offre due spunti di riflessione:

  1. L’importanza di trovare strategie personali in almeno una della categorie proposte;
  2. L’utilità di indirizzare le proprie energie a parlare di temi e questioni alternativi al dolore cronico.

Lo studio ci dice che, attraverso queste due modalità, è possibile ridurre il dolore, ridurne gli effetti collaterali psicologici e scoprirne cause inesplorate.

Soffri di dolore cronico e vuoi allenarti a ridurre il dolore?

Parliamone e cerchiamo le domande e le risposte più utili a te!

Fonti:

Phillips, L. (2017). A Narrative Therapy Approach to Dealing with Chronic Pain. The International Journal of Narrative Therapy and Community Work, 1, 21-30.

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=3769&area=curePalliativeTerapiaDolore&menu=terapia

Storie di lacrime: il racconto sorprendente di una bambina

Una bambina racconta cosa ne pensa delle lacrime: ne esce una storia sorprendente!

Le lacrime hanno una storia!

Così esordisce una bambina e inizia a raccontare quello che ora intitolo:

“Storie di Lacrime”

Le lacrime sono una cosa intima e ci si vergogna a mostrarle alla gente. Ma non è stato sempre così!

Nella storia dell’evoluzione abbiamo perso la possibilità di leccare le lacrime. Gli animali, quando esce una lacrima, la leccano. Tutti dicono che lo fanno per il sale, ma lo fanno per assaggiare la lacrima e capire di quale emozione è!

Così si comunica come ci si sente e le cose si fanno più facili.

Gli uomini invece nascondono le emozioni e se piangono sono casi rari!

Mio fratello è piccolo e quando piange non si capisce perché: basterebbe assaggiare la lacrima!

La tristezza non ha lo stesso sapore di quando si è arrabbiati! E esistono le lacrime di gioia…

Non dico che io ora assaggerei le lacrime degli altri però abbiamo un altro modo: ci sono delle persone speciali, nel mondo, che sanno assaggiare le lacrime degli altri senza assaggiarle davvero.

Sono quelli che ti lasciano piangere senza dire: “Non piangere!” Sono davvero interessati alle lacrime e, magari, ti chiedono perché piangi. Quello è assaggiare le lacrime.

Quando una lacrima esce è come se fosse una parola trasparente.

Ti faccio un esempio: se qualcuno mi tratta male e piango, quelle lacrime dicono parole. “Triste”, “Dispiacere”, “Non è giusto!”, “Pace”… però queste parole non si sentono e non si leggono e per questo non si capiscono subito. Però puoi chiedere a chi piange quali parole gli stanno uscendo dagli occhi e cambia tutto.

Ho scoperto questa cosa qui da te e la ho provata fuori. Fa smettere di litigare e fa voler bene. Funziona con tutti eccetto con mio fratello che non parla ancora. Ma parlerà.

I miei occhi nel frattempo si fanno lucidi e penso a queste lacrime trattenute, divenute intime per l’evoluzione – come suggerisce questa bambina sensibile e brillante – e che portano parole trasparenti…

Credo dicano “Grazie…”.

 

 

Il labirinto emotivo del lutto: trovare nuove direzioni dopo la perdita di una persona cara

Dopo un lutto, recente o passato, ci si può trovare in un labirinto emotivo. Un delicato sostegno psicologico e attività mirate per trovare la propria direzione.

Vivere l’esperienza di perdita di una persona cara è uno degli eventi di vita che più coinvolge la salute psico-fisica di chi si trova a convivere con l’accaduto, a prenderne atto e a cercare di darsi opportunità per continuare la propria vita.

Non è facile per gli adulti, non è facile per i bambini.

Un labirinto emotivo

Il labirinto emotivo del lutto

Dopo la perdita, le persone riferiscono di non riuscire a capire bene cosa provino: talora rabbia, talora tristezza, talora dolore e disperazione.

Qualcuno riferisce sensi di colpa – per cose non fatte e parole non dette – , sconcerto per la perdita, senso di ingiustizia.

Oppure ansia e paura che possa capitare un altro lutto, rassegnazione e perdita della voglia di vivere.

Frequente è anche la sensazione di non provare alcuna emozione.

Queste emozioni e sensazioni si intrecciano tra loro, vanno e vengono creando confusione e disorientamento, come in un labirinto.

Percorsi e direzioni diversi

Per trovare l’uscita dal labirinto e, quindi, mettere ordine tra pensieri e emozioni e riuscire a riprendere a vivere nonostante la perdita, non c’è un percorso unico, ma incroci e biforcazioni in cui ognuno può scegliere la direzione da prendere e il percorso più in linea con i suoi valori e le sue caratteristiche.

Un passaggio utile è restituire – a chi resta – il legame con la persona cara affinché possa essere una guida nelle scelte di vita e un punto di riferimento, sebbene su un piano diverso da quello fisico. Questo passaggio può richiedere il sostegno di uno psicologo, in particolare per i familiari stretti e per i bambini.

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Fotografie, Storie, Canzoni, Ricordi e un Gioco Psicologico

Ho imparato ad accogliere professionalmente il lutto attraverso attività che permettono di ricordare e restituire consistenza alla relazione e al legame con la persona cara.

Guardando qua e là in questo blog, potete trovare articoli e appunti che descrivono gli strumenti che utilizzo di più:

Recentemente, nella cornice teorica della Terapia Narrativa, ho scelto di utilizzare un Gioco Psicologico che, attraverso un’attività strutturata – sebbene flessibile -, integra tutto quanto sopra in modo creativo e delicato.

Per i bambini

Il labirinto emotivo del lutto 2

I bambini possono reagire al lutto in molti modi: possono mostrare tranquillità e indifferenza, possono mostrare il dolore con comportamenti di chiusura e/o aggressività, possono avere un calo del rendimento scolastico, un calo dell’appetito, faticare a dormire o riprendere abitudini di quando erano più piccoli.

Tutti questi comportamenti nascondono una sofferenza intensa che merita attenzione.

Non lasciare che i bimbi elaborino il lutto senza un sostegno professionale!

La morte, per chi sta iniziando a vivere  – come un bambino – , appare come qualcosa che non ha senso.

Se ti va, accompagnalo in questo percorso: sarà utile anche a te.

Per gli adulti

L’adulto, dopo un lutto, a volte riprende in fretta le sue attività, in particolare se ha un lavoro, una famiglia …

In altre occasioni capita che la persona resti aggrappata al dolore per tenere vicina la persona cara:  il dolore diventa un mezzo per non perderla del tutto.

Il labirinto emotivo si fa così più intricato con ripercussioni sullo stato di salute psicologico e fisico. Qualche volta evidenti nel lungo termine.

Si può alleggerire il dolore per dare spazio a ciò che, della persona cara, resta in chi le è sopravvissuto, valorizzare il legame, celebrarlo nelle proprie giornate e andare avanti tutelando il proprio stato di salute.

Quando cercare la direzione nel labirinto emotivo

Elenco, qui, alcune situazioni di lutto in cui puoi considerare di cercare la direzione per uscire dal labirinto emotivo:

  • Perdita recente di una persona cara
  • Perdita di una persona cara, tempo fa, che ha lasciato una ferita che non rimargina
  • Interruzione di gravidanza spontanea e/o indotta
  • Situazione di malattia terminale in famiglia
  • Perdita di un animale domestico

Puoi venire da solo/a o con chi vuoi tu

Parlo per me anche se penso che diversi colleghi appoggino questa riflessione.

Puoi venire da sola/o per aiutarti in questa situazione di lutto. Puoi, anche, venire con chi vuoi tu: sei e siete benvenuti!

Ti ringrazio per la condivisione!

Se sei arrivato/a a leggere fino a qui, forse hai trovato questo articolo utile: fallo leggere a chi sta vivendo un lutto e aiutalo a cercare la direzione per uscire dal labirinto emotivo.

Dal canto mio, ti ringrazio, sin d’ora.

Riferimenti Bibliografici:

Giusti E., Milone A. Terapia del Lutto. La cura delle perdite significative 2015, Sovera.

Hogan N.S., DeSantis L. (1992). Adolescent sibling bereavement: An ongoing attachment Qualitative Health Research 2(2):159-177.

Pesci, S. (2017). The Grief Maze Game. Edizioni Scientifiche Isfar.

Schützenberg A.A., Jeufroy E.B. Uscire dal lutto. Superare la propria tristezza e imparare di nuovo a vivere 2014, Di Renzo Editore.

Silverman P.R., Nickman S.L. & Worden J.W. (1992). Detachment revisited: The child’s reconstruction of a dead parent American Journal of Orthopsychiatry 62(4):494-503.

 

L’Angoscia è un’emozione che fa sentire in trappola: come liberarsi?

L’angoscia è un’emozione che fa sentire in trappola. Puoi imparare a distinguerla da altre emozioni e iniziare a ridurla con un esercizio che ti richiede circa 15 secondi.

C’è un’emozione che fa sentire in trappola: l’angoscia. Merita di essere conosciuta perché spesso confusa con altre emozioni e, di conseguenza, gestita e trattata in modo inefficace.

L’angoscia non è ansia

L’angoscia non è ansia. L’ansia fa aumentare la vigilanza e la prontezza ad agire: hai presente quando ti prende il senso di urgenza di sistemare quella data cosa, di fare quella telefonata, di chiarire con una persona cara…? Ecco, lì stai provando ansia. Magari lieve, magari intensa. In ogni caso l’ansia guida al controllo dell’ambiente, alla riduzione dell’incertezza.

L’angoscia non è paura

L’angoscia non è paura. La paura, come l’ansia, fa aumentare la vigilanza di fronte a un pericolo concreto, per mettersi in salvo.

La paura guida a mettersi al sicuro e ad allontanarsi dal pericolo. Qualche volta la paura stimola alla fuga, qualche volta all’attacco, qualche volta blocca. Ma questa è un’altra storia.

L’angoscia non è tristezza

L’angoscia non è tristezza. La tristezza tende a rallentare l’organismo e a metterlo in pausa.

La tristezza guida a non sprecare altre energie, a fare tesoro dell’esperienza, a prendere atto dell’accaduto.

L’angoscia è l’angoscia è l’angoscia

Per citare Gertrude Stein:

Una rosa è una rosa è una rosa.

Anche l’angoscia è l’angoscia è l’angoscia.

Ossia, è un’emozione a sé stante, di tipo composto. Principalmente, l’angoscia è costituita da un’emozione di resa e un’emozione di ritiro. I messaggi dell’angoscia contengono paura, contengono – anche – il desiderio di trovare una soluzione e la sensazione di non poterlo fare, di non esserne capaci, di esserne in qualche modo impediti. Di essere in trappola, per la precisione.

Un metodo semplice per ridurre il picco dell’angoscia

Concentrati per qualche secondo sulla parola “angoscia“.

Non so a te, ma a me, pensare all’angoscia fa provare angoscia! Non solo a me, in realtà. A gran parte delle persone. La ragione è semplice: ogni parola ha significati che sono ben registrati dal cervello e questo fa sì che la parola “angoscia” evochi sensazioni e pensieri che hanno a che fare con l’angoscia.

Pensando alla parola “angoscia”, quindi, ci si procura un’esperienza più o meno intensa dell’emozione di angoscia.

Ora…prova a ripetere velocemente, per una decina di secondi la parola “angoscia”.

Prendi fiato e inizia: angosciaangosciaangosciaangosciaangosciaangoscia…

Ascoltati… come si trasforma la parola, dopo un po’?

A me in qualcosa tipo “sciango“.

Sciango non è una parola italiana e non mi evoca nulla. Al più mi sembra il nome di un personaggio dei cartoni animati oppure uno shampoo a base di fango  – come disse una volta una bimba -.

Cambia la parola, riduci l’angoscia

Con questo semplice esercizio – pure un po’ buffo, lo ammetto! – puoi aiutarti nel momento di picco emotivo che, ti ricordo, dura al massimo 180 secondi.

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Attraverso il linguaggio e il significato delle parole che cambia, puoi ridurre l’intensità dell’angoscia e la sensazione di trovarti in trappola.

Non basta?

Se non basta oppure se gli episodi di angoscia si fanno frequenti, potrebbe essere utile appoggiarsi a uno psicologo. Le conversazioni terapeutiche, in questo caso, vanno in due direzioni:

  • Conoscere altri strumenti per ridurre i picchi emotivi e ridurne la frequenza
  • Costruire insieme al terapeuta la soluzione o le soluzioni per uscire dalla trappola

Le proposte in tal senso variano da professionista a professionista e vanno, inoltre, del tutto personalizzate sulla situazione singola. Per iniziare, io ti propongo questo!

Valuti e, dunque, ti emozioni

La valutazione degli eventi è parte delle emozioni che provi. Scopri come farne un’alleata e emozionarti meglio.

Le emozioni sono episodi complessi – laddove, per complessità, intendo qualcosa di ricco e articolato, che offre più sfaccettature -. In questo articolo accenno al legame tra la valutazione degli eventi e le emozioni che si provano negli stessi eventi.

Non è una storia nuova

Anche altri animali filtrano gli eventi attraverso la valutazione. Mentre scrivo, mi viene in mente una lezione accademica in cui si parlava di galline – sì di galline! -. Tra le altre cose, venne specificato che la gallina adulta – accademicamente chiamata “pollo domestico” – sa ben distinguere un pericolo proveniente dall’alto e un pericolo proveniente dal basso e  sa inviare alle altre galline del pollaio segnali distinti in base alla provenienza del pericolo.

Serpente non è falco, insomma. E il tipo di protezione da cercare in un caso di pericolo non è lo stesso tipo dell’altro caso.

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Stesso evento emozioni diverse

appuntamento

Hai un appuntamento con una persona cara e stai aspettando da più di mezz’ora.

Che emozione provi?

Potresti provare ansia o preoccupazione nei confronti della persona cara, rabbia perché pensi che non ti stia rispettando, tristezza perché hai bisogno del suo interessamento, sollievo perché sei stanca/o e una pausa di mezz’ora ti sta facendo bene …

Il comportamento della persona cara non è causa di un’emozione specifica. L’evento accade – lei/lui è in ritardo – e tu provi un’emozione a riguardo.

Hai fatto una valutazione

Potresti aver valutato la situazione facendo questo tipo di pensieri:

  • Non è mai in ritardo! Cosa sarà successo?
  • Non sopporto che le persone non rispettino il tempo degli altri! Ho anche io le mie cose da fare e sono qui da più di mezz’ora!
  • Valgo poco per gli altri… non arrivano neanche puntuali agli appuntamenti…
  • Questa pausa mi fa bene. Quando arriverà avrò recuperato energie e l’incontro sarà più piacevole.

Bada bene, non c’è una valutazione giusta o sbagliata: c’è la valutazione che tu stai facendo in quel preciso momento e che appartiene al tuo modo di considerare la situazione e, forse, le relazioni in genere.

Se cambi valutazione cambi emozione

Avrai già intuito dove sto andando a parare: cambiando la valutazione – il pensiero – rispetto all’evento, puoi sperimentare anche un cambiamento emotivo.

Qualche volta cambiare valutazione può essere utile e può permettere di notare che il pensiero è, giust’appunto, un pensiero, pertanto può essere modificato.

Se dai valore alla valutazione, l’emozione ha intensità minore

Altre volte, cambiare valutazione non è utile e l’emozione che si sta provando è legittima e pertinente.

In questi casi, può servirti ridurne l’intensità. Tre passaggi sono importanti:

  • Riconoscerla e darle un nome
  • Localizzarla nella sua manifestazione fisica
  • Fare un’integrazione tra l’attivazione fisiologica e la valutazione

Tenendo a mente questi passaggi, anche il tuo comportamento cambia

Cambiando valutazione e sperimentando una nuova emozione, il comportamento conseguente sarà diverso: hai prodotto un cambiamento!

Riconoscendo alla valutazione il suo valore e dando all’organismo il tempo di fare l’integrazione, agirai un comportamento consapevole: hai prodotto un cambiamento!

Due possibili strumenti per gestire Rabbia, Ansia, Paura, Senso di colpa, Gelosia …

  • Il linguaggio: il linguaggio può modellare le valutazioni, trasformandole in alleate per la gestione emotiva;

Vuoi scoprirne di più?

Scrivimi a: fontanella.francesca@gmal.com

 

 

Un lutto in famiglia:il ruolo positivo della musica

Un nuovo articolo pubblicato ne Lo Psicologo del Rock

Un lutto in famiglia: il ruolo positivo della musica

La storia di una famiglia in lutto che utilizza la musica per raccontare le sue emozioni e ricominciare a vivere.

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Re-Membering e Club di Vita: ruoli, connessioni, relazioni

Ricordi da narrare, storie da ricordare

Emozioni: roba antica o 3.0?

evoluzione

Il cervello elabora la risposta emotiva in due modi: uno rapido, uno più lento.

Quello rapido è quello automatico ed è mediato da zone del cervello arcaiche, ossia che appartengono anche ad altri animali e si sono sviluppate durante l’evoluzione molto prima che l’essere umano fosse un essere umano. Rientrano in queste zone, ad esempio amigdala, ippocampo ed ipotalamo (il sistema limbico).

Il modo di elaborazione più lento, a dirla tutta, ha un po’ meno a che fare con le emozioni vere e proprie (immediate, arcaiche) perché coinvolge aree della corteccia cerebrale (la corteccia è la struttura più evoluta del cervello). Questa modalità serve a modulare la prima risposta, rapida ma non accurata e a produrre comportamenti adeguati allo stimolo. Trovate qui un esempio classico e, a mio avviso, molto chiaro.

L’emozione coinvolge il corpo…ve l’ho già detto?

noia

Sì, lo so, ve lo ho già scritto tante volte! È che ci tengo passi questo messaggio! 😉

Le emozioni che provate attivano il vostro corpo e lo sollecitano. Se sollecitato a lungo e frequentemente, l’organismo consuma molte energie e il rischio è che vada in ‘esaurimento’, ossia sviluppi distress – lo stress cattivo –.

Ecco la ragione della mia insistenza: fare attenzione alle reazioni fisiche può essere un barometro, una misura, della vostra condizione emotiva e, in definitiva, del vostro benessere psicofisico.

Non ci credete? Guardate quà!

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Da diverso tempo è rintracciabile online questa immagine che fa fede ad uno studio condotto in Finlandia dallo psicologo Lauri Nummenmaa della Aalto University (pubblicato dalla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences).

I partecipanti sono stati esposti a stimoli come espressioni facciali, storie, spezzoni di film e, in seguito, è stato chiesto loro di colorare su sagome corporee le regioni del corpo che sentivano più attivate o meno attivate durante l’esposizione.

L’immagine evidenzia le aree del corpo attive e coinvolte quando si provano alcune emozioni. I colori caldi indicano le aree fisiche che si percepiscono come ‘attive’, mentre i colori freddi indicano quelle percepite come ‘disattive’.

Ottimo feedback!

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Al di là dell’accuratezza di queste registrazioni (ad esempio, la misura strumentale dell’afflusso sanguigno in persone che provano paura mostra uno spostamento del sangue verso gli arti inferiori per facilitare la fuga, aspetto che, in questa immagine, non è rilevato), possiamo coglierne alcuni aspetti e messaggi generali.

Ad esempio, osservate la somiglianza tra ansia e paura: le persone registrano più o meno similmente l’attivazione correlata all’ansia e quella correlata alla paura.

Osservate la differenza tra tristezza e depressione: la prima offre la percezione di disattivazione degli arti e attivazione del petto e del volto; la seconda registra la sola disattivazione degli arti.

Il confronto tra tristezza e gioia è significativo: la gioia è percepita come un’attivazione globale dell’organismo, in contrasto con la tristezza in cui prevale la disattivazione.

Strumenti di sopravvivenza

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Le emozioni primarie sono biologicamente primitive e si  sono evolute in modo da consentire alle specie di sopravvivere (Plutchik, 1980).

Le emozioni primarie -gioia, paura, tristezza, rabbia, disgusto e sorpresa- sono strumenti di sopravvivenza: quando le provi, dai loro retta e non metterle da parte.

Ricorda che la prima risposta emotiva sarà rapida e poco accurata, pertanto automatica: potrebbe non essere del tutto adeguata al contesto.

Lascia il tempo alla corteccia di subentrare nel programma emotivo automatico e di dare una valutazione dell’utilità di quell’emozione in quella circostanza specifica.

Poi agisci o fermati, di conseguenza.evoluzione

Dott.ssa Francesca Fontanella

 

 

Una canzone… “d’Oro!”

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Ogni anno, da tradizione, in questo mese va in onda Lo Zecchino d’Oro e bambini con senso del ritmo e dolci voci cantano i brani prodotti da autori eccellenti.

La musiche, vivaci o malinconiche, ninnananne o scatenate, sono accompagnate da testi che meritano di essere ascoltati.

I pipistrelli con il punto di vista strambo che invitano a cambiare punto di vista, il principe fannullone che ciondola qua e là e non vuole responsabilità, la ranocchia coraggiosa che parte all’avventura senza essersi preparata abbastanza…

Ascoltando brani più indietro nel tempo, ascoltiamo la storia di matite colorate che sono fatine pronte a colorare il tuo mondo, di una polenta per recuperare le tradizioni antiche e il piacere della compagnia delle persone care…

Tra queste canzoni, oggi vi propongo “Prendi un’emozione“di L.Saccol: ascoltiamola insieme per poi darle un’occhiata attraverso la psicologia e la Terapia Narrativa.

Attraverso le lenti della psicologia e della Terapia Narrativa

Passo 1: riconoscere che l’emozione si sente nel corpo.

Certe volte il viso cambia colore ed il cuore prende velocità,
Nella pancia c’è qualcosa di strano, non è fame, ma chissà che sarà.

Le emozioni hanno manifestazioni a livello fisico: alterazioni fisiologiche (battito cardiaco, pressione sanguigna, ritmo respiratorio, sudorazione, bocca secca…) e qualche volta possono dare origine a somatizzazioni (colon irritabile, cefalea, disturbi dermatologici, dolori muscolari e articolari…).

Può essere utile impararea a riconoscere e distinguere le proprie emozioni attraverso le loro manifestazioni corporee. Le tecniche di rilassamento e di focalizzazione hanno la funzione di avvicinarci alla risposta corporea che accompagna le emozioni e ad aiutarci a gestirla nel suo picco e nei suoi strascichi.

Passo 2: riconoscere che  l’emozione non sei tu e tu non sei l’emozione

Prendi un’emozione, chiamala per nome, trova il suo colore e che suono fa.

Questo processo, in Terapia Narrativa, si chiama ‘esternalizzazione‘. Esso consiste nel dare una aspetto e un’identità concrete all’emozione considerandole qualcosa di distinto da se stessi. L’esternalizzazione serve a ricordare alla persona di avere un’identità a se stante, non dipendente dall’emozione: l’emozione è solo uno degli eventi che le stanno capitando e può scegliere se e come utilizzarla per vivere meglio.

Passo 2: accogliere l’emozione

Prendila per mano, seguila pian piano, senti come nasce, guarda dove va. Prendi un’emozione e non mandarla via.

Una delle più frequenti difficoltà nella gestione delle emozioni è determinata dall’abitudine a sedare, scacciare, mettere da parte ciò che si sta provando. Apparentemente utile, questa abitudine ha una serie di effetti collaterali: ad esempio può comprimere l’emozione – con il rischio che si manifesti in seguito di intensità maggiore -; può convincerci che non siamo autorizzati a provare certe emozioni; può produrre somatizzazioni, stanchezza, spreco di energie; può lentamente annullare la capacità di sentire le emozioni.

Passo 3: condividi le esperienze emotive e raccontane la storia

Puoi spiegarla a chi non la sa e tutta la tua vita vedrai un’emozione sarà.

Alcune emozioni sono considerate tabù. Possiamo, ad esempio, aver incontrato già nell’infanzia suggerimenti del tipo: “Non ti arrabiare!”, “Non prendertela!”, “Non serve essere tristi per queste cose!”, “Non mostrarti troppo compiaciuto!”…

Tutti questi non mostrare le emozioni possono creare alcuni fraintendimenti:

  • Convinzione che le emozioni siano una cosa del tutto intima e che non vadano condivise. Tuttavia, le emozioni sono uno strumento sociale importante: le relazioni, ad esempio, ne sono intrise.
  • Convinzione di essere gli unici a provare alcuni tipi di emozione, con conseguente ulteriore riserbo rispetto a ciò che si prova e, talora, senso di inadeguatezza. Tuttavia, le emozioni sono un patrimonio biologico comune a tutti gli esseri umani e la differenza tra una persona e l’altra risiede nell’intensità emotiva e nel modo di manifestare l’emozione -dipendenti, anche, da fenomeni culturali-
  • Convinzione che sarebbe bello se alcune emozioni non ci fossero. Tuttavia, sarebbe un bel guaio! Proprio in virtù del loro retaggio biologico, esse hanno sempre un ruolo e un significato (se ti interessa saperne di più, puoi leggere i 5 articoli L’ABC delle Emozioni. Qui il primo della serie.).
Come puoi iniziare a conoscere le emozioni che provi
orientarsi
  1. Per prima cosa, la prossima volta che provi un’emozione, dalle un nome! Se riesci a identificare il nome di un’emozione, tanto meglio; se, invece, ti viene un nome di fantasia – che so, Buio profondo, Fifa blu, Elettricità… – va bene lo stesso.
  2. In secondo luogo, chiediti cosa vorrebbe tu facessi, cosa ti sta comunicando: accogli il messaggio e concedi all’emozione di esistere.
  3. In terzo luogo, parlane e racconta di questa emozione a chi ti è caro oppure scrivine o rappresentala con un disegno o una canzone: condividila e falle onore!

 

Per conoscere meglio il tuo mondo emotivo, hai tante possibilità: io te ne offro una! Dai mela-doroun’occhiata alla sezione Pacchetti del menù, curiosa nella sezione Curiosità e, se ti va contattami all’indirizzo fontanella.francesca@gmail.com.

Dott.ssa Francesca Fontanella